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Milano, 3 feb. (Adnkronos) – Il ricambio generazionale nelle imprese familiari italiane non è solo un passaggio obbligato, ma può rappresentare una grande opportunità strategica: le aziende che hanno affrontato un passaggio generazionale tra il 2013 e il 2022 hanno risultati economico-finanziari superiori alla media, con un differenziale positivo medio annuo del 7,4% nei ricavi, del 3,5% nel Roe e del 11,5% nel tasso di crescita delle immobilizzazioni. Questo dato si inserisce in un quadro complessivo di grande vitalità del tessuto imprenditoriale unito a una notevole (e anzi crescente) solidità patrimoniale. E’ quanto emerge dal XVI rapporto dell’Osservatorio Aub, promosso da Aidaf (Italian Family Business), Unicredit, Cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle aziende familiari (Università Bocconi) e Fondazione Angelini con il supporto di Borsa Italiana ed Elite, l’ecosistema che supporta le aziende familiari nella crescita sostenibile, accelerando l’accesso a capitali, competenze e relazioni.

Questa edizione, curata da Carlo Salvato e Fabio Quarato, continua i motivi di interesse della XV edizione illustrando, oltre alle caratteristiche della ripresa dopo la crisi pandemica, anche altri rilevanti indicatori per questa categoria di imprese, che costituisce un pezzo fondamentale dell’economia italiana. Non si tratta di una indagine a campione ma di uno studio su tutte le aziende familiari italiane con un fatturato di almeno 20 milioni di euro, cioè 15.836 imprese. Questo numero rappresenta da solo un risultato importante, poiché sono ben 4.201 le imprese che sono entrate nella rilevazione solo quest’anno, con un incremento del 36,1% rispetto all’anno precedente e addirittura del 55% rispetto a dieci anni fa. Una crescita così forte, evidentemente, è solo in piccola parte dovuta all’effetto soglia e testimonia il dinamismo dell’imprenditoria familiare italiana.

Prosegue anche quest’anno la ripresa dopo la battuta di arresto costituita dalla pandemia, anche se con tassi di crescita molto più contenuti rispetto a quelli visti l’anno scorso. Particolare attenzione, inoltre, è stata dedicata all’osservazione di uno dei momenti più critici nella vita di una azienda familiare: il passaggio del comando da una generazione (spesso quella del fondatore) a quella seguente, chiamata ‘NextGen’, confrontando i profili dei NextGen familiari con quelli dei manager esterni. Il passaggio generazionale ha registrato un’accelerazione dal 2020, dal 1,5% all’anno nel periodo 2013-2019 al 2,1% annuo nel triennio 2020-2022. Le aziende che hanno effettuato un passaggio generazionale hanno mostrato miglioramenti in vari indicatori di performance, come crescita dei ricavi, immobilizzazioni, Roa, Roe e rendimento dei dipendenti.

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La NextGen è caratterizzata da un alto livello di istruzione, con circa il 70% dei successori che possiede almeno una laurea di primo livello. I manager esterni ma soprattutto le donne della NextGen tendono ad avere un livello di istruzione leggermente più elevato rispetto ai NextGen uomini. L’esperienza lavorativa esterna all’azienda di famiglia e quella internazionale amplificano positivamente l’impatto del passaggio generazionale sulle performance aziendali. In particolare, i successori con esperienza lavorativa esterna di almeno un anno o con esperienza internazionale di almeno sei mesi hanno fatto registrare performance superiori rispetto alla media.

Sottolinea Fabio Quarato: “Premesso che l’Osservatorio Aub è l’unico attore a mappare queste dinamiche in modo rigoroso, questo punto è di grande interesse, e continueremo a studiarlo negli anni prossimi: i figli che subentrano ai padri hanno un livello di istruzione paragonabile ai manager esterni che subentrano ai leader della generazione precedente. Quello che resta ampio è il divario in termini di esperienza al di fuori dell’impresa familiare, che nella NextGen familiare è molto meno significativa rispetto ai manager esterni. Va anche detto però che oggi stiamo fotografando la situazione di chi ha completato il proprio percorso di studi circa vent’anni fa, per cui è molto probabile che questo differenziale si stia già riducendo”.

“I numeri dell’Osservatorio Aub -aggiunge Cristina Bombassei, presidente di Aidaf- confermano che le imprese familiari che hanno effettuato un passaggio generazionale, in crescita nell’ultimo triennio, hanno mostrato performance migliori in quanto a redditività, produttività e solidità patrimoniale. Questo anche grazie al ruolo strategico della NextGen familiare come agente di cambiamento, in grado di portare nuove competenze, soprattutto nei settori tecnologici e innovativi, per meglio rispondere alle dinamiche di mercato e contribuire alla modernizzazione dei processi aziendali. Dall’analisi dei profili della NextGen, un elemento di novità che ho trovato molto interessante di questa edizione dell’Osservatorio, si evince un’evoluzione dei modelli di leadership e del grado di diversity presente negli organi di governo delle aziende familiari. Le NextGen donne, pur mostrando una maggiore preparazione accademica, hanno però opportunità di leadership nelle aziende familiari ancora limitate. Continuare a incoraggiare il percorso di diversity si conferma tra gli obiettivi di Aidaf, che lavora da tempo e con passione per realizzare una transizione verso modelli di governance più evoluti e favorire un ricambio generazionale sempre più strategico”.

Un altro aspetto approfondito nel rapporto è quello relativo all’apertura del capitale delle imprese familiari. Circa l’8,1% delle aziende familiari con fatturato superiore a 20 milioni di euro ha aperto il capitale attraverso operazioni di cessione di quote di minoranza, quotazione in Borsa o cessione del controllo. Come spiega Carlo Salvato, titolare della Cattedra Aidaf-Wy in Strategia delle aziende familiari in memoria di Alberto Falck alla Bocconi, “l’effetto positivo dell’apertura del capitale è molto forte quando l’apertura del capitale avviene attraverso l’ingresso di azionisti di minoranza nel capitale, soprattutto se di natura industriale, e attraverso la quotazione in Borsa. In particolare, le operazioni di minoranza con partner industriali mostrano un impatto particolarmente positivo sulla redditività e sulla crescita del fatturato. Allo stesso modo, la quotazione in Borsa amplifica molto il livello di internazionalizzazione e l’effetto positivo sugli investimenti”.

L’apertura del capitale nelle aziende familiari italiane ha un impatto significativo sulle loro performance aziendali: le aziende che hanno aperto il capitale attraverso operazioni di minoranza e quotazione in Borsa mostrano miglioramenti in vari indicatori di performance. In particolare, queste aziende registrano una redditività superiore rispetto alla media nazionale, con un aumento del Roi a partire dall’anno di apertura del capitale. Inoltre, l’apertura del capitale è associata a tassi di crescita del fatturato più elevati e a un incremento significativo del livello di internazionalizzazione. Le aziende che hanno aperto il capitale tendono anche a investire di più, con una crescita delle immobilizzazioni superiore alla media.

Infine, il numero di aziende familiari che investe all’estero è cresciuto di 704 unità rispetto alla rilevazione della XI edizione (con dati relativi al 2019), tuttavia la loro incidenza si è leggermente ridotta. Questo è dovuto al (forte) incremento di aziende familiari monitorate dall’Osservatorio, che sono in larga misura aziende di minori dimensioni e spesso non internazionalizzate. La propensione verso l’internazionalizzazione è favorita dai modelli di leadership collegiali e modelli di governance meno ‘familiari’. In particolare, i modelli con un Cda ‘aperto’ mostrano una maggiore tendenza ad internazionalizzarsi. Pertanto, il contributo di professionisti non familiari si conferma essere determinante, soprattutto nelle aziende familiari di maggiori dimensioni, che sono anche quelle più propense ad investire all’estero.



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