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Per il governo non serve aspettare la decisione della giustizia Ue
Avanti tutta, «a testa alta» e col timone puntato verso le coste dell’Albania. Giorgia Meloni è più infuriata che mai e non darà alle opposizioni la soddisfazione di mettere i sigilli ai centri di Shenjin e Gjader. La premier va avanti, perché è sempre più convinta che «il governo è nel giusto». La Corte d’appello non ha convalidato il fermo di 43 migranti e lei ha già deciso la linea: ricorso in Cassazione. Anche perché tra Palazzo Chigi e Viminale la decisione di sospendere il giudizio in attesa del verdetto della Corte di giustizia Ue è stata letta come un segnale di debolezza dei magistrati.
A Palazzo Chigi temevano il nuovo colpo di ruspa, il che in parte spiega i toni di Meloni contro uno dei pilastri dell’architettura costituzionale. Giovedì, rispondendo a Nicola Porro, la premier aveva tuonato contro quei giudici, «fortunatamente pochi, che vogliono decidere la politica dell’immigrazione e se e come riformare la giustizia». E ieri si è ancor più convinta che calarsi l’elmetto sulla testa e scendere in trincea contro le presunte «toghe rosse» di berlusconiana memoria sia stata la scelta giusta. E così, a caldo, ha affidato a fonti di governo il suo «grande, profondo stupore» per la decisione di quei magistrati della Corte d’appello a cui aveva consegnato per decreto l’onere di decidere del destino dei profughi dopo le sentenze sfavorevoli al governo.
«A nostro avviso non c’è la necessità di aspettare il pronunciamento della giustizia europea», è la reazione ufficiosa dei vertici dell’esecutivo. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ha consegnato al partito il mandato di attaccare la Corte d’appello per «non aver rispettato la decisione della Cassazione», in virtù della quale competerebbe al governo individuare i «Paesi sicuri». In uno dei suoi dispacci, diffusi via social per puntellarsi a colpi di «mi piace», Meloni si è dipinta come un capo di governo che «lavora senza sosta per portare risultati all’Italia». Mentre fuori da Palazzo Chigi, nei corridoi dei tribunali e nei partiti di opposizione, «c’è chi prova invano a smontarli». L’attacco alle toghe, o contrattacco che sia, in termini di consenso funziona e lei lo rivendica postando la Supermedia Youtrend. Se Fdi sale di mezzo punto rispetto al 16 gennaio e agguanta il 30,1%, vuol dire che «nonostante gli attacchi gratuiti e i tentativi di destabilizzare il governo, il sostegno degli italiani rimane solido».
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Per le opposizioni è una deriva trumpiana. Per lei è la constatazione che il lavoro del suo esecutivo «per difendere l’interesse nazionale è quello giusto». E dunque, ecco il teorema, sbagliano quei magistrati che «vogliono governare» e usano le carte bollate per smontare il lavoro della destra. Vale per la sentenza sui migranti, vissuta come un «boicottaggio» e un gesto di «resistenza» delle toghe frutto di un «disegno politico», e vale per il caso del torturatore libico Almasri, rimandato a Tripoli con tanto di volo di Stato. Scelta che ha portato il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, a iscrivere nel registro delle notizie di reato la premier, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.
Prima di girare il video in cui ha dichiarato guerra alle toghe, Meloni martedì pomeriggio è andata al Colle per informare il capo dello Stato dell’avviso ricevuto. «Mattarella non sapeva nulla, Lo Voi non ha avuto la cortesia di fargli una telefonata», rimprovera un meloniano. Occhi negli occhi, la leader della destra ha condiviso con il presidente l’arrabbiatura per un atto che giudica «arbitrario e per nulla dovuto». Gli ha spiegato di ritenerlo «un attacco al governo, alla democrazia e allo Stato» e lo ha informato delle sue bellicose intenzioni politiche: «È una cosa che non ha precedenti e non starò ferma, prenderò le mie contromisure». A Chigi sperano che aver fatto trapelare la notizia possa togliere armi agli avversari, come se aver parlato col capo dello Stato possa garantire alla premier una qualche «copertura».
A proposito di «contromisure», il centro studi di FdI, che ha la supervisione di Fazzolari, ha messo a punto un circostanziato dossier contro Lo Voi. In cui tra l’altro si legge che Giuseppe Conte, da premier «per gli affari correnti», il 9 febbraio 2021 candidò il procuratore alla Corte penale internazionale. Sanzionare il magistrato è una priorità per il cerchio magico della premier. Martedì Mantovano riferirà al Copasir, non su Almasri, bensì sulla vicenda che riguarda il capo di Gabinetto, Gaetano Caputi. Il sottosegretario insisterà su un documento riservato dell’Aisi arrivato al Domani, con l’intento di causare problemi disciplinari al procuratore.
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