Fulminea indagine sul Governo tra giustizia e tensioni politiche

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A mia memoria non s’era ancora da noi dato il caso della contemporanea e fulminea iscrizione nel registro delle notizie di reato del Presidente del Consiglio dei ministri, di due altri ministri e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, vale a dire di quello che è, dopo il Capo del governo, il principale esponente dell’Esecutivo. Tra gli indagati figura il ministro della Giustizia, l’unico membro del Gabinetto espressamente nominato individualmente dalla Carta costituzionale. E non per caso: ma perché è colui che esercita la vigilanza con legittimazione politico-democratrica sulle deviazioni della Magistratura, attraverso l’attivazione della funzione ispettiva, nonché di quella disciplinare su ogni magistrato, oltre a rendere il concerto sulle principali nomine dell’ordine giudiziario. Ma non qui si fermano le novità. La quadruplice iscrizione è stata disposta tambour battant (tre giorni) non da un quisque, bensì dal Procuratore capo della Procura della Repubblica di Roma, vale a dire da colui che ha compiti d’investigazione su tutto quanto accade nei palazzi del Governo. E non finisce qui. A parte la straordinaria celerità d’azione del Procuratore Francesco Lo Voi – questo il nome del noto inquirente romano – si dà il caso che ci si trovi pure in un momento storico di estrema tensione tra il mondo della politica e quello della Magistratura: e mentre è in corso nel Parlamento della Repubblica il procedimento di modifica della Costituzione, per ottenere il da tempo da moltissimi auspicato risultato – avversato però fieramente dalla Magistratura organizzata – della separazione tra le carriere dei giudici e pubblici ministeri, atto che personalmente reputo d’elementare civiltà giuridica; ed anche per ottenere (cosa terribilmente indigesta per le toghe, gelose vestali delle correnti interne all’Anm) il sorteggio dei magistrati che andranno a comporre i due Csm, quello dei giudicanti e quello degli inquirenti. E le singolarità nemmeno qui si fermano. Il suddetto Procuratore capo ha un importante contenzioso personale contro la Presidenza del Consiglio dei ministri in ragione della rivendicazione del diritto a fruire dei voli di Stato nei bisettimanali suoi trasferimenti verso la natia Palermo. Palermo, peraltro, la cui Procura reggeva quando fu avviato il processo al ministro Salvini, imputato d’aver nella sua qualità, e servendosi delle forze armate, posto in essere sequestri di persona (prosciolto in primo grado). Su quei voli di Stato, per un certo tempo fruiti, è intervenuto il sottosegretario ora indagato, Alfredo Mantovano, revocando la relativa autorizzazione, sul presupposto che non fossero necessari alla piena tutela del magistrato. Di qui la ferma reazione contenziosa di quest’ultimo che non deve aver gradito e non ha esitato ad investire della cosa il Consiglio di Stato e la stessa Presidenza della Repubblica. Insomma, non quisquilie, soprattutto a quelle altezze. Non da ultimo, l’esposto è stato presentato dall’avvocato Luigi Li Gotti, già esponente del Movimento sociale, poi dell’Italia dei Valori, per la quale è stato parlamentare e sottosegretario (alla Giustizia), infine dichiaratosi ormai vicino al Pd all’esito di questa lungo e variegato viaggio politico. Questi è stato anche difensore di molti mafiosi e pentiti, funzione che lo ha portato per necessità ad aver da fare stabilmente con esponenti dei Servizi e con la Procura di Palermo, dunque uomo con notevoli relazioni di sistema. La sua denuncia, corredata unicamente da articoli di stampa a quel che se ne dice, ha trovato l’immediato seguito. E ciò rispetto a fatti, evidentemente di natura politica, quale primariamente è la scelta del ministro della Giustizia in ordine alle richieste che vengono dalla Corte penale internazionale (anche sulle modalità tenute da questa ci sarebbe da dire), alla quale l’Italia ha aderito con trattato ed i cui provvedimenti devono passare per il vaglio dell’autorità politica. Molte cose non quadrano in un consimile quadro: e ciò anche a voler tralasciare che il mancato arresto del generale libico Almasri– prima facie – è stato disposto in ragione d’un procedimento nato irregolare, che il ministro della Giustizia non aveva alcun obbligo di sanare, per di più nel giro di poche ore e senza riflettere. Mentre l’espulsione è stata dettata da ragioni di sicurezza nazionale, non per ubbie del ministro Piantedosi. Non quadra la fulminea iscrizione nel registro notizie di reato, in appena tre giorni, dei più importanti esponenti del Governo, senza alcuna valutazione circa le conseguenze che un atto così grave avrebbe prodotto nella politica nazionale e nella condizione internazionale dell’Italia. Eppure, era ben evidente che quanto denunciato dall’avvocato-politico atteneva non ad atti d’arbitrio, bensì ad atti di carattere politico e d’insindacabile alta amministrazione. Ma la propria visione pangiuridica, il Procuratore l’aveva già messa in mostra a proposito del ministro Salvini e l’esperienza trascorsa non deve aver indotto prudenza. Non ha insegnato prudenza nemmeno il contesto politico delicatissimo; nessuna pausa di riflessione, sulla scorta di articoli di giornale e delle qualificazioni proposte dall’avv. Li Gotti, il dr. Lo Voi non ha visto altra via d’uscita, che passar le carte al Tribunale dei ministri, come si trattasse di pratica corrente da sbrigare al più presto, in tre giorni appunto, e prim’ancora si tenesse, il giorno successivo, il dibattito parlamentare che avrebbe molto contribuito a chiarire, anche a lui, le idee. Ma almeno una via d’uscita, straordinariamente opportuna, a mio sommesso avviso, l’aveva eccome. Recita l’art. 52 del codice di procedura penale che «il magistrato del pubblico ministero ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza». Ora, che il dr. Lo Voi, in un contesto politico di ribollente tensione (nel quale ogni atto della Magistratura che interessi la politica è a giusta ragione o meno, allegato al massimo del sospetto) con i suoi personali, precedenti trascorsi con gli uffici i cui titolari ha indagato – in particolare con il contenzioso con il sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio per i suoi viaggi palermitani,potenzialmente rilevanti sul piano della responsabilità contabile – non abbia avvertito l’esigenza cogente d’una sua astensione rispetto al compimento di un atto a tal punto dirompente, beh questo a me pare il fatto tra tutti il più rilevante nel giudicare dell’uomo e della vicenda. Ma so anche che ormai gran parte delle regole e del senso comune è saltata, e dunque ci troviamo nella situazione attuale. Ognuno però potrà giudicarne, suppongo, secondo proprio criterio. O





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