La decisione sulla convalida del trattenimento dei 43 migranti che il governo, ostinatamente, ha trasferito nei centri in Albania è sospesa in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, a cui la Corte d’Appello di Roma ha deciso di rimettere gli atti.
Così, come già accaduto in passato, alla scadenza dei termini per il trattenimento, i migranti devono essere rilasciati sul territorio italiano. Oggi verso le 12 una motovedetta della Guardia costiera li trasferirà in Puglia.
Insomma, anche se il governo ha provato a cambiare il meccanismo trasferendo la competenza su questi casi, con il decreto Flussi, dalla sezione specializzata alla Corte d’appello, il risultato è rimasto lo stesso. Al momento in centri in Albania restano vuoti, con buona pace di Giorgia Meloni e dei suoi ministri che, c’è da scommetterci, alla prima occasione utile proveranno a trasferire lì nuovi migranti.
Che il risultato potesse essere lo stesso non è così strano. I magistrati che hanno esaminato il caso sono gli stessi che erano stati aggiunti alla sezione specializzata, proprio per l’attuazione del protocollo Italia-Albania, poi trasferiti. E anche le aule dove si sono svolte le udienze nella giornata di venerdì 31 gennaio non sono cambiate, perché in quegli spazi era stata installata la strumentazione per assicurare i videocollegamenti con l’Albania.
Cosa succede ora
Nel suo rinvio pregiudiziale la Corte d’appello chiede alla Corte europea di risolvere un problema interpretativo sul concetto di paese di origine sicuro: uno stato può essere considerato tale se «le condizioni per la sua designazione non sono soddisfatte per alcune categorie di persone»? Da questo concetto dipende l’applicazione o meno delle procedure accelerate di frontiera.
Del resto, scrivono i giudici, molti tribunali hanno rinviato alla Corte di giustizia Ue, compresa la Corte di cassazione. La decisione dall’Unione europea non arriverà prima del 25 febbraio.
La pronuncia è arrivata nello stesso giorno in cui l’Unione europea ha richiamato l’Italia sul ruolo della Corte penale internazionale, dopo la liberazione, decisa dal governo, del «torturatore» libico Almasri, su cui pende un mandato di cattura. La Commissione europea sostiene «la Cpi e i principi stabiliti nello statuto di Roma», ha riferito uno dei suoi portavoce. Che poi ha ricordato l’invito a «tutti gli stati membri a garantire la piena cooperazione con la Corte internazionale».
«I centri in Albania sono un clamoroso fallimento» ha attaccato la segretaria del Pd, Elly Schlein. «Dopo tre tentativi, il modello Albania mostra tutte le sue contraddizioni e la sua incompatibilità con i diritti fondamentali», ha poi commentato il Tavolo asilo che, con alcuni parlamentari del Pd, ha monitorato le procedure nei centri.
Per Fratelli d’Italia è invece «una presa di posizione» che ostacola «l’azione del governo Meloni». Lo dichiara in una nota il capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, aggiungendo che «il centrodestra guidato da Fratelli d’Italia non si lascerà intimidire».
Le testimonianze
Per questo terzo trasferimento in Albania, il più numeroso, erano stati nominati dieci avvocati d’ufficio, ognuno con circa quattro assistiti, per 43 udienze davanti a dieci giudici.
Il pre-screening fatto in mare e la valutazione eseguita dall’Usmaf (Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera) nel centro di identificazione di Shëngjin non sono stati sufficienti per accorgersi di alcune bruciature sulle mani.
Erano bruciature di sigarette. A mostrarle in udienza è stato, in videocollegamento, un ragazzo del Bangladesh che ha raccontato del suo periodo trascorso in Libia.
Un altro ragazzo bengalese ha raccontato di essere arrivato in Libia attraverso Dubai e, poi, l’Egitto. Il trafficante che ha organizzato il viaggio gli ha trovato un lavoro nel paese, ma non si allontanava troppo per paura, per le storie sentite sulla Libia. Un giorno è stato fermato dalla “polizia libica” ed è stato portato in prigione, il giorno successivo è stato venduto alla mafia. In mano alle milizie, le richieste di denaro si facevano sempre più alte e, solo una volta pagate, è stato liberato. Ci sono voluti più di dieci mesi.
I vissuti sono tutti molto simili. I migranti hanno parlato di detenzione e trattamenti inumani in Libia, di debiti per fare il viaggio e di disperazione per essere sopravvissuti al mare ed essere stati portati dietro le sbarre di un’altra prigione, in un paese fuori dall’Unione europea, senza alcuna prospettiva.
«Non avrei mai rischiato la vita e accumulato debiti se avessi saputo che mi sarei ritrovato in Albania», ha raccontato un 30enne di origini egiziane all’Ansa. Il «recente vissuto» in Libia, si legge in una pronuncia della Corte d’appello, «ha suscitato dubbi in ordine alla possibile vulnerabilità».
Le ombre
Nonostante le tragiche storie di chi è stato portato forzatamente in Albania, raccontate in audizioni lampo, la Commissione territoriale ha considerato tutte le richieste di asilo «manifestamente infondate». Chi è stato intercettato in mare è stato trasferito senza grandi spiegazioni sul pattugliatore della Marina militare Cassiopea.
Le autorità hanno fatto decorrere i termini del trattenimento (48 ore per la notifica e 48 per la richiesta di convalida ai giudici) da martedì sera, ma nei fatti la privazione della loro libertà è iniziata ben prima: per undici persone sabato 25 e per gli altri domenica 26 gennaio. Molti esperti hanno contestato i tempi dilatati che superano le 96 ore: dal trasferimento dall’imbarcazione della Guardia costiera alla nave della Marina non può essere considerato salvataggio.
Ci sono anche altri dettagli poco chiari sulle procedure. A partire dalla nomina degli avvocati, sia per le udienze di convalida sia per il ricorso contro il diniego delle richieste di protezione internazionale. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione aveva inviato una lettera al presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, per denunciare «le gravi violazioni del diritto di difesa nelle strutture detentive di Gjader, in Albania». Le modifiche fatte con il decreto Flussi e la sua legge di conversione «rendono praticamente impossibile l’esercizio del diritto di difesa per le persone straniere trattenute nei centri in Albania».
La riforma ha ridotto i giorni per presentare ricorso contro i rigetti alla domanda di asilo: sette giorni, «un termine irrealistico a causa delle numerose difficoltà logistiche e legali», scrive Asgi. E infatti alcuni avvocati d’ufficio, usciti dalle udienze, raccontavano che gli assistiti non avevano nessun difensore di fiducia per fare ricorso e provare a ottenere la protezione internazionale.
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