Arrivata a Bari la nave con i 43 migranti richiedenti asilo partiti dall’Albania

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1 Febbraio 2025



14:10

La motovedetta della Guardia costiera italiana, partita da Shengjin con 43 migranti a bordo, è arrivata in serata a Bari. I migranti sono stati portati in Italia dopo la decisione della Corte di Appello di Roma.

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AGGIORNAMENTO:

È arrivata a Bari in serata la motovedetta della Guardia costiera italiana salpata oggi dal porto di Shengjin con a bordo i 43 richiedenti asilo trasferiti lo scorso martedì in Albania. I migranti non sono stati trattenuti nei centri albanesi per decisione della corte di appello di Roma. Per le persone appena sbarcate, la Prefettura ha disposto l’accoglienza nel Cara di Bari Palese, il più grande centro in Puglia che ospita stranieri.

La decisione dei giudici della Corte d’Appello di Roma, presa ieri, 31 gennaio, aveva annullato il trattenimento delle persone migranti nel centro di Gjader, stabilendo appunto che dovessero essere riportati in Italia, rinviando gli atti alla Corte di giustizia europea, in attesa del suo pronunciamento, previsto per il 25 di febbraio. Questa è la terza volta che la Corte boccia l’operato del governo italiano, dopo altre due decisioni simili prese a ottobre e novembre.

L’arrivo al porto dei profughi è stato salutato dagli applausi di alcune decine di manifestanti dell’Arci fermi in presidio oltre la recinzione, che hanno gridato ‘libertà’ in diverse lingue e ‘no border’. I richiedenti asilo, tutti bengalesi ed egiziani, sono saliti a bordo di un pullman che li ha portati nel Cara di Bari Palese, la stessa struttura in cui furono portate le 12 persone migranti per le quali a ottobre il Tribunale di Roma non convalidò il trattenimento, in attesa della decisione sulla loro richiesta di protezione internazionale.

Fonti del Viminale hanno sottolineato che l’esecutivo non intende fare passi indietro: “Il governo andrà avanti nella convinzione che il contrasto all’immigrazione irregolare, che si avvantaggia dell’utilizzo strumentale delle richieste di asilo, sia la strada da perseguire per combattere gli affari dei trafficanti senza scrupoli”.

Per il governo il Protocollo Italia Albania “è il modello da cui partire per la realizzazione di veri e propri hub regionali sui quali c’è stata piena convergenza da parte dei ministri europei”. 

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Cosa dice la sentenza della Corte di Cassazione

Il governo Meloni aveva deciso di riprendere l’operazione Albania, sottraendo la responsabilità sui trattenimenti alle Sezioni Immigrazioni dei tribunali e assegnandola alle Corti di Appello. Anche questa volta, però, i giudici hanno deciso di sospendere i trattamenti, in linea con le decisioni precedenti.

La sentenza a cui si fa riferimento riguarda una decisione presa a luglio, quindi prima che il governo italiano introducesse il decreto sui Paesi sicuri. I giudici si sono basati su un vecchio decreto ministeriale che elencava i Paesi considerati sicuri, ma che ora è stato sostituito da un decreto-legge. Il caso specifico trattato dal Tribunale di Roma riguardava un giovane tunisino: i suoi difensori sostenevano che la Tunisia non soddisfacesse più i requisiti necessari per rimanere nella lista dei Paesi sicuri. La Corte di Cassazione ha stabilito che un giudice ordinario non può sostituirsi al ministro degli Affari Esteri e non può annullare un decreto ministeriale con effetti generali. In pratica, un giudice non ha il potere di rimuovere un Paese dalla lista dei Paesi sicuri solo con una sentenza, poiché la decisione politica di applicare procedure accelerate di asilo per chi proviene da determinati Stati spetta alla rappresentanza democratica del popolo.

C’è un ma. Il giudice ha infatti però il compito di proteggere i diritti fondamentali del richiedente asilo. Pertanto, se un migrante presenta un ricorso, il giudice può decidere di non applicare il decreto ministeriale riguardante la lista dei Paesi sicuri, ma solo in situazioni specifiche, quando la decisione del governo di considerare sicuro uno Stato appare chiaramente in contrasto con la definizione di “Paese sicuro”. Inoltre, il giudice ha la facoltà di valutare se il migrante possa dimostrare che, nelle sue circostanze particolari, il Paese di origine non è sicuro, e in quel caso la valutazione del governo non è decisiva.

Il giudice però ha il dovere di “tutelare i diritti fondamentali del richiedente asilo”. Perciò, di fronte a un ricorso può eventualmente “disapplicare il decreto ministeriale recante la lista dei Paesi sicuri”. Questo può succedere “in via incidentale”, in casi specifici, se la scelta del governo sullo Stato considerato sicuro in quel caso “contrasta in modo manifesto” con la definizione di Paese sicuro. Più in generale, il giudice ha un “potere cognitorio” se la persona migrante dimostra “l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui si trova”. In quel caso, quindi, “la valutazione governativa circa la natura sicura del Paese di origine non è decisiva”.





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