“Ciancimino risarcirà l’ex Sisde Narracci, ma 15 anni di gogna fanno danni irreparabili”, intervista a Laforgia

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Il figlio dell’ex sindaco di Palermo, condannato per calunnia dopo averlo accusato di collusioni con la mafia, dovrà risarcire i danni per 120mila euro. Ma se le accuse vengono sparate in prima serata, notizie come questa, denuncia l’avvocato di Narracci, “passano sotto silenzio”

Michele Laforgia, che parte del centrosinistra – M5S, Sinistra italiana, +Europa e socialisti e diverse associazioni e movimenti civici cittadini – avrebbe voluto sindaco di Bari, di professione è penalista nello studio Polis Avvocati. Insieme al collega Fabio Di Cagno, ha ottenuto un’importante vittoria in Corte d’Appello di Caltanissetta. I giudici siciliani, infatti, dopo che è stata accertata la falsità delle gravi accuse di collusione con la mafia mosse da Massimo Ciancimino – figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito – nei confronti dell’ex dirigente del Sisde Lorenzo Narracci, hanno condannato il primo a risarcire danni per 120mila euro.

Ciancimino accusò Narracci di aver fatto da intermediario tra il padre Don Vito, il boss Bernardo Provenzano e ambienti istituzionali. Le sue dichiarazioni confluirono in un’indagine per concorso nelle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio. Accuse da cui Narracci fu prosciolto e Ciancimino condannato per calunnia. Come è possibile che possano bastare dichiarazioni senza fondamento a rovinare la carriera e la reputazione di una persona?
Continuerà ad accadere sino a quando la formulazione di un’accusa, o anche semplicemente l’avvio di una indagine (in molti casi per “atto dovuto”, come si suol dire) verranno considerati una rivelazione, se non direttamente come una condanna. Nel caso di Massimo Ciancimino, poi, ha largamente contribuito l’accoglienza trionfale con cui le sue dichiarazioni furono accolte, a suo tempo, prima ancora che fossero vagliate e verificate dall’autorità giudiziaria.

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La Corte ha ribadito la falsità delle accuse di Ciancimino volte a conferire credibilità giudiziaria ed enfasi mediatica al proprio racconto, screditando l’ex funzionario del Sisde. Un intento doloso aggravato dalla notorietà dell’accusatore, sotto i riflettori per il ruolo centrale del padre nelle connessioni tra mafia e politica. Questo risarcimento è sufficiente a restituire onorabilità al suo cliente?
La gogna mediatico-giudiziaria genera danni irreparabili, soprattutto se a subirla è un servitore fedele dello Stato. Basta pensare a quello che fu diffuso e pubblicato dagli organi di informazione nazionale la mattina dopo della ricognizione e del confronto, a Caltanissetta, con Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino. Il primo aveva dichiarato esplicitamente che non poteva individuare in Lorenzo Narracci la persona “estranea a Cosa Nostra” che era presente nel garage al momento del confezionamento dell’ordigno per la strage di Via D’Amelio, il secondo indicò al posto del dirigente del Sisde un carabiniere dalle fattezze fisiche completamente diverse. Eppure fu diffusa a reti unificate, non si sa bene da chi, la notizia che entrambi avevano confermato le accuse.

La vicenda è del 2010. Possibile che servano quasi 15 anni per avere giustizia?
Purtroppo, è quasi normale. E non solo in un caso assolutamente straordinario come questo, ma anche nel quotidiano funzionamento della giustizia. Con l’aggravante che, mentre le accuse vengono “sparate” in prima pagina e nei notiziari tv in prime time, le archiviazioni e le condanne per calunnia passano pressoché sotto silenzio. Perché da noi un presunto colpevole continua a fare notizia molto più di un innocente ingiustamente, anzi illecitamente accusato.

Ciancimino è stato condannato anche per aver accusato ingiustamente l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro di essere “avvicinabile” dal padre. Queste pronunce gettano luce nuova su un periodo oscuro e tormentato della storia d’Italia? Lei che idea si è fatto sui motivi delle menzogne di Ciancimino?
Dimostrano che la verità spesso è molto lontana dalle teorie del complotto. Quanto agli scopi perseguiti da Ciancimino, all’epoca dotato di un consistente patrimonio di incerta provenienza, posso solo ipotizzare che pensava di poterne trarre qualche vantaggio per sé, e magari per le persone di cui non ha voluto, o potuto, fare i nomi.

Pensando ai processi sulla “trattativa Stato-mafia”, alla vicenda di Nicola Mancino e alle assoluzioni decise nel 2023 dalla Cassazione, come avvocato ritiene che si debbano rivedere i meccanismi con cui si arriva all’impianto accusatorio? A pentiti, collaboratori e testimoni è stata accordata immeritata credibilità?
Io credo che alla fine la magistratura abbia fatto il suo dovere, senza inseguire teoremi. Perché, almeno sino a quando resteremo uno Stato di diritto, la giustizia spesso è lenta, ma inesorabile.



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