Roccaraso, al di là della sua specificità, è solo l’apice di un fenomeno articolato come quello dell’overtourism, che sta provando località diversissime a ogni grado di latitudine. Nella stazione sciistica abruzzese – un borgo di 1.500 abitanti a circa 1.200 metri d’altitudine – un grande e inaspettato afflusso turistico ha messo in crisi le infrastrutture locali provocando ingorghi stradali e disagi alla cittadinanza. E ha sollevato enormi polemiche. Con Stefano Duglio, docente al Dipartimento di Management “Valter Cantino”, che si occupa di sviluppo turistico in aree marginali, proviamo a individuare i nodi della questione, compreso il ruolo dei social media nell’indirizzare i flussi turistici, cercando di capire quali rimedi potrebbero essere messi in campo.
Prof. Duglio cosa s’intende quando si parla di overtourism o iperturismo?
In estrema sintesi, si parla di overtourism quando si assiste a un sovraffollamento turistico che si concentra in località o siti specifici e/o per periodi limitati di tempo, comportando delle difficoltà di gestione del turismo da parte delle località ospitanti. In altre parole, quando il numero di visitatori supera, di molto, la capacità di carico della destinazione turistica. È un fenomeno non nuovo, ma che è venuto alla ribalta negli ultimi anni a seguito di eventi che hanno anche avuto un risalto internazionale. Mi viene in mente, ad esempio, la famosa fotografia della coda di alpinisti sulla cima dell’Everest, scattata da Nirma Purja e postata su Facebook qualche anno fa. L’overtourism interessa molte località turistiche e desta preoccupazione per le implicazioni che può avere sia da un punto di vista di depauperamento delle risorse ambientali, ma anche per l’impatto sul tessuto sociale e culturale delle comunità ospitanti. Anche in ambito accademico si sta studiando il fenomeno. Il nostro gruppo di ricerca, in occasione della prossima International Mountain Conference di Innsbruck, organizzerà una tavola di lavoro che affronterà anche il problema dell’overtourism nei rifugi alpini.
Quali sono le cause del sovraffollamento turistico?
Possono essere molteplici. Innanzitutto, la capacità attrattiva della località stessa, per esempio, per la sua unicità. Su tutti, Venezia è il caso più ampiamente dibattuto sui giornali: un recente studio della Università di Cà Foscari riporta come la città sia visitata, in media, da circa 98 mila turisti al giorno. Anche la presenza di contesti naturalistici di assoluto pregio ambientale è un fattore attrattivo importante: si pensi al Grand Canyon in Arizona, negli Stati Uniti, che accoglie circa 5 milioni di visitatori all’anno. Ma, senza andare tanto lontano e rimanendo in Piemonte si possono citare le località di Pian della Mussa, Col del Nivolet o del Pian del Re, che vedono forti afflussi turistici, soprattutto concentrati nei sabati e nelle domeniche estive. In altri casi il sovraffollamento può essere causato da condizioni “di contesto” particolari, che agevolano una presenza turistica solo in brevi periodi dell’anno: le spedizioni alpinistiche e i gruppi organizzati di trekker in Himalaya si concentrano in alcuni periodi dell’anno (ad esempio a settembre) dopo la stagione dei monsoni, per sfruttare al meglio le finestre di bel tempo. O, ancora, l’overtourism può essere veicolato dall’organizzazione di un grande evento per un periodo di tempo limitato, come può essere un’Olimpiade. Quello che è necessario tenere in considerazione, però, è il rapporto fra il territorio ospitante e il numero di visitatori, in modo da capire se si stia superando la capacità di carico di quell’area e si sia davvero di fronte davvero al fenomeno dell’overtourism.
Che ruolo hanno i social in tutto questo?
Credo che i social, e i cosiddetti influencer, abbiano lo stesso ruolo che in generale stanno dimostrando di avere sulla società tutta, ovvero una grande capacità di veicolare l’informazione a un pubblico molto ampio. In questo senso, questa capacità di fungere da “megafono” e trasmettitore di informazioni, nel bene e nel male, e la difficoltà di poter tracciare in tempo reale il tipo di informazione e l’utenza di riferimento, li rende una potenziale fonte di pericolo. Il recente caso di Roccaraso in Abruzzo, alla ribalta della cronaca nazionale di questi giorni, credo che sia sintomatico del loro potenziale ruolo. D’altro canto, però, se bene utilizzati, i social possono anche veicolare informazioni utili e svolgere un’attività educativa importante, magari promuovendo località meno conosciute. Come sempre, non è tanto la tecnologia in sé il problema, ma l’uso che si decide di farne.
Quali sono invece gli effetti del sovraffollamento turistico nei piccoli centri e nelle grandi città? Ci sono delle differenze?
A livello generale e qualitativo, gli effetti sono simili, ma a livello della magnitudo dell’impatto sarebbe necessario analizzare caso per caso. Le destinazioni turistiche più consolidate hanno imparato nel tempo a organizzare e gestire un’offerta turistica, in alcuni casi anche di grandi numeri, e, in un certo senso, possono reagire meglio a fenomeni localizzati di overtourism. I piccoli centri, magari meno organizzati e attrezzati, possono avere chiaramente più difficoltà. In ogni caso, fenomeni come il congestionamento del traffico, il rumore, la produzione di rifiuti e i possibili conflitti fra visitatori e residenti sono criticità comuni da gestire, che, oltretutto, impattano anche sulla percezione della località stessa da parte del turista. In alcuni casi, infatti, si rischia un effetto boomerang: migliaia di persone vanno un luogo perché bellissimo e così facendo contribuiscono a rovinarlo, minando alla base le condizioni stesse che hanno definito quel luogo come meta turistica.
Secondo una ricerca prodotta da The Data Appeal Company, elaborando dati consolidati di Banca d’Italia e Istat, si stima che il 70% dei turisti si concentra sull’1% del territorio italiano. È possibile distribuire il turismo in modo più uniforme anche su altre località italiane?
Parlerei di distribuzione spaziale, ma anche temporale. Da molto tempo si discute di “destagionalizzazione” del flusso turistico. Penso, ad esempio, alle aree montane dove da molti anni siamo impegnati come gruppo di ricerca in studi sulla sostenibilità delle pratiche turistiche. In questo caso si cerca di sviluppare strategie per distribuire il flusso turistico in maniera più uniforme lungo l’intero arco dell’anno, in modo di evitare i “picchi”, ma anche consentire un allungamento del periodo lavorativo utile per gli operatori economici locali. Chiaramente, le difficoltà sono molte, a partire da un tessuto economico e sociale, almeno a livello italiano, ancora molto legato a periodi di vacanza classici. Sulla distribuzione “spaziale”, dalle grandi mete turistiche alle località “minori”, molto dipende dalla capacità delle località stesse nel saper organizzare e promuovere un turismo di qualità che, a mio parere, potrebbe trovare fondamenta su due grandi pilastri, il patrimonio ambientale e culturale, di cui la nostra nazione è ricca. Chiaramente, è un processo che necessita di progettualità, investimenti, professionalità e un po’ di pazienza in quanto i risultati non sono sempre immediati.
Ci sono dei tentativi di regolamentazione del fenomeno – ha fatto discutere ultimamente la decisione dei comuni tra Belluno e Bolzano di limitare il turismo sulle Tre Cime di Lavaredo o la decisione di alcune città di introdurre una tassa di soggiorno più salata – stanno funzionando e quali possono essere i rimedi? Che ruolo ha la politica?
Credo sia presto per dare una risposta a questa domanda. Ci vorrà un po’ di tempo per comprendere se i vari tentativi di regolamentazione avranno conseguito gli effetti sperati. È chiaro che limitare l’accesso a un numero contingentato di auto verso una specifica località montana consente di limitare l’afflusso nell’area, ma se non si fa un ragionamento di più ampio respiro si rischia semplicemente di spostare il problema più a valle. Per questo motivo penso sia necessario analizzare il contesto caso per caso: non esistono soluzioni “copia-incolla” sempre valide. La politica può dare certamente una grande mano, ma, secondo me, con una accortezza, ovvero che le scelte siano definite con le comunità locali, sulla base di un’attenta analisi delle esigenze delle stesse. È un approccio che impieghiamo nelle nostre ricerche, su tutte cito le ultime due che abbiamo condotto a stretto contatto con due territori piemontesi: Alagna Walser Green Paradise ad Alagna Valsesia, dove abbiamo operato per implementare strategie di ecoturismo per la stagione estiva, e SciAlp a Valprato Soana e Balme, con cui abbiamo ragionato sulla riconversione delle microstazioni sciistiche a bassa quota. Sono esempi che mi permettono di tornare al ragionamento di prima: ogni situazione ha delle sue peculiarità, che devono essere comprese appieno per poter intervenire il più efficacemente possibile. In tal modo, inoltre, si eviterebbero anche possibili strumentalizzazioni da parte di gruppi di interesse che a vario titolo potrebbero cercare di “sfruttare” il dibattito sull’overtourism per promuovere, appunto, interessi di categoria.
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