Dodici ore in Puglia con Il Mago Del Gelato

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Sono all’aeroporto di Brindisi, dentro un’edicola che vende souvenir come degli indimenticabili berretti con su scritto “E adesso SPUGLIAMI come sai fare tu”, quando mi arriva un messaggio leggermente allarmato. “Alla fine abbiamo avuto un piccolo disguido e stanno arrivando altri due maghi”, che scritto così pare una comunicazione in codice di una qualche società segreta. Niente di tutto ciò: il mittente è Giovanni Doneda, bassista del Mago del Gelato e mio passaggio designato per portarmi dall’aeroporto dove sono appena atterrato al Sudestudio, posto dai contorni quasi leggendari per i musicisti di tutta Italia e non solo. È qua che Il Mago Del Gelato – che sarà il prossimo 24 maggio a MI AMI per il gran finale del tour primaverile appena annunciato – si è preso qualche giorno di ritiro per registrare il suo primo disco, Chi è Nicola Felpieri? (non chiedetelo a me perché non lo so), in uscita il 14 marzo per Dischi Numero Uno, e io sono abbastanza fortunato da essere qua per assistere a un pezzetto di quello che stanno combinando.

Il “piccolo disguido” di cui mi parla Giovanni mi sembra un po’ più impegnativo, in realtà: il furgoncino con cui si sono fatti la strada dalla milanese via Padova a Guagnano, provincia di Lecce, dove si trova lo studio, non parte. Avendo il viaggio di ritorno tra qualche giorno, con un migliaio di chilometri da affrontare, non è esattamente cosa da poco, per cui immaginate la sorpresa quando mi ritroverò di nuovo quel furgoncino mezzo scassato – ma integro – al Dr. Martens Day presented by MI AMI qualche settimana dopo questa trasferta salentina, ancora in piedi e rombante.

Marquis e Giovanni al banco del Sudestudio

Ed è qua, mentre attraversiamo in auto la campagna pugliese verso il Sudestudio, che mi chiedo: ma perché affrontare ‘sto viaggio della speranza di 10 ore per registrare un album, quando il Mago ha già il suo pratico studietto milanese (di cui mi hanno già aperto le porte un annetto fa) dove ha registrato l’ep d’esordio Maledetta quella notte? La domanda scompare non appena imbocchiamo la stradina che porta allo stabile del Sudest. Il posto è pazzesco: sembra di trovarsi in villeggiatura, in mezzo al verde, tra ulivi e vigne, abbastanza da isolarsi dal resto del mondo (o comunque in uno spazio ben più tranquillo del traffico milanese). E questo è solo il fuori. L’edificio in cui è stato ricavato lo studio è una vecchia casa contadina riadattata a studio nel corso degli anni da Stefano Manca, anima del Sudest.

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È parecchio difficile immaginare il Sudest senza Stefano. Già bassista dei Suburban Noise, band della scena punk pugliese degli anni ’90, nel 1999 inizia ad adattare questa vecchia stalla in uno studio di registrazione, fino a renderla il gioiello che è oggi. Lui qua dentro fa qualsiasi cosa: oltre a essere un fonico, è prima di tutto un artigiano tuttofare, che passa dal fare lavoretti di manutenzione sugli strumenti ad aver montato l’intero sistema fotovoltaico che alimenta lo studio e casa sua, parte dello stesso edificio. Lo si capisce anche solo guardando la libreria stracolma di arnesi, cavetti, viti e quant’altro posta nel corridoio tra la cucina e la sala di registrazione. Qua negli anni sono passati tantissimi artisti: dai Beirut a Emma Marrone, dai Calibro 35 a Erlend Øye, passando per i Selton e Dente e fino ad arrivare all’Orchestra della Notte della Taranta. Stefano mi rivela che, una settimana circa dopo il passaggio del Mago, arriverà Sophie Ellis-Bextor, la cui hit Murder On the Dancefloor ha avuto un ritorno di fama nel 2023 grazie al suo uso nella scena finale di Saltburn

Pietro, batterista del Mago

Al mio arrivo, più o meno all’ora di pranzo, tutta la ciurma è presente e hanno appena terminato le session mattutine. C’è il nucleo centrale della band, composto da – oltre a Giovanni – Ferruccio Perrone, Pietro Gregori e Alessandro Paolone, assieme ai tre turnisti che li accompagnano anche durante i live, oltre al padrone di casa Stefano e Marquis, produttore del gruppo. In cucina trovo inaspettatamente Marianne Mirage (anche il suo ultimo disco, Teatro, è stato registrato qua) che sta preparando da mangiare per l’intero reggimento. Mentre siamo seduti a tavola, io inizio a scalpitare: mi avevano detto che la sala di registrazione del Sudest è da non crederci e sono troppo curioso di entrarci dentro.

Non appena metto un piede dentro la sala grande dello studio, mi sembra di sentire la mia mandibola che sfiora il pavimento. È Marquis a farmi da guida tra gli strumenti di cui è riempito il posto: oltre alla strumentazione portata dal Mago, dentro c’è una quantità di chicche che temo si mangerebbero gran parte dell’articolo. Basti dire due cose: parecchia di questa roba la sentirete nel disco che uscirà e, tra i fiori all’occhiello dello studio, mi è rimasto nel cuore un Wurlitzer degli anni ’60 semplicemente clamoroso. “Abbiamo scelto il Sudest proprio per questo”, mi spiega Marquis mentre mi fa sentire alcuni suoni. “Ogni volta venire qua è incredibile”. A rendere ancora più sorprendente il tutto, oltre che il lampione stradale ottocentesco posto in uno degli angoli della sala, è l’acustica all’interno, grazie le pareti di legno ondulate che insonorizzano l’ambiente: “Ho avuto fortuna, le ho fatte fare da una azienda all’epoca piccola che ora realizza auditorium in giro per il mondo”, mi racconta Stefano.

Arriva il momento di piazzarsi dietro il banco, gigantesco e recuperato da Stefano da uno studio londinese, per ascoltare le session pomeridiane. Il lavoro grosso delle registrazioni è già stato svolto, quindi arrivo in un momento di rifinitura del disco. Uno dei compiti di giornata è in mano a Ferruccio, che deve lavorare sul wah wah di chitarra per uno dei brani della tracklist su cui non vogliamo fare troppi spoiler. È un’operazione di cesello, al limite dell’ossessivo, come spesso le take in studio diventano: le altre parti del brano finiscono per ricircolare in testa di continuo, alla ricerca dell’incastro perfetto con la chitarra di Ferruccio.

Ferruccio mentre registra le chitarre per il disco

Tocca poi a una jammona che è un’altra delle tracce inedite del disco, che mi ascolto proprio dentro allo sala di registrazione mentre tutta la band e i turnisti sono alle loro postazioni. Giovanni attacca con un giro di basso che tiene su tutta l’impalcatura, mentre gli altri musicisti fanno a turno dei piccoli interventi sonori. Trovarsi lì in mezzo è un’esperienza surreale: è come vedere le cose prendere forma sotto ai propri occhi, invece che ritrovarsele ben confezionate tra i solchi di un vinile o nell’impalpabilità di un play sul proprio telefono. Il sound è quello ormai marchio di fabbrica del Mago: bel mischione di afrobeat, funk e jazz, come colonna sonora di un poliziottesco da cui la stessa band sembra aver rubato i costumi di scena, e di cui i due singoli già pubblicati, GranturismoTic tac, rappresentano i due poli.

È già pomeriggio inoltrato quando i ragazzi del Mago si prendono una pausa illustrandomi le regole del gioco che hanno creato durante la loro permanenza a Guagnano: la Sudest Cup, una sfida che consiste nel centrare il canestro con una palla da basket dalla mattonella più lontana, con tanto di mosse speciali (come tirare di schiena o da seduti) da dichiarare prima per poter guadagnare più distanza al tiro successivo. C’è anche una pratica dimostrazione in questo video.

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Alessandro con il lampione alle sue spalle

Prima di cena, c’è ancora tempo per un’altra jam, questa volta totalmente improvvisata, che di nuovo posso godermi dall’interno della sala di registrazione. Mi sento come se fossi a un concerto privato, con intorno una strumentazione invidiabile e un’acustica come probabilmente mai mi era capitata nella vita. Se ci aggiungiamo quanto sia solido il sound della band, ecco che mi rendo conto che sto benedetto disco non me lo godrò mai così bene come in questo posto. Me lo conferma anche l’ascolto in anteprima delle tracce che mi viene concesso a fine giornata, direttamente dal banco: un suono pulitissimo mi porta dentro le varie take dell’album, ancora da rifinire, ma già con un bel po’ di quello che ritrovo adesso, mentre digito queste parole con il preascolto del disco nelle cuffie (che, per quanto siano buone, non reggono il paragone di quell’impianto).

Dopo aver mangiato un boccone, arriva il momento di ripartire e tornare dritto a Milano, dopo neanche 12 ore in Puglia. Questa volta il mio mezzo di trasporto verso l’aeroporto è proprio lui, quel mitologico furgoncino che doveva venire a prendermi all’atterraggio, ormai riparato, che incarna la stessa filosofia della struttura alare del calabrone:lui non sa di non poter viaggiare, eppure lo fa. La mezz’oretta di strada fino all’aeroporto è caratterizzata da un tremolio costante che fa vibrare tutto il veicolo, ma non ci do troppo peso: ormai le orecchie le ho lasciate al Sudest, e credo stiano parecchio meglio là.


L’articolo Dodici ore in Puglia con Il Mago Del Gelato di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2025-01-29 14:48:00





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