Protocollo Italia-Albania: nuove criticità medico-sanitarie nell’ultimo trasferimento

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La mancanza di una certificazione individuale per ogni persona trasferita, uno screening medico effettuato da medici militari e poca chiarezza sugli strumenti utilizzati per l’accertamento dell’età: sono le nuove criticità emerse dall’ultimo trasferimento di 49 persone nel centro di Shëngjin, che dimostrano ancora una volta che il Protocollo Italia-Albania rappresenta un rischio per la salute delle persone migranti.

È quanto denunciano diverse realtà sanitarie che si occupano di soccorso civile nel Mediterraneo centrale e di supporto e diritto alla salute delle persone in movimento, e che rinnovano l’appello – già lanciato lo scorso novembre – affinché operatori e professionisti della salute non si rendano complici del Protocollo e delle sue violazioni.

Queste criticità – sommate all’esito degli screening effettuati nei centri di Shëngjin e Gjader che ha portato al rientro in Italia di 6 delle 49 persone soccorse in acque internazionali poiché 4 sono risultate minori e 2 presentano vulnerabilità – confermano le nostre preoccupazioni rispetto al rischio di violazione dei diritti umani e alle gravi implicazioni medico-sanitarie del Protocollo.

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In primo luogo, la scelta di affidare lo screening a bordo della Cassiopea a medici della Marina Militare, in precedenza effettuato da personale medico appartenente ad organi civili – nello specifico all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) – è inappropriata sotto il profilo clinico, sanitario e deontologico.

Il personale sanitario che risponde a catene militari gerarchiche in ambiti civili e umanitari si può trovare a vivere contraddizioni che possono limitarne l’indipendenza e minare il dovuto approccio centrato sul paziente. In più, secondo quanto stabilito anche nell’Ordinamento dei ruoli professionali e sanitari della Polizia di Stato e ribadito nel Codice dell’Ordinamento Militare su “Istituzione e funzioni del Servizio sanitario militare”, il personale medico delle forze dell’ordine o militari può occuparsi di attività cliniche rivolte ai civili solo in caso di “calamità pubbliche e infortuni”. Il contenuto del Protocollo, dettagliato anche dalle Standard Operative Procedures (SOP) del Ministero dell’Interno, non rientra ovviamente in tali fattispecie.

In secondo luogo, l’assenza di una certificazione individuale per ogni persona trasferita, segnalata da alcuni parlamentari durante la visita del Tavolo Asilo e Immigrazione al centro di Shëngjin, è particolarmente critica, poiché tale documento dovrebbe precedere il trasferimento per garantire la piena tutela delle persone migranti. Per di più, in analogia con il funzionamento dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio italiani (CPR), l’assenza di questa documentazione viola palesemente l’art. 3 della Direttiva del Ministero dell’Interno del 19 maggio 2022, che prevede la presenza di detto certificato a firma di un medico che sia indipendente dal Centro di detenzione.

Riguardo l’accertamento dell’età, non è chiaro con quali strumenti venga effettuato durante il pre-screening a bordo della nave della Marina Militare. La normativa nazionale prevede una valutazione olistica e multidisciplinare che salvaguardi il principio del superiore interesse del minore: tale accertamento è praticamente impossibile nel contesto del pre-screening e risulta quanto meno improbabile che venga effettuato secondo i criteri previsti dalla legge anche durante gli altri due screening nei centri previsti dalle SOP ministeriali.

Inoltre, nonostante la legge preveda che il trattenimento delle persone debba essere convalidato dall’autorità giudiziaria entro 48 ore, il meccanismo del Protocollo estende di fatto tale limite, allungando il periodo di privazione della libertà personale. La detenzione in ogni sua forma, inclusa quella amministrativa, rappresenta uno dei più potenti determinanti sociali di patologia mentale, e dovrebbe essere ammessa solo come extrema ratio, in particolare per soggetti vulnerabili come le persone soccorse in mare.

A seguito di questo ulteriore tentativo di criminalizzare e rendere invisibili le persone in movimento, ribadiamo le nostre preoccupazioni rispetto al rischio di violazione dei diritti umani e alle gravi implicazioni medico-sanitarie del Protocollo Italia-Albania a cui si sono purtroppo aggiunte queste aggravanti.

In conclusione, rinnoviamo il nostro appello affinché le realtà istituzionali e professionali coinvolte o meno nel Protocollo Italia-Albania ne prendano le distanze. In particolare, riteniamo fondamentale che UNHCR, nel suo ruolo di monitoraggio delle procedure, vigili attentamente e scrupolosamente su pratiche discriminatorie e lesive della dignità umana, come la selezione medico-sanitaria.

In qualità di organizzazioni mediche impegnate nella tutela della salute e nel soccorso delle persone migranti, ribadiamo la nostra ferma opposizione al Protocollo, e invitiamo tutti i professionisti sanitari a prendere posizione contro queste misure.

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Saldo e stralcio

 

Rilanciamo pertanto il nostro appello, sostenuto anche dalla Federazione Italiana degli Ordini dei Medici (FNOMCeO), e pubblichiamo la lista delle centinaia di professionisti sanitari, associazioni e realtà della società civile che lo hanno sottoscritto.

A questo link il form per la sottoscrizione dell’appello.

Organizzazioni firmatarie:
Rete Mai più lager – No ai CPR
Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM)
MEDITERRANEA Saving Humans – Medical Team
EMERGENCY
Medici Senza Frontiere (MSF)
SOS Humanity e.V. – Medical and Care Team
Resqship – Medical Team
Mission Lifeline – Medical Department
Louise Michel – Medical Department
SARAH Seenotrettung – Medical Team
Sea Punks e.V. – Medical Department
Sea-Watch e.V. – Medical Department
Salvamento Marítimo Humanitario – Aita Mari
CompassCollective – Medical Department
Sea-Eye e.V. – Medical Team
Open Arms – Health Department



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