Santucci: “Nell’auto la tempesta perfetta. Ecco perché”

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Che succede nel mondo dell’auto? “Per descrivere il momento – spiega Marco Santucci – c’è una parola che in inglese funziona molto bene. Ed è disruption: quello che sta succedendo, secondo me, è un grandissimo cambiamento dovuto a diversi fattori che stanno per innescare una tempesta perfetta”. Il punto di vista di Santucci è particolarmente interessante perché è uno dei top manager dell’auto più quotati. Dal 2010 ha guidato il brand Jaguar e poi la Direzione Generale Sales Operations di Jaguar e Land Rover Italia. Nel 2016 ha assunto un incarico straordinario in Cina e poi quello di Managing Director European Importers, con responsabilità sui mercati gestiti da Filiali indirette, portandoli al maggior volume di vendite europeo. Poi dal settembre 2021 Santucci diventa il Managing Director di Jaguar Land Rover Italia che sotto la sua guida diventa Paese leader in Europa e si lancia in nuove scommesse, dalla transizione verso l’elettrificazione, alla sostenibilità, passando per l’affermazione dei brand come espressione del Modern Luxury. Ora è pronto per nuove sfide. E ci svela la sua visione su un momento particolarmente difficile per l’automotive. “Siamo davanti a una tempesta perfetta”, spiega infatti il manager.

Tipo?
“Da un lato, vediamo l’impulso fornito dai nuovi attori del mercato auto, principalmente Tesla ed i nuovi marchi Cinesi, che stanno introducendo un nuovo paradigma nella distribuzione automobilistica, reinventando la rete di distribuzione, l’approccio al mercato e il rapporto con il cliente. Questo ha messo sotto pressione le case che adottano un approccio tradizionale e spesso inefficiente costringendole a reagire provando nuove formule. Da un altro punto di vista c’è un cambiamento che sta cominciando a profilarsi con grandi gruppi, anche stranieri, di distribuzione, che cominciano ad interessarsi al mercato Italia. Infine, oltre a ridefinire la distribuzione e il rapporto con i clienti come dicevo, l’aspetto più significativo sarà la trasformazione dell’offerta di veicoli stessi. I consumatori di oggi cercano automobili più connesse e con caratteristiche diverse rispetto al passato, formule di acquisto più flessibili, interazioni più veloci e approfondite, dove la conoscenza dei cavalli o del tempo da 0-100 non sarà più l’unico criterio di valutazione. Si tratta di un cambiamento radicale che coinvolge profondamente il modo in cui le persone interagiscono con le proprie auto”.

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 È interessante notare che l’evoluzione del settore automobilistico non è dettata solo dall’innovazione tecnologica, ma anche dalle normative in materia di transizione ecologica. L’Europa ha adottato regolamenti più rigorosi per promuovere veicoli più ecologici. Qual è il suo punto di vista su questa spinta normativa e come sta influenzando il mercato automobilistico?
“Premesso che non ritengo l’imposizione di normative un sistema efficace, penso che l’Europa abbia assunto un ruolo di guida per indicare la direzione del mercato futuro attraverso normative progressivamente più stringenti. Questo approccio normativo uniforme è stato importante per indirizzare l’intero settore, ma soprattutto i diversi paesi, verso obiettivi comuni di transizione ecologica. Le regolamentazioni hanno stimolato l’innovazione e l’adozione di tecnologie più efficienti, spingendo i produttori ad investire moltissimo nel rivedere le proprie strategie di sviluppo e produzione. Questi investimenti però, non supportati da una adeguata incentivazione alla domanda per facilitarne la transizione, sta creando un disequilibrio da domanda ed offerta che alimenta ulteriormente i venti contrari di questa tempesta perfetta spingendo le case ad abbandonare le vetture più piccole, fondamentali nel nostro mercato, a causa dei bassi margini di contribuzione. In definitiva, questa spinta normativa sta plasmando un futuro più sostenibile per l’industria automobilistica ma rendendolo alquanto complesso nei prossimi anni”.

Un futuro complicato direi…Quali sono, secondo lei, le principali caratteristiche che i guidatori moderni ricercano nei loro veicoli?
“Il rapporto tra il cliente e l’auto sta vivendo un’evoluzione senza precedenti. I guidatori moderni cercano veicoli che siano estremamente connessi, che offrano un’esperienza di guida personalizzata e che integrino tecnologie avanzate per migliorare la sicurezza e la comodità. Come dicevamo la velocità non è più l’unico criterio di valutazione, soprattutto nelle generazioni più giovani; oggi si valutano aspetti come la capacità di guida autonoma, la connettività e la praticità”.

Come vede questa strategia in relazione all’auto elettrica?
“L’Europa non ha chiesto auto elettriche, ma mezzi che non producano CO2 durante l’uso, quindi l’auto elettrica risponde precisamente alla richiesta di zero emissioni. Tuttavia, è importante sottolineare che questa tecnologia deve essere competitiva e rilevante, non solo per l’ambiente ma anche per il mercato”.

Ma c’è stata una resistenza all’adozione dell’auto elettrica in Italia, giusto?
“L’Italia, come altri paesi, ha mostrato una certa resistenza culturale all’adozione di nuove forme di mobilità. Ricorda un po’ quello che successe con i cambi automatici; c’era una diffidenza iniziale che poi è scomparsa una volta che le persone hanno sperimentato i vantaggi. Con l’auto elettrica, vediamo qualcosa di simile con l’aggravante di un elemento esterno rappresentato dalla infrastruttura di ricarica in cui bisogna ancora investire per renderla fruibile nelle città. Le soluzioni ci sono, basta guardare all’estero. A Londra trovi le spine per ricaricare le auto, a costi convenienti, sui pali della luce. La vettura elettrica richiede indubbiamente un cambio di mentalità, ma è già adatta a molte più persone di quella che la scelgono ed una volta che si inizia a utilizzarla, i benefici diventano evidenti: efficienza energetica, costi di gestione ridotti, e una guida più fluida per non parlare dell’effetto positivo per il paese Italia che potrebbe sempre più alimentare il posizionamento di Bel Paese spingendo ulteriormente sulle rinnovabili”. Pensiamo per un secondo al vantaggio se semplificassimo la possibilità per tutti di istallare pannelli solari sui capannoni industriali, condomini, uffici. A parte l’abbattimento dei costi di questi pannelli, la possibilità di “fare il pieno” alla propria auto gratuitamente producendo la propria “energia pulita” sfruttando la caratteristica principale delle auto, ovvero il fatto che rimangono parcheggiate circa 20 ore su 24 sempre negli stessi punti.

Quali sono stati i principali ostacoli all’adozione dell’auto elettrica in Italia?
“A parte la mentalità come abbiamo detto,probabilmente la mancanza di infrastrutture adeguate per la ricarica, di politiche di semplificazione per facilitarne la diffusione, e di incentivi governativi, soprattutto rivolti agli “early adopters” quali ad esempio le aziende, dando un chiaro segnale che ci sia interesse ad andare verso la transizione. In Germania e Francia, ad esempio, ci sono stati incentivi fiscali e politiche di malus/bonus che ne hanno accelerato l’adozione. In Italia, questi strumenti sono stati meno incisivi o intermittenti”.

E come vede il ruolo delle case automobilistiche in tutto questo?
“Le case automobilistiche hanno investito molto nell’elettrico, vedendolo come il futuro della mobilità. Ma l’investimento da solo non basta; c’è bisogno di una sinergia tra industria, governo e consumatori ed aggiungerei anche tra i diversi governi europei per poter essere competitivi in questo mondo globale. Le aziende hanno fatto la loro parte, ma senza un supporto significativo da parte delle istituzioni, l’adozione potrebbe essere più lenta del necessario”.

Quindi, quali sarebbero le politiche necessarie per accelerare questo cambiamento?
“Serve una politica industriale chiara e duratura. Incentivi fiscali per l’acquisto di veicoli elettrici, investimenti in infrastrutture di ricarica, e forse anche penalizzazioni per i veicoli ad alte emissioni. È fondamentale che il governo agisca come un facilitatore, non solo come un regolatore.

Guardando al futuro, crede che l’auto elettrica diventerà la norma?
“Assolutamente sì. La transizione è inevitabile, solo la velocità di questa transizione può variare. Una volta che il mercato si abituerà alle auto elettriche, vedremo un punto di non ritorno, proprio come è successo con altre tecnologie automobilistiche. L’importante è che oggi facciamo le scelte giuste per non perdere ulteriori anni”.

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Già, come fare le scelte giuste?
“La globalizzazione ha radicalmente cambiato il panorama dell’industria automobilistica. Oggi, le aziende devono essere estremamente efficienti per competere in un mercato dove gli Stati Uniti stanno investendo pesantemente e la Cina domina come il più grande mercato mondiale di auto. La Cina, in particolare, ha scelto di puntare sull’auto elettrica come tecnologia futura da diversi anni, diventando leader nella produzione di batterie, accaparrandosi le materie prime, beneficiando di economie di scala record e, forse, di sovvenzioni governative che permettono di offrire veicoli a prezzi molto competitivi, ma non è troppo tardi per identificare come competere nel mercato del futuro e quali spazi poter ancora occupare”.

Come vedono le case automobilistiche europee questa competizione?
“Le case europee si trovano in una posizione difficile. La disaggregazione dell’Europa, sia per storia che per interessi nazionali, impedisce di ottenere quelle economie di scala necessarie per competere globalmente. Abbiamo molti marchi sovrapposti, cosa che rende difficile una strategia unificata e coesa come quella che vediamo in Cina o negli Stati Uniti”.

Quindi, la frammentazione dell’Europa è un problema per l’industria automobilistica?
“La frammentazione europea giova ai cinesi e agli americani, dove le aziende possono consolidare risorse e marchi. In Cina, nonostante la nascita di molte startup, i marchi consolidati sono pochi e molto forti. Negli Stati Uniti, vediamo una tendenza simile in varie industrie, dove poche aziende dominano il mercato. Questo modello permette di raggiungere la dimensione necessaria per competere globalmente”.

Quali sarebbero le soluzioni per l’Europa per affrontare queste sfide?
“Serve una maggiore integrazione industriale e politica. L’Europa dovrebbe puntare su collaborazioni tra le case automobilistiche, magari attraverso joint venture o fusioni, per ridurre le sovrapposizioni e aumentare l’efficienza produttiva. Inoltre, è cruciale che l’UE sviluppi politiche industriali comuni che supportino l’innovazione tecnologica e la transizione verso veicoli a zero emissioni, magari con incentivi fiscali e investimenti in infrastrutture”.

E riguardo alla competizione con i marchi cinesi e americani?
“La competizione è dura, ma l’Europa ha un vantaggio in termini di qualità, presenza, innovazione e tradizione. Tuttavia, senza una strategia comune e senza sfruttare le sinergie interne, questi vantaggi potrebbero non bastare. L’Europa deve prendere esempio dai suoi concorrenti globali e puntare su un approccio più unificato e strategico”.

Come finirà?
“Se l’Europa riuscirà a superare la sua disaggregazione e a creare un fronte unito, avrà tutte le carte in regola per continuare a essere un leader nell’innovazione e nella qualità. Ma se continuerà sulla strada della frammentazione, rischierà di vedersi sorpassare da mercati più agili e uniti. La chiave è l’unità e la visione comune”.

Prima quando diceva che ora ci sono dei costruttori nuovi che partono sostanzialmente dal ‘prato verde’ mi ha ricordato quello che diceva Marchionne: “Tesla ha fatto una cosa straordinaria perché ha rivoluzionato tutto. Però bisogna essere onesti di quello che ha fatto Tesla poteva farlo qualsiasi altro costruttore”. Vero?
“Teoricamente è vero ma praticamente la vedo molto complicata. E la dimostrazione è il fatto che tutti hanno fatto retromarcia dopo aver annunciato di voler andare verso il modello agenzia con la distribuzione: se vuoi cambiare il sistema di vendita delle auto con in un modello distributivo più innovativo è complicato: per poterlo fare veramente dovresti cancellare la rete attuale e ripartire da zero come se fosse un nuovo brand. Allora si che la rivoluzione sarebbe fattibile. Ma questo vorrebbe dire buttare via investimenti di anni, rapporti consolidati di imprenditori di fiducia nei territori, che rappresentano un punto di forza nei confronti di marchi sconosciuti o emergenti”.

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 Ma ci sarà comunque un modo per cambiare.
“L’unica cosa vera in tutto questo sistema è che per poter competere con un nuovo modello distributivo devi rivedere le inefficienze del tuo attuale modello di vendita. E qui di inefficienze ce ne sono tante perché sono 100 anni che fondamentalmente i costruttori classici lavorano con le stesse modalità”.

Per uscire dalla crisi però bisogna per forza eliminare le inefficienze. O no?
“Questa crisi, come ogni crisi, ci offre l’opportunità di migliorarci, diventando più forti. La chiave è imparare ad aumentare la nostra efficienza e a valorizzare i punti di forza del modello distributivo attuale rispetto ai nuovi modelli di business che stanno emergendo”.

Quali sarebbero i punti di forza da sfruttare?
“La capillarità della rete distributiva, la presenza fisica sul territorio e, soprattutto, il rapporto di fiducia che i concessionari locali possono sviluppare. Spesso, però, questa fiducia viene tradita da carenze nella professionalità del personale, e su questo bisogna lavorare per garantire l’eccellenza”.

Come suggerisce di migliorare questa situazione?
“Investire nella professionalità e nella formazione del personale. Dobbiamo acquisire o rafforzare la credibilità attraverso servizi innovativi, flessibili e veloci. Prendiamo l’esempio di un concessionario che ha settimane di attesa per un tagliando; questo non sfrutta appieno il vantaggio della vicinanza rispetto a un servizio che può prendere l’auto, portarla lontano per la riparazione e restituirla più velocemente”.

E per quanto riguarda l’efficienza del modello distributivo?
“Durante il mio tempo in Jaguar Land Rover, abbiamo notato come la casa, il concessionario ma anche il cliente, perdevano valore nelle transazioni attraverso sconti che finivano per essere l’unico fattore di differenziazione tra concessionari. Abbiamo rivisto il modello, riducendo il margine cosi da limitare questa dispersione di valore, ed utilizzando la parte di margine sottratta per valorizzare il prodotto, offrire sistemi più veloci e orientati al cliente, centralizzando gli stock ed infine premiare la professionalità. Il cliente ha, di ritorno, un più alto valore residuo, ed il concessionario un margine certo su un volume che sarà guidato dalla professionalità ed il rapporto che offre sul territorio”.

Come si traduce tutto questo in pratica per i concessionari?
“I concessionari devono differenziarsi attraverso il valore aggiunto che offrono. Questo significa consulenza professionale, servizi innovativi e una gestione del magazzino che permetta di soddisfare le richieste dei clienti in modo rapido e efficiente. Non si tratta più solo di vendere un’auto, ma di offrire un’esperienza complessiva di qualità”.

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Qual è la sua “ricetta” per il successo nel post-crisi?
“La ricetta che vedo è lavorare su tre fronti: professionalità, innovazione nei servizi e efficienza distributiva. Se i concessionari riescono a combinare questi elementi, non solo sopravviveranno alla crisi ma ne usciranno rinforzati, pronti a competere in un mercato sempre più competitivo e globalizzato”.

È possibile tornare indietro sul Green Deal?
A prescindere se sia possibile o no sarebbe sbagliatissimo, un errore gravissimo. Innanzitutto, il Green Deal rappresenta una direzione inevitabile verso la sostenibilità. Per l’Italia, in particolare, questa transizione è un’opportunità straordinaria. Siamo un paese ricco di risorse naturali come il sole, il mare, e il vento, ideali per l’energia rinnovabile”.

In che modo l’Italia potrebbe beneficiare dal Green Deal?
“L’Italia potrebbe posizionarsi come un leader in sostenibilità. Non solo per l’energia rinnovabile ma anche per il cibo, il welfare, e tutti quegli aspetti che attraggono turisti e residenti. Immagina città con una mobilità a zero emissioni; questo contribuisce enormemente al nostro brand nazionale”.

E dal punto di vista delle case automobilistiche, cosa significa tutto questo?
“Per le case automobilistiche, il momento attuale è complesso. Con figure come Trump che parlano di un ritorno indietro, c’è una certa confusione sulla direzione da prendere. Tuttavia, le aziende hanno investito molto in tecnologie del futuro come l’auto elettrica. Tornare indietro non è solo impensabile, ma anche economicamente insostenibile”.

Perché allora c’è questa esitazione nell’avanzare?
“La vera questione è la domanda di mercato. Le tecnologie sono pronte, ma il mercato non lo è ancora. Le case automobilistiche non possono continuare a produrre veicoli che, pur essendo ideali per il futuro, non trovano ancora una domanda sufficiente nel presente. Questo porta a una necessità di rallentare finché la domanda non si sviluppa”.

Quindi, qual è la soluzione per stimolare questa domanda?
“La chiave è abbassare i prezzi delle auto elettriche, cosa che richiede economie di scala. Servono incentivi governativi per accelerare l’adozione, investimenti in infrastrutture di ricarica, e una comunicazione chiara e costante sui benefici della mobilità sostenibile. Solo così possiamo creare una domanda che poi sorbirà le nuove tecnologie”.

Perché le auto elettriche costano così tanto?
“Il motivo principale è che la tecnologia è relativamente nuova e, quindi, i costi di produzione sono ancora elevati rispetto alle tecnologie tradizionali già ammortizzate e collaudate. Questo è il nodo principale da sciogliere per rendere le auto elettriche più accessibili”.

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Quali sarebbero le soluzioni per ridurre questi costi?
“Serve un supporto governativo simile a quello che abbiamo visto in Norvegia. Per oltre un decennio, Norvegia ha adottato una serie di misure per stimolare la domanda. Si parla di esenzioni fiscali, accesso gratuito ai traghetti e ai parcheggi, e incentivi all’acquisto. Questi incentivi hanno creato un “tipping point” intorno al 30% delle vendite totali, punto in cui il mercato diventa auto-sostenibile”.

Può spiegarci meglio questo “tipping point”?
“Una volta superata la soglia del 30% delle vendite di veicoli elettrici, il mercato inizia a sviluppare dinamiche proprie. La domanda cresce, le economie di scala entrano in gioco, e i costi di produzione iniziano a diminuire. A questo punto, i supporti governativi possono essere ridotti o eliminati, come è successo in Norvegia, dove ora la maggior parte delle auto vendute è elettrica senza bisogno di incentivi”.

Ma come mai la Norvegia, con tutte le sue sfide climatiche e industriali, è riuscita in questo processo?
“È davvero affascinante. Norvegia è un Paese freddo dove le batterie dei veicoli elettrici soffrono, ed è anche l’unico paese in Europa che estrae petrolio. Tuttavia, invece di utilizzare il petrolio per il proprio mercato, lo esporta, mostrando una forte volontà politica di transizione verso una mobilità sostenibile. Questo ci dovrebbe far riflettere sul potenziale delle politiche pubbliche nel guidare cambiamenti significativi.

Quindi, il successo di Norvegia suggerisce che con la giusta politica, anche altri paesi possono seguire questa via?
“Assolutamente. Il successo di Norvegia dimostra che, con politiche mirate e a lungo termine, è possibile non solo ridurre i costi delle auto elettriche ma anche trasformare un’intera società verso la sostenibilità. È una lezione di come la volontà politica può superare anche le barriere ambientali e industriali per il bene comune”.

Ci lasci con una bella pennellata di ottimismo su questo maltrattato mondo dell’auto e la sua crisi.
“Sono fermamente convinto che, sebbene il 2025 e forse anche il 2026 e 2027 saranno anni di grande transizione e difficoltà, questa disruption porterà a un cambiamento radicale. Quello che stiamo vivendo è una necessità di ripensare completamente le modalità operative delle case automobilistiche e il modo in cui lavorano le persone al loro interno”.

In che modo vede questo cambiamento come un’opportunità?
“Questa grande trasformazione porterà il settore automotive a essere di gran lunga più avanzato rispetto a quanto conosciamo oggi. Quando ho iniziato a lavorare nel settore negli anni ’90, e ancora negli anni 2000, l’industria automobilistica era tra le più arretrate rispetto ad altri settori come la telefonia o l’informatica. Ma credo che entro il 2030, l’automotive sarà uno dei settori più avanzati”.

Cosa la rende così ottimista?
“Questa transizione forzata verso nuove tecnologie, la mobilità elettrica, l’autonomia dei veicoli, e l’integrazione con le smart cities, richiede un salto generazionale in termini di competenze, innovazione, e approccio al lavoro. Questo salto porterà non solo a miglioramenti tecnologici ma anche a una nuova cultura aziendale, più agile e innovativa”.

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Quindi, vede questo come un’evoluzione positiva?
“Assolutamente. L’industria dovrà innovarsi, crescere e adattarsi rapidamente. Questo processo trasformerà il settore in uno dei più evoluti del nostro tempo. Parliamo di un’automotive che non si limita più a produrre veicoli ma che diventa parte integrante di un ecosistema tecnologico e sostenibile. Questo è l’ottimismo che voglio trasmettere: l’automotive ha davanti a sé un futuro luminoso, se sfrutta questa crisi come un’opportunità per reinventarsi”.



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