Testi/ Piano Mattei c’è ma non c’è – [Arci

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Testi degli interventi svolti nell’incontro del Pd Lombardia e cooperazione del 31 gennaio 2025 a cura di alliev3 della Scuola Castellini, impegnati in uno stage al circolo Arci ecoinformazioni di Como. I testi NON RIVISTI DAGLI AUTOR3 sono stati ottenuti da trascrizioni automatiche e migliorate con intelligenza artificiale. I numeri alla fine dei titoli si riferisco ai video pubblicati nel canale youtube di ecoinformazioni. Qui si trova la playlist dei video.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0096

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Se vogliamo, in questa sede, almeno l’avvio di una fase anche nuova di lavoro del gruppo del Partito Democratico sul tema della cooperazione, con uno sguardo evidentemente lombardo, ma ovviamente in un orizzonte globale, ci teniamo molto. Tra l’altro, a sottolineare il fatto che abbiamo voluto, in punta di piedi ma con tanta malinconia e dolcezza, ricordare e in questa occasione quindi dedicarli questa mattinata di confronto e di lavoro. Tra l’altro, il confronto e il lavoro comune credo siano proprio caratteristiche che lo hanno riguardato. Ricordiamo questa mattinata Riccardo Bonacina, che non c’è più. Gli dedicherei un [applauso], amico interlocutore di tantissimi di noi e profondo conoscitore del tema della cooperazione e attraverso vita, ma non solo evidentemente. Attento e profondo analista delle dinamiche globali e locali che costruiscono una buona politica di cooperazione. Questa mattinata è davvero una mattinata di lavoro; si alterneranno più punti di vista, più, diciamo, funzioni e ruoli. Ovviamente, tra poco daremo la parola a Raffaele Cattaneo, che ringraziamo per essere qui con noi, e abbiamo, io credo, la necessità di far sì che il tema della cooperazione allo sviluppo sia un tema gestito in modo molto più ambizioso, trasparente, con una forte partecipazione dei soggetti. Pochi giorni fa c’è stata la presentazione del rapporto di Ox Italia sulla disuguaglianza, volevo leggere qualche riga perché credo fotografi in maniera spietata ed efficace il contesto nel quale ci troviamo a livello globale. Laddove si afferma che grandi multinazionali dominano le catene di approvvigionamento globali beneficiando della manodopera a basso costo, della continua estrazione di risorse dal Sud del mondo, incamerano una quota crescente dei profitti globali e perpetuano la dipendenza, lo sfruttamento e il controllo attraverso i mezzi economici. Sebbene il continente africano detenga una quota considerevole delle riserve minerarie globali, in particolare quelle necessarie per produrre tecnologie verdi, come le batterie dei veicoli elettrici e le turbine eoliche, l’Africa rimane povera. Il 43% della sua popolazione non ha accesso all’elettricità e solo il 2% delle esportazioni continentali di minerali indispensabili per la transizione energetica è destinato ad altri paesi africani. E poi prosegue: queste poche righe, nella loro, credo, inequivocabile lucidità, fotografano il contesto in cui ci muoviamo e in cui si deve muovere una buona e ambiziosa politica di cooperazione, di cooperazione allo sviluppo, in coerenza con, ormai, dieci anni dall’approvazione della legge che aveva fatto fare un passo avanti in un paese che a livello nazionale non si era dotato di una legislazione che invece era avanzata, in coerenza anche con gli indirizzi del Parlamento europeo. Poi interverrà Cecilia Strada della Commissione. Noi, quindi, sviluppiamo il confronto di oggi in un contesto nel quale riteniamo che la regione Lombardia debba ritrovare l’ambizione che, diciamo, ha caratterizzato e caratterizza l’impegno di tante organizzazioni da tempo e, a volte, anche in supplenza di un ingaggio istituzionale. Sono state, diciamo, direttamente attrici di buoni interventi di cooperazione o di sollecitazione a sviluppare politiche e attività riguardanti la cooperazione e in questo quadro chiediamo alla nostra istituzione, dove siamo, dove svolgiamo il nostro ruolo di opposizione esigente, combattiva e propositiva, di svolgere una funzione all’altezza dell’ambizione, della necessità globale e del capitale attivo di intelligenze, esperienze, storie rappresentate e presente nel territorio lombardo. Il confronto quindi che avviamo anche in questa sede con il sottosegretario delegato alle relazioni internazionali e europee Raffaele Cattaneo vuole essere, diciamo, improntato, vuole essere segnato da questo atteggiamento: siamo esigenti e propositivi e ci auguriamo che tutta la questione significativa della cooperazione sia gestita con questo tipo di approccio e nel massimo, ovviamente, anche della trasparenza, della capacità partecipativa offerta ai soggetti, della trasparenza nell’utilizzo delle risorse. E così, ovviamente, siamo anche nel tempo del Piano Mattei, non per nostra scelta e decisione, ma facciamo i conti anche con quella che per noi è una scatola, in questo momento, pericolosamente vuota, al di là dei titoli. È ancora uno strumento molto, molto ambiguo che può essere una buona piattaforma di implementazione e produzione di politiche di cooperazione se diventa una chance che si immagina con i soggetti che non si cala dall’alto e che riguarda, innanzitutto, ovviamente, l’azione delle istituzioni europee, investe sul partenariato, sul protagonismo, sulla capacità di valorizzare la ricchezza, comunque, di una società civile presente nel Sud del mondo e non, diciamo, sulla volontà di esportare un modello proprietario o neocoloniale, presente spesso dal punto di vista della cultura dei soggetti che intervengono a livello istituzionale in questa materia, ma che rischia di non solo essere clamorosamente ingiusto, ma di non far fare passi avanti sufficienti. Il Piano Mattei, che lo ricordo, ha individuato sei direttrici principali che tutti qui ben conoscete e che crediamo debba essere quanto si affrontano le questioni riguardanti lo sviluppo agricolo, il tema occupazionale, le questioni energetiche, le questioni riguardanti i sistemi sociosanitari, anche permeati dalla cultura della valorizzazione del rispetto dei diritti umani. E soprattutto non vogliamo che diventi quello che, invece, vediamo spesso diventare, cioè la faccia buona per nascondere le scelte pessime che si fanno in materia, ad esempio, di politiche migratorie o, per stare agli episodi della cronaca, anche in relazione a come si gestisce, ad esempio, la presenza di una figura accusata dalla Corte penale internazionale nel nostro paese di tortura, sfruttamento, violenza, abusi, perfino su bambini e soggetti fragili. Cioè, che non sia il modo per dire: “Noi facciamo il Piano Mattei per far crescere valori positivi” e intanto siamo quelli che… ciò non può stare insieme a una politica segnata da una consapevole schizofrenia, ambiguità di questo tipo. E questo è un tema politico che evidentemente non proponiamo certamente solo al sottosegretario Cattaneo, ma innanzitutto a livello nazionale, ai soggetti politici che sostengono il governo. Comunque, questa è un’occasione di lavoro e confronto. Ringrazio, tra l’altro, molto il consigliere Matteo Piloni che l’ha fortemente sollecitata, evoluta Michele Bellini che ha lavorato all’organizzazione di questo appuntamento, che oggi è bloccato a casa con l’influenza e quindi, diciamo, che lavoriamo anche in nome suo. E chiederei subito al sottosegretario Raffaele Cattaneo di portarci il suo punto di vista, il punto di vista di chi evidentemente non è qui solo per un saluto, diciamo, rituale, ma che è impegnato in un percorso di lavoro che vede un pezzo dell’istituzione regionale attiva su questi terreni. Prego Cattaneo, grazie.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0097

Mi sembra che questo sia certamente un’occasione preziosa. E devo dire che condivido il titolo di questa iniziativa: abbiamo bisogno di un nuovo modello per uno sviluppo condiviso, che è la prospettiva cui stiamo cercando di muoverci anche qui in Lombardia. Su questo tornerò fra un attimo. Condivido un po’ meno, lo dico subito, l’affermazione che c’è nella manchette ed è stata ripresa nell’introduzione da Francesco, che il Piano Mattei – cito testualmente – “non è la risposta giusta, presenta criticità legate alla prevalenza dell’interesse commerciale e al mancato coinvolgimento diretto dei paesi africani”. Devo dire che per l’esperienza che abbiamo avuto noi nei diversi incontri che abbiamo organizzato in questi mesi con il Direttore Generale della Cooperazione Stefano Gatti (ieri era l’ennesima volta fra di noi) con il Direttore Generale Marco Rusconi e anche con il Viceministro Cirielli, l’impressione che io ho raccolto in quegli incontri e in altre occasioni a cui ho potuto partecipare, pubbliche e private, è un po’ l’opposto. Cioè, proprio l’idea che il Piano Mattei voglia partire da un coinvolgimento diretto dei paesi africani e non voglia, come dire, favorire interessi commerciali, ma piuttosto immaginare una forma di cooperazione allo sviluppo che abbia l’ambizione anche di coinvolgere il mondo delle imprese e il mondo profit. Questo è un punto qualificante, su cui voglio sottolineare anche una peculiarità che caratterizza il lavoro che abbiamo ripreso sulla Cooperazione in questa legislatura.

Premetto che immagino molti non lo sappiano, io mi ero occupato di cooperazione allo sviluppo in passato quando facevo il dirigente in Regione Lombardia e da me dipendevano anche parte delle attività internazionali, quindi la cooperazione. Parlo dei primi anni 2000, più di 20 anni fa. Quelli erano anni in cui la Lombardia era la regione più avanti nella cooperazione allo sviluppo, anche quella che investiva più risorse, mediamente 10 milioni all’anno, eravamo arrivati a investire anche molti di più. C’era proprio uno sforzo che vedeva nella cooperazione uno strumento di relazioni internazionali della nostra regione, con un approccio solidaristico. Però la cooperazione in quegli anni era fortemente caratterizzata dall’idea della cooperazione ad “ono”. Cioè, era innanzitutto la capacità di offrire a paesi in difficoltà degli strumenti, nella forma di progetti che potevano essere: ti faccio il pozzo, ti faccio il centro di formazione, la struttura sanitaria che quei paesi da soli non erano in grado di darsi. Sto semplificando, eh? Mi perdonerete, ma insomma l’orientamento era prevalentemente quello lì. 20 anni dopo si vede che il mondo è un po’ cambiato e anche si vedono due cose: intanto, che alcuni paesi che allora erano oggetto delle nostre iniziative di cooperazione sono usciti dal quadro della cooperazione perché sono cresciuti. Insomma, io ricordo i progetti che facemmo allora con il Cile: il Cile è un paese che oggi cammina con le sue gambe, anche bene. L’altra cosa che si vede è che tutti i paesi, anche quelli che sono ancora in qualche modo in una condizione di sviluppo non del tutto completata, hanno comunque un approccio diverso. Cioè, non hanno voglia di essere considerati come quelli che hanno bisogno di un intervento assistenziale, solidaristico, caritatevole, chiamatelo come volete voi, e basta. Ma vogliono essere trattati da pari a pari. E questo è particolarmente vero con l’Africa. Si può discutere se questo sia giusto o non sia, però è un dato di fatto. Cioè, in tutte le occasioni, la più eclatante è stata la conferenza organizzata dal governo con tutti i capi di Stato e di governo africani, ma anche in quelle in cui noi incontriamo interlocutori di quei paesi, anche interlocutori della dimensione locale, si percepisce nettamente questa volontà di considerare gli interventi di cooperazione come occasione di sviluppo condiviso. Cioè, non venite qui a farci vedere che siamo dei poveretti che hanno bisogno del vostro aiuto perché senza il vostro aiuto non siamo capaci di fare neanche un passo avanti. Vogliamo un rapporto paritario, su base equa, e nella prospettiva di un mutuo interesse. Ricorderete che durante la conferenza africana c’è stato quell’intervento anche piuttosto sostenuto, no, che uno dei leader della Dune dell’Unione Africana ha proprio lamentato un po’ questo. Ha proprio detto: noi non vogliamo essere trattati da inferiori.

Il Piano Mattei ha un po’ quest’idea. Ma cosa vuol dire essere trattati da pari a pari, un paese come l’Uganda, come la Tanzania, come non so, quello che volete voi? Sto facendo anche un esempio, non sto citando né i paesi messi peggio né quelli messi meglio. Cosa vuol dire? A mio parere, vuol dire immaginare di costruire con loro un percorso che inneschi modelli di sviluppo territoriale, un percorso condiviso, quindi su temi prioritari condivisi con loro, con modalità condivise con loro, che però inneschi percorsi di sviluppo locale che possano essere duraturi. E chi è capace di innescare percorsi di sviluppo locale che possano essere duraturi? Beh, certamente il mondo delle ONG, delle OSC, che ha una tradizione di presenza in Lombardia, ne abbiamo un’ottantina, e sono tra le più significative. Poi ci sono centinaia di realtà che magari non hanno la forma dell’ONG o dell’OSC, ma che sono presenti in quei paesi. Pensate tutta l’attività nata intorno alle parrocchie, agli oratori, alle associazioni di volontariato. Quindi certamente queste realtà, che hanno il pregio di conoscere il territorio, però se vogliamo mettere in moto modelli di sviluppo, abbiamo bisogno anche di qualche altro attore. Abbiamo bisogno del mondo delle imprese e abbiamo bisogno del mondo della conoscenza, in primo luogo le università e la formazione qualificata.

E sono arrivato qui perché quello che abbiamo provato a fare in questi primi due anni, neanche di legislatura, non sono ancora due anni, partendo da una richiesta del mondo delle nostre OSC, è stato quello di costruire un tavolo in cui, per parlare di cooperazione, non ci fossero solo i cooperatori, ma ci fossero anche queste altre realtà. Questo tavolo multiattrezzo parte proprio dall’idea che se vuoi fare una cooperazione che funzioni oggi, devi mettere in campo una pluralità di attori e farli lavorare insieme. E a quel tavolo, quando è venuto il Viceministro Cirielli un mese fa, c’erano oltre 50 soggetti, tra cui tante rappresentanze del mondo dell’università che abbiamo scoperto che da tempo hanno progetti di cooperazione anche ben strutturati, e con tante parti del mondo. C’erano tante realtà del mondo imprenditoriale, le associazioni di categoria, i cluster industriali, anche alcune imprese particolarmente sensibili. C’erano alcuni centri di ricerca, cioè alcune realtà di formazione, penso ai for imp, che io sono convinto possono arricchire un modello di cooperazione come quello di cui abbiamo bisogno. Questo significa assumere una prospettiva neocolonialista? No, io credo di no. Credo che significhi assumere una prospettiva, come c’è nel titolo, di sviluppo condiviso. Condiviso vuol dire che, in qualche modo, deve tener conto delle ragioni e degli interessi di uno e degli altri. E questa non è una bestemmia, perché la cooperazione non è l’assistenzialismo. La cooperazione non è, come dice il Papa, quello che ti dà l’elemosina e non ti tocca neanche la mano perché gli dà fastidio, però lui ti ha fatto l’elemosina. No, non può essere così. Sono sicuro che nessuno in questa sala ha quell’idea di cooperazione. Cooperazione vuol dire: facciamo una cosa insieme, lavoriamo in un’azione comune che serve a costruire una prospettiva nella quale ci riconosciamo tutti. Però non è uno scandalo se questo può anche essere uno strumento che aiuta il rafforzamento della presenza delle nostre imprese, se è fatto con criteri come quelli che ho descritto.

Perché? E qui, perché ci sono delle ragioni, soprattutto se parliamo di Africa, che non possiamo ignorare. Sapete tutti che l’Africa, che oggi ha un miliardo e 3, raddoppierà i propri abitanti nei prossimi decenni. Chi dice nel 2050, chi dice anche prima, chi dice un po’ dopo, ma insomma, lì stiamo. Avrà una popolazione in cui le persone fra i 20 e i 40 anni, cioè quelle che devono lavorare, mettersi su famiglia, avere una vita attiva, diventeranno un miliardo in più di quelle che abbiamo oggi. È ovvio che se noi non costruiamo prospettive di sviluppo in quel territorio, la questione dell’immigrazione che vediamo oggi sarà semplicemente un piccolo antipasto di quello che potremo vedere domani. Allora c’è una ragione oggettiva di interesse, del nostro continente, del mondo sviluppato, nel far crescere l’Africa. Ma noi che siamo qui, di fronte alle coste, ne abbiamo una in più, in un equilibrio globale che vede sempre più il Pacifico come asse centrale e il rapporto tra Stati Uniti e Cina come due player principali. Forse l’Europa da sola non è sufficiente. Mentre se riusciamo a costruire una realtà che sa dialogare tra Europa e Africa, essendo l’Africa il continente sicuramente dei prossimi decenni, per ragioni demografiche innanzitutto, se non riusciamo a costruire uno sviluppo condiviso, beh, questo ci permetterà probabilmente di avere anche un ruolo diverso nello scenario globale da quello che altrimenti avremmo, da soli, come un’Europa che oggi ha 450 milioni di abitanti nell’Unione Europea, 550-570, si considerano che i paesi che sono fuori, da sola potrà contare ben poco di fronte a un’Africa che ne avrà 2 miliardi e mezzo. E noi siamo di fronte a un altro continente che è il nostro vicino di casa. Mi pare che dobbiamo capire la posta in gioco, e non si tratta di salvarli. Si tratta di crescere insieme.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0098

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Se non ci sono solo le imprese a dettare l’agenda sulle scelte strategiche più rilevanti, tra l’altro in coerenza con quanto affermato nei principi ispiratori della nostra legge nazionale, che da questo punto di vista è una buona legge proprio sul terreno di implementare una relazione tra no profit e profit volta a sviluppare buoni progetti condivisi e buone progettualità condivise, siamo invece totalmente d’accordo su un punto, ed è quello rispetto a cui incalzo e accompagneremo di più questa sede: la funzione della Regione, cioè che le istituzioni devono essere non retoricamente al servizio di reti e soggetti che provengono da una lunga tradizione su questo terreno o che attraverso progettualità nuove e inedite si trovano ad operare sul campo, a partire ovviamente da tutta la galassia dei soggetti della cooperazione, organizzazioni non governative e quant’altro, ma anche in relazione a quello che può essere il rapporto con il terzo settore più tradizionalmente inteso presente nei nostri territori e così via.

E poi, ed è un altro punto che mi serve sottolineare per passare al primo Panel e alla palla del confronto, tutto ciò deve stare dentro una dimensione europea e comunitaria. Cioè, l’Europa, come si ricorda sempre dal Parlamento Europeo, è l’istituzione al mondo che eroga più risorse pubbliche dal punto di vista quantitativo, rispetto a come sostenere le politiche di cooperazione allo sviluppo. Ricordo che era una delle prime cose che mi disse il compianto Sassoli quando ragionavamo, quando ero parlamentare europeo, del nostro apporto in commissione. Cioè, proprio rivendicare questo aspetto che spesso nella narrazione quotidiana è totalmente rimosso. Anche perché poi le risorse a volte sostengono rivoli e non grandi progetti condivisi e manca uno sguardo di insieme. Quindi, la battaglia politica che noi portiamo avanti sta dentro evidentemente anche una grande questione relativa al protagonismo europeo, ma so che di questo parleranno molto bene e li chiamo al tavolo anche per questo: Lia Quartapelle, vicepresidente della commissione Esteri della Camera; Alessandro Alfieri, commissione Esteri al Senato, nonché membro della segreteria nazionale del Partito Democratico; Cecilia Strada, europarlamentare membro della commissione DEV. Poi interverranno Elias. Io sto ai testi, però non so a questo punto cosa devo dire… Cinzia Giudici e tutto sarà coordinato da Marco Trovato della rivista Africa. Per necessità di tempo, ma lo ringraziamo tantissimo perché ha fatto i salti mortali per esserci. Non so se lo abbiamo già detto a Trovato. Alessandro interviene per primo. Adesso, però, ho parlato anche troppo. Prego e buona giornata!

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0099

Poco, sì, sì, grazie. Ringrazio Pierre per aver voluto questo momento, tutti voi. Alcuni di voi abbiamo una lunga consuetudine. Mi fa piacere che ci sia Raffaele Cattaneo; quando ci siamo conosciuti, io stavo al Ministero degli Affari Esteri e lui si occupava di questi temi in un’altra veste. Quindi, davvero, sono passati tanti anni, piano piano.

Io direi luci e ombre. Provo a essere obiettivo: che ci sia bisogno di uno strumento coordinato e organizzato che provi da Palazzo Chigi ad avere una visione su tutto quello che fanno i diversi ministeri nel continente africano è sicuramente un passo in avanti. Cerchiamo di essere obiettivi, l’abbiamo salutato positivamente, ma poi vediamo anche tante criticità. La prima è quella della governance: noi abbiamo dovuto fare letteralmente sportellate per avere all’interno alcune realtà fondamentali del sistema di cooperazione. All’inizio non c’era il mondo della cooperazione, una cosa per cui noi ponevamo il tema sull’Africa, uno degli strumenti fondamentali era la cooperazione allo sviluppo. Ma non è un piano di cooperazione. Poi, piano piano, facendo sportellate, ragionando, hanno capito che uno dei soggetti fondamentali era il mondo della cooperazione, delle organizzazioni della società civile e su questo abbiamo ottenuto che ci fossero Aoi, Link e Cini rappresentate.

Perché è vero quello che diceva Raffaele Cattaneo: è un piano che funziona se ci sono le diverse dimensioni, se c’è la cooperazione allo sviluppo, se ci sono le imprese, se ci sono gli strumenti che forniscono le garanzie al sistema delle imprese per andare, quindi Simest e tutti i soggetti del sistema paese. Ma abbiamo dovuto fare la battaglia per inserirli. Così come abbiamo dovuto fare la battaglia per inserire anche voi, come conferenza dei presidenti di regione. Non c’era l’Anci. Io ho iniziato al Ministero degli Esteri, ci eravamo inventati, col mondo della cooperazione, la cooperazione decentrata. Lo suggerivo alla Meloni l’altro giorno, dicendo: “Guarda che sul tema della ricostruzione in Ucraina non ponetevi solo il tema della conferenza dei donors e di tirare fuori i soldi a livello di Stato. C’è un’esperienza che noi abbiamo fatto”. Mi ricordo quello che abbiamo fatto a Novi Sad, ora penso alla Serbia, tutto quello che sta succedendo lì. Facevamo delle esperienze straordinarie, mandando le nostre città in gemellaggio e ricostruivano i servizi pubblici locali, insegnando come funzionavano le nostre multiutility. Un lavoro che poi ha fruttato, perché hanno mantenuto rapporti straordinari fra le comunità locali.

Abbiamo fatto la battaglia per inserire l’Anci. Gli stati individuati sono nove paesi: quattro nel Nord Africa e cinque nell’area subsahariana. Le sei direttrici di intervento erano: istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia, acqua e il tema delle infrastrutture fisiche e digitali. Uno dei limiti che vediamo è che dietro però questo approccio rimane molto forte l’idea che il Piano Mattei sia uno strumento a sostegno delle politiche migratorie di questo governo. Cioè, c’è questa torsione, per cui a volte, in alcuni paesi, viene utilizzato come scambio: “Vi diamo alcuni soldi e li gestite come volete, con poche condizionalità, e voi state buoni, chiudete i rubinetti”. Scusate la rozzezza del ragionamento, ma a volte capita davvero così. Quindi abbiamo bisogno, invece, di fare un salto di qualità. Questo è uno dei limiti che vedo: il rischio di un approccio securitario anche ai temi della cooperazione allo sviluppo, che diventano vassalli di un’esigenza di controllo dei flussi migratori.

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Punto secondo, che è un altro tema fondamentale: noi abbiamo voluto il Piano Mattei anche negli indirizzi che abbiamo dato come Parlamento, ragionando sul tema dell’energia, delle energie rinnovabili in Africa come piattaforma e l’Italia dentro il Mediterraneo, sul tema delle energie rinnovabili. Anche qui è evidente che la scelta di alcuni soggetti spinge più da una parte rispetto all’altra. È chiaro che, nel momento in cui metti in campo Eni, l’attenzione sarà un po’ più sul tema del gas e dei combustibili fossili, non che Eni non stia investendo anche sul versante delle energie rinnovabili, lo sappiamo benissimo. Però, rispetto a quello che avevamo pensato noi e a come avevamo strutturato il fondo clima con il governo Draghi, che doveva essere tutto per spingere sul tema delle energie rinnovabili, e degli obiettivi che ci eravamo posti a livello di accordi internazionali, questo mi preoccupa. Vedo che i due progetti principali del Piano Mattei, quello in Marocco, che dovrebbe costruire il centro di formazione sul versante delle energie rinnovabili, sono in forte ritardo.

Io sono andato a controllare, mi sono fatto accompagnare dal nostro Ambasciatore, e lì c’è questo bellissimo palazzo reale di proprietà italiana che è arrivato in maniera rocambolesca nel nostro patrimonio. Dove ci hanno fatto durante il ventennio e dopo la Seconda Guerra Mondiale le scuole di formazione professionale. Va sistemato, ma hanno ancora bisogno di soldi, e i soldi non sono ancora arrivati per la ristrutturazione. Però adesso fanno un corso sul tema delle energie rinnovabili al Politecnico Mohammed VI. Bene, meglio che niente, ma non è quel progetto organico che mette insieme Eni, Resor Africa e quei soggetti per cui si era pensato. Quindi, c’è un forte ritardo su tutti i progetti.

La preoccupazione è che si rischi di spostare un po’ il focus. Questo vale anche sull’altro grande capitolo, l’istruzione e la formazione. Anche lì, guardo Pierre, che ha questa delega anche in segreteria nazionale, proprio sul cambiamento del paradigma sul tema delle migrazioni, sulla migrazione regolare. Io vedo in Europa, poi ce lo dirà Cecilia, che l’attenzione è molto meno sull’immigrazione clandestina. La maggior parte è sulla migrazione regolare, su come mettere in campo esperienze innovative. Ce ne sono di interessanti. Non le racconta questo governo. Tam Plus, per esempio, è andato a vedere in Marocco un’esperienza interessante. Formano 1500 persone, 1000 rimangono perché hanno il problema del brain drain in Marocco per le esigenze locali, 500 vengono da noi sulla mecatronica. Bello, ce ne sono anche altre. Quello è un filone da seguire.

Scusate la rozzezza, la velocità e la sintesi, perché provo ad andare per schemi. In Algeria, ad esempio, c’è questo progetto di centro di formazione all’interno del Piano Mattei. Ancora non si sa chi sono i soggetti attuatori, non si sa quali sono le risorse, non c’è il budget. Quindi i progetti del sistema ancora non sono partiti. Questi dovrebbero servire per i paesi del Nord Africa, per costruire quella cultura, ancora prima dei progetti concreti, di quest’idea di migrazione regolare, in cui lavori sui due sensi: formazione di persone che rimangono sul posto, creano ricchezza e occasioni di sviluppo a livello territoriale, e una parte che viene qui, conosce già il mercato del lavoro, conosce il settore in cui potersi introdurre.

Ho la preoccupazione che su questi progetti, quelli cardine, che danno anche una visione diversa al Piano Mattei, gli tolgano quella impronta di sostegno alle politiche securitarie sull’immigrazione. Sono davvero un po’ in ritardo, e questo lo vediamo anche sulle risorse. Come sapete, 3 miliardi sul fondo clima, 2,5 miliardi sulla parte Cooperazione. Siamo un po’ preoccupati quando prendono soldi e li tolgono dal perimetro della 125. Poi vi dirà Lia, lei è stata una delle persone che ci ha lavorato tantissimo, come anche altre persone che sono qui. La nostra preoccupazione è che tendano a togliere soldi dal perimetro della cooperazione e li portino altrove. L’hanno fatto col Ministero dell’Interno, portandoci un pezzo dell’accoglienza, come sapete. Un pezzo adesso portato a Palazzo Chigi. Così come sull’utilizzo dei 3 miliardi del fondo clima, li avevamo pensati in maniera diversa. La nostra preoccupazione è che vengano utilizzati ancora, capisco la fase di transizione, ma sul versante dei combustibili fossili, che è contrario all’idea che avevamo del fondo clima.

Qui dentro c’è un tema ulteriore: il ruolo di A. Ha un ruolo non dico marginale, però secondario. Raffaele diceva, incontrato Marco Ruscone, era un mio compagno di concorso. Ci confrontavamo con lui sulle difficoltà di A. Noi, ogni anno, insieme a Lia, mettiamo lì emendamenti per provare a dare un po’ di soldi in più a A. Perché un po’ di soldi ci sono, ma fanno fatica anche a spenderli. Il Ministero degli Esteri, io conosco bene la casa, è un po’ reticente. Non ha, correggimi se sbaglio, accettato fino in fondo questa cosa dell’A. Fa fatica a dargli le risorse, il personale necessario per spenderli. Dovremmo forse fare anche un tagliando alla 125, perché ci sono alcune cose che hanno funzionato e alcune no. Le realtà territoriali, le unità tecniche locali, hanno poca flessibilità, perché potrebbero lavorare con le organizzazioni della società civile in maniera più flessibile.

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Ci sono alcune cose da aggiustare in questo Piano Mattei. Stanno in tre paesi essenzialmente: Costa d’Avorio, dove hanno due progetti, uno sulla formazione degli insegnanti e l’altro sull’ospedale materno-infantile a Abidjan. Poi c’è il progetto in Etiopia per la qualificazione della città di Gemma e la bonifica del Lago Boi. E poi, in Mozambico, anche lì la situazione è particolare, sono in ritardo, non sono ancora partiti. Sono progetti che stavano nel cassetto, sono stati un po’ raschiati.

L’obiettivo finale, a me, non dispiace, però vedo una serie di criticità che ho voluto mettere insieme. Chiudo su due questioni che mi preoccupano molto e che devono essere occasione anche di confronto. Lo stiamo facendo con Aoi, Cini e Lin quando ci incontriamo. Una è l’avvento di Trump e quello che vuol dire sul multilaterale. Cioè, l’idea di scassare il multilaterale, di far saltare tutti gli strumenti che abbiamo. Abbiamo paura, ne parlavamo anche prima con Lia, che questo si scarichi su alcuni strumenti del multilaterale che poi attivano il multilaterale. Parlavamo prima del fondo globale, abbiamo incontrato i loro rappresentanti, mettono parecchi soldi sulle tre grandi malattie: tubercolosi, malaria, che permettono a un pezzo anche delle nostre organizzazioni governative di inserirsi, dove ci sono progetti locali di lavoro.

La preoccupazione che Trump faccia saltare il multilaterale e quindi che si scarichi su una parte di strumenti che attivano come leva è una preoccupazione reale. Questo vuol dire coinvolgimento dell’Europa, e una delle cose che ho criticato all’inizio, adesso inizio a vederlo un po’ correggere anche nelle dichiarazioni, spero anche nei fatti, è che fosse un piano autarchico. Chiamarlo Piano Mattei, senza coinvolgere altre istituzioni, anche europee, era rischioso. Noi stiamo dicendo da tempo che bisogna coinvolgere anche la Commissione europea e l’Unione Africana, non possiamo essere da soli su questa partita. L’Africa è il nostro continente di riferimento, ma non possiamo permetterci di farlo da soli.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0100

Quello che stai dicendo tocchi una questione cruciale, soprattutto in un periodo storico in cui la cooperazione internazionale sembra dover fare i conti con una crescente divisione globale e un inasprimento delle relazioni geopolitiche. In effetti, parlare di cooperazione oggi potrebbe sembrare anacronistico o addirittura idealistico, dato il contesto di tensioni crescenti, guerre e sfide globali. Ma, proprio in questo scenario, diventa essenziale ricordare che i destini dei vari paesi, specialmente quelli dell’Africa, sono strettamente legati ai nostri, e che solo attraverso una cooperazione autentica e paritaria possiamo affrontare le sfide che ci aspettano.

In Africa, infatti, ci sono processi demografici in atto che pongono interrogativi importanti sul futuro, con un incremento significativo della popolazione e la crescita di nuove dinamiche politiche ed economiche. Il Piano Mattei, in tal senso, si propone di rimettere in gioco un modello di cooperazione più equilibrato, dove l’Africa non è solo oggetto di aiuti, ma diventa protagonista attiva nella costruzione del proprio destino, in un partenariato che sia davvero paritario.

Tuttavia, la sfida sta proprio nel tradurre in pratica questi concetti di parità e cooperazione reciproca, evitando la tentazione di ridurre tutto a modelli unilaterali, dove l’Occidente cerca di imporre soluzioni che potrebbero non rispecchiare le reali necessità e priorità dei paesi africani. C’è un crescente disincanto nei confronti dell’Europa e dei suoi modelli di cooperazione, che spesso sono visti come paternalistici o come una maschera per il mantenimento di rapporti di potere diseguali.

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Le recenti dinamiche in paesi come la Repubblica Democratica del Congo, con tumulti e attacchi alle ambasciate europee, sono sintomi di una frattura che si sta facendo sempre più profonda. La fiducia nei confronti dell’Europa sta scemando, non solo a causa delle politiche di cooperazione, ma anche per le disillusioni legate alla storia coloniale, agli interventi militari, e alla percezione di un’Europa che cerca di mantenere una sorta di dominio economico e politico.

Il Piano Mattei rappresenta un tentativo di rispondere a queste dinamiche, ma è fondamentale che non si limiti a un semplice strumento di promozione degli interessi europei. Per essere efficace, deve basarsi su un vero rispetto della sovranità dei paesi africani, promuovendo un dialogo che non sia solo retorico, ma che conduca a soluzioni concrete, rispettose delle diversità culturali e politiche.

In questo contesto, il ruolo delle regioni italiane come la Lombardia potrebbe essere fondamentale. Con il suo forte tessuto imprenditoriale, la vivacità della società civile e le tradizioni di cooperazione, la Lombardia potrebbe contribuire a un modello di cooperazione che valorizzi non solo gli aiuti, ma anche l’interscambio culturale, economico e tecnologico. Creare alleanze che mettano al centro le persone e le loro capacità, invece di concentrarsi solo sulle risorse naturali, sarebbe una strada per ricostruire legami di fiducia e garantire uno sviluppo sostenibile e inclusivo.

In definitiva, la cooperazione deve evolversi, adattandosi alle nuove realtà geopolitiche, economiche e sociali. Non possiamo più permetterci di ignorare le voci del Sud del mondo, e la cooperazione deve riflettere questo cambiamento di paradigma, per diventare davvero un motore di sviluppo e di pace condivisa.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0101

Il tuo intervento affronta temi estremamente rilevanti e urgenti, che riguardano non solo la cooperazione internazionale, ma anche la giustizia sociale, i diritti umani, e le dinamiche geopolitiche che influiscono sulle politiche europee, soprattutto riguardo alla gestione dei flussi migratori e alla cooperazione con i paesi del Sud del mondo.

Quello che descrivi – il progressivo spostamento del focus della cooperazione verso il contenimento dei flussi migratori, il sostegno alle politiche di sicurezza e il rafforzamento degli accordi con paesi terzi – è una preoccupante tendenza che rischia di compromettere il valore stesso della cooperazione, intesa come uno strumento di sviluppo equo e solidale. L’evidente risalto dato al controllo dei migranti, come nei casi degli accordi con Tunisia e Libia, fa emergere interrogativi su come l’Europa voglia realmente essere percepita e su quale sia il suo impegno verso i diritti umani, soprattutto nei confronti delle persone più vulnerabili.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Il caso del fondo fiduciario per l’Africa, con le sue problematiche evidenziate dalla Corte dei Conti Europea, evidenzia un altro nodo cruciale: la gestione inefficace e talvolta dannosa dei fondi, che non riescono a produrre un cambiamento reale sul campo e, anzi, possono contribuire a situazioni che violano i diritti fondamentali. Se il denaro destinato alla cooperazione viene reindirizzato in progetti che non rispondono realmente alle necessità delle persone, ma finiscono per perpetuare disuguaglianze e sfruttamento, è difficile parlare di cooperazione equa e bilaterale. Inoltre, il fatto che il denaro pubblico europeo, derivante dalle tasse dei cittadini, possa essere utilizzato per finanziare azioni che vanno contro i diritti umani è un aspetto che dovrebbe suscitare una riflessione profonda a livello politico e civile.

Le parole che scegli, come quella del “partenariato”, sono fondamentali, perché possono mascherare o rivelare l’intento di un accordo. Il fatto che cambiamenti nel linguaggio, come la sostituzione del “direttorato generale della cooperazione allo sviluppo” con un “direttorato generale dei partenariati internazionali”, possa significare un mutamento di priorità, è una delle preoccupazioni che sollevi. Se la cooperazione diventa solo una copertura per trattati che rispondono ad altri interessi, come il contenimento dei migranti, la sua autenticità e il suo valore per lo sviluppo umano rischiano di essere compromessi.

La domanda cruciale che sollevi alla fine, cioè come possiamo essere credibili nella difesa dei diritti umani se accettiamo di cooperare con Stati che commettono violazioni così gravi, è fondamentale. L’esempio che porti della situazione in Palestina e Gaza, dove le organizzazioni umanitarie sono ostacolate da uno stato alleato, non solo solleva questioni morali, ma anche pratiche, sull’integrità del nostro impegno nel promuovere valori universali come la dignità e i diritti umani.

Infine, il rischio di centralizzare la gestione della cooperazione a Bruxelles, senza tenere conto delle realtà locali, è un altro punto fondamentale. La cooperazione deve essere radicata nei contesti locali, e solo chi lavora sul terreno può davvero comprendere le necessità e le sfide che i popoli affrontano ogni giorno.

Quello che condividi è un messaggio di allarme, ma anche di speranza. C’è bisogno di un impegno costante per mantenere vivi i principi della cooperazione internazionale come strumento di giustizia, e la tua richiesta di non essere lasciata sola nel difendere questi valori è un invito a un impegno collettivo. La cooperazione deve essere un atto di umanità, non solo di politica, ed è fondamentale che le persone e le organizzazioni che lavorano in questo campo non perdano mai di vista l’umanità delle persone che stanno cercando di aiutare.

Non posso che unirti nel richiamo alla coerenza, alla credibilità e alla responsabilità, sperando che il futuro della cooperazione europea possa essere davvero fondato su questi valori.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0102

Microcredito

per le aziende

 

Hai sollevato delle riflessioni davvero significative e incisive. L’approccio europeo nei confronti dell’Africa sembra essere improntato ancora su una logica di controllo e difesa, piuttosto che su un vero partenariato di sviluppo, che valorizzi le risorse, il potenziale e le necessità di quel continente. L’ossessione per la gestione dei flussi migratori e la percezione dell’Africa come una terra dominata da guerre, crisi umanitarie e povertà continua a colorare la narrazione dominante, ma si tralascia spesso l’enorme dinamismo e le opportunità che l’Africa offre.

Il punto che sollevi riguardo alla lettura dei colpi di stato in Sahel è illuminante. In Europa, questi eventi sono visti come tradimenti delle alleanze, ma in molte delle società africane, sono letti come risposte alle ingerenze esterne e alla gestione fallimentare delle risorse naturali, a favore delle potenze straniere piuttosto che della popolazione locale. Il legame tra le élite politiche di questi paesi e le potenze europee è spesso considerato come parte di un sistema che non promuove lo sviluppo per la gente, ma piuttosto alimenta disuguaglianze e sfruttamento.

Il divario economico che descrivi tra l’Africa e l’Europa è straziante: il reddito pro capite di un africano subsahariano è enormemente inferiore a quello di un europeo, eppure, come sottolinei, l’Africa è ricca di risorse che potrebbero farne una potenza economica globale. Le risorse naturali, i metalli strategici, e le terre fertili potrebbero rendere l’Africa un attore chiave nel mercato globale, se solo avesse il supporto giusto per sviluppare settori come la manifattura e le infrastrutture.

Questa disparità, associata a una forte crescita demografica e un’età media così bassa, suggerisce un futuro promettente per il continente, ma solo se cambia la narrazione e le politiche esterne. Invece di trattare l’Africa come un “problema” da contenere, l’Europa dovrebbe spostare l’attenzione verso una collaborazione equa che permetta alle sue economie di crescere in maniera sostenibile, creando posti di lavoro, infrastrutture, e opportunità di sviluppo.

Il Piano Mattei, che hai menzionato, potrebbe essere una delle chiavi per invertire questo paradigma. Un approccio più paritario, che riconosca l’Africa come un partner e non come un oggetto di assistenza o una fonte di risorse da sfruttare, potrebbe essere la strada giusta per un futuro di cooperazione basato sul reciproco beneficio. La proposta di un partenariato che vada oltre gli accordi strumentali sulla gestione dei flussi migratori è fondamentale per costruire una relazione di lungo termine, che si basi sullo sviluppo reale e sul rispetto reciproco.

In definitiva, come suggerisci, è necessario un cambiamento radicale nella visione dell’Africa. Il continente non deve più essere visto come un terreno di sottomissione o di sfruttamento, ma come un attore che ha molto da offrire, con potenziale per far crescere interi settori economici e migliorare la qualità della vita della sua popolazione. Se riusciremo a cambiare questo paradigma, potremmo davvero vedere una svolta nelle relazioni tra Europa e Africa.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0103

L’intervento che hai riportato riflette molte delle preoccupazioni che si stanno sollevando riguardo alla cooperazione internazionale e alla politica estera italiana, in particolare nell’ambito del Piano Mattei. Il tema centrale sembra essere la necessità di una strategia coerente e strutturata, piuttosto che di una serie di iniziative isolate, che rischiano di non affrontare in modo sistemico le sfide globali. Si nota un’analisi critica sulla mancanza di risorse umane e finanziarie adeguate, che non permette al Piano Mattei di raggiungere l’impatto desiderato.

Un punto forte dell’intervento è la riflessione sull’idea che l’Italia non possa agire da sola in Africa, ma debba farlo come parte di un’azione europea collettiva. Il Piano Mattei, pur riconoscendo l’importanza di coinvolgere il settore privato, viene criticato per la sua mancanza di coerenza strategica e per la tendenza a riprendere progetti già esistenti, invece di affrontare le cause strutturali dei problemi come povertà, instabilità politica e migrazioni.

Inoltre, viene sottolineato un punto cruciale: l’Italia, pur avendo un sistema di cooperazione che si è evoluto negli anni, non ha ancora una forza sufficiente per confrontarsi con altre realtà internazionali, come la Germania, che dispone di risorse umane molto più numerose e organizzate. La mancanza di risorse e di personale specializzato è un limite importante per garantire la realizzazione di progetti significativi e sostenibili.

In questo contesto, la necessità di un’integrazione più stretta tra il Piano Mattei e le politiche di cooperazione esistenti, come quelle delineate dalla legge 125 del 2014, emerge come una priorità per migliorare l’efficacia e la continuità delle iniziative italiane in Africa. È chiaro che senza una visione strategica a lungo termine e una governance capace di coordinare in modo efficace tutti gli attori coinvolti, le iniziative rischiano di rimanere frammentate e non avere l’impatto sperato.

Infine, l’intervento evidenzia la difficoltà di affrontare la realtà dell’Africa, con paesi che stanno vivendo conflitti interni devastanti, come la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan, senza che l’Occidente riesca a fornire un supporto significativo per la stabilizzazione e la pace. Questi sono temi centrali che necessitano di un impegno serio e di una visione di lungo periodo, capace di rispondere alle reali necessità dei paesi africani, e non solo di trattare problemi superficiali come la gestione dei flussi migratori.

In definitiva, l’intervento sembra fare un appello a una riflessione più profonda e a un approccio più integrato, dove la cooperazione internazionale, la politica estera, e la strategia del Piano Mattei si intrecciano in un’azione coerente e mirata, in grado di affrontare le sfide globali in modo efficace e sostenibile.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0104

Il dato che riporti è davvero sconvolgente: nonostante gli ingenti investimenti in aiuti allo sviluppo per decenni, i risultati in termini di riduzione della povertà in Africa, soprattutto nell’Africa subsahariana, sono stati deludenti. La comparazione con altre regioni del mondo, come l’Asia o l’America Latina, dove la povertà è stata ridotta, mette in evidenza una disparità che invita a riflettere sulla natura e sull’efficacia degli interventi.

Ci sono molti fattori che possono spiegare questa situazione. Da un lato, è vero che gli aiuti non sono sempre stati indirizzati in modo strategico, ma spesso si sono concentrati su interventi estemporanei o frammentari, come è stato accennato in altre discussioni. A volte questi aiuti non sono riusciti a modificare le strutture di fondo che perpetuano la povertà, come la governance inefficace, la corruzione, o le conflittualità interne che ostacolano lo sviluppo.

D’altra parte, bisogna considerare che gli aiuti internazionali sono solo una parte di una formula complessa che coinvolge molti altri fattori, come l’instabilità politica, la scarsa qualità delle istituzioni, e l’accesso limitato ai mercati globali. Anche se gli aiuti possono offrire un supporto cruciale, non possono da soli risolvere problemi strutturali profondi e radicati.

Sulla cooperazione internazionale e sulle ONG, è fondamentale interrogarsi su come migliorare l’approccio. Il fatto che, nonostante l’impegno di molte organizzazioni, la povertà non sia stata ridotta in modo significativo in Africa può suggerire che sia necessario rivedere le modalità con cui vengono gestiti questi aiuti. Occorre fare in modo che gli interventi siano veramente sostenibili nel lungo periodo, con un’attenzione maggiore alla creazione di opportunità economiche locali, all’autosufficienza e alla costruzione di istituzioni stabili.

Un altro aspetto fondamentale riguarda la valutazione degli effetti degli aiuti. Non basta più finanziare progetti isolati, ma è necessario implementare piani strategici che siano monitorati, adattati alle circostanze locali e misurati sui risultati concreti, piuttosto che sulla semplice quantità di denaro speso o sul numero di progetti avviati.

Le ONG e le agenzie internazionali hanno una grande responsabilità nel ripensare le proprie pratiche, collaborando in modo più integrato con i governi locali, ma anche con il settore privato e con la comunità internazionale. Solo con un approccio sistemico e condiviso, incentrato sulle necessità reali delle persone, sarà possibile cambiare il trend negativo.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0105

Capisco perfettamente la frustrazione che esprimi, soprattutto dopo 40 anni di impegno in un campo così complesso e in continua evoluzione. La situazione che descrivi dell’Africa, in particolare con i paesi che conosci meglio, sembra effettivamente segnalare un peggioramento rispetto a decenni fa, nonostante gli sforzi enormi e i miliardi investiti. La crescita della povertà in alcune aree e il fallimento delle politiche di aiuto in molte regioni sono aspetti che pesano e fanno sorgere legittimi dubbi sull’efficacia degli approcci tradizionali.

Tuttavia, vedo anche un lato positivo nel tuo approccio. La riflessione sul “tavolo multi-attori” e sul coinvolgimento delle diaspore è fondamentale. Le diaspore, come hai giustamente sottolineato, sono un ponte tra l’Italia e i paesi africani, un elemento chiave di collegamento che spesso viene trascurato. Ignorare la loro voce e il loro potenziale è un errore, soprattutto quando parliamo di migrazione e cooperazione. Le diaspore non sono solo una “sfida” per la gestione dei flussi migratori, ma anche una risorsa enorme in termini di reti, conoscenze e relazioni dirette con i paesi di origine.

L’inclusione delle diaspore nelle discussioni e nelle strategie del Piano Mattei, e più in generale in una cooperazione internazionale che si rispetti, è essenziale. Sono loro che, con i loro legami, portano avanti relazioni continuative e possono facilitare l’accesso a contesti locali e reali, contribuendo a un modello più efficace di sviluppo e cooperazione. Purtroppo, se non viene riconosciuto il loro ruolo strategico, si rischia di continuare con modelli che non rispondono più alle esigenze moderne.

Parlando della parte burocratica e delle difficoltà pratiche, la critica alla rigidità delle procedure e delle regole, come quella relativa alle ATS (Associazioni Temporanee di Scopo), è altrettanto importante. Se l’obiettivo è creare progetti realmente innovativi, capaci di rispondere alle esigenze locali e di svilupparsi in modo sostenibile, allora è necessario semplificare l’accesso a questi fondi e favorire partenariati flessibili, che non siano legati a complicate strutture notarili o alle logiche di “punteggio” per la partecipazione ai bandi.

Un cambiamento nelle modalità operative, nella governance e nella collaborazione tra attori locali, società civile e istituzioni è cruciale. Un approccio che si limiti a “riempire il cerchio” con progetti precostituiti, senza una vera connessione tra le parti, rischia di risultare inefficace e parziale.

Credo che la sfida, quindi, sia quella di riuscire a “rompere” certe barriere burocratiche, a costruire alleanze più naturali tra attori diversi e a riconoscere la centralità delle diaspore nel processo di cooperazione. Questo, unito a una riflessione profonda sul tipo di impatto che vogliamo avere, potrebbe davvero portare a un cambio di passo.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0106

“L’investimento in rimesse degli immigrati africani nell’Africa subsahariana lo scorso anno equivale a qualcosa come 90 miliardi di dollari, che è superiore al volume di tutti gli aiuti pubblici e privati in quest’area. Elias Gerasi. Allora, io sono un po’ CR. Scusatemi, perché sinceramente non ho più capito cosa sta nel Piano Mattei, cosa sta fuori. Nel senso che giustamente dice: preferite la cooperazione o preferite il Piano Mattei? Ma adesso, più andiamo avanti, più non stiamo capendo cosa è il Piano Mattei, cosa non è il Piano Mattei. Allora, mi dispiace molto che non ci sia più il sottosegretario Cattanio, perché con lui, alla fine, facevamo tutti i ragionamenti molto operativi. Non abbiamo mai avuto modo di dirci qualcosa di più a livello politico su Anzi Mattei, sotto, diciamo, sotto il brand del quale stiamo in questo momento. Perché a me sembra che stiamo ragionando per adesso di un’etichetta. Nel senso, mi dà quello che mi risulta, noi con la Regione Lombardia oggi stiamo facendo la legge 125, cioè non mi risulta che stiamo facendo nient’altro. Nel senso che tutto quello che oggi noi stiamo facendo con la Regione Lombardia potremmo farlo completamente a prescindere dal Piano Mattei. C’è qualcosa di nuovo che stiamo facendo con la Regione Lombardia che abbia a che fare col Piano Mattei? Niente. C’è solo una “aurea” intorno a noi, un’etichetta che viene data ad alcune cose, e che tra l’altro è un’etichetta che ognuno utilizza come crede. Nel senso che io, più leggo, più leggo dichiarazioni di entità di ogni tipo che oggi interagiscono virtualmente col Piano Mattei, e più mi sembra che stiamo parlando di cose completamente diverse. E per qualcuno il Piano Mattei è un modo per importare manodopera dall’estero, per qualcuno il Piano Mattei è un modo per ampliare le coltivazioni all’estero, per qualcuno il Piano Mattei è diplomazia economica, per qualcuno il Piano Mattei è cooperazione. Insomma, e c’è una gran confusione. Quindi molto volentieri, cioè mi sembra che il nostro spirito con cui stiamo lavorando con la Regione Lombardia, e mi sembra veramente interessante il laboratorio, è il motivo per cui secondo me ci stiamo con un ruolo molto rilevante. E perché noi stiamo semplicemente facendo la legge 125, che per fortuna forse con questa spinta magari riesce a sbloccare alcuni suoi meccanismi che non ha mai sbloccato. Perché voglio dire, la 125 sei imbrigliata dentro se stessa e non siamo riusciti, non siamo stati capaci di fare delle cose che probabilmente oggi, con la spinta del Piano Mattei, magari riusciremo a fare. Questo per dire che cosa? Per dire che i problemi che c’erano ieri sono quelli che ci sono oggi. Ok. È vero che c’è di solo lì a Quartapelle. Per fortuna che comunque c’è una strategia sull’Africa, c’è una narrazione aumentata sull’Africa, e questo sicuramente ci dà modo probabilmente di andare avanti spediti e di avere anche interlocuzioni più favorevoli con la politica. Io, per esempio, forse l’unico effetto positivo del Piano Mattei è che probabilmente in Regione Lombardia nessuno si sarebbe svegliato se non ci fosse stato il trend del Piano Mattei. Ma per il resto gli strumenti c’erano, i vincoli quelli erano, quelli sono rimasti. Anzi, si cerca probabilmente, con una riforma della 125, un po’ di alleviare dei vincoli che comunque saremmo dovuti andare a cambiare, perché sono ostacoli che abbiamo già ben identificato. Quindi devo dire che, come OSC, la differenza è un po’ questa: quando parliamo di Piano Mattei ma stiamo parlando di cooperazione, noi ci siamo. Ok, quando invece ci capita, come spesso, di sentir parlare di Piano Mattei ma stiamo parlando di tutt’altro, semplicemente non ci siamo. Cioè, se stiamo parlando di accordi per dei gasdotti, ma sinceramente come possiamo starci? Se stiamo parlando di un’azienda che semplicemente pervenga e che vuole andare a investire in Africa, ma che ci parla, ci poteva andare anche ieri. C’è molta aspettativa, no, sul Piano Mattei. E secondo me oggi ancora il governo va su questa onda positiva, cioè di risvegliare un’aspettativa che però poi non so se potrà essere mantenuta con tutti gli attori. Perché, per esempio, gli attori privati hanno dei vincoli. Noi, la nostra collaborazione tra il mondo della società civile e il settore privato nella cooperazione, ha avuto difficoltà da sempre, perché ci sono dei vincoli che la rendono difficile. Cioè, solo il fatto che le aziende abbiano dei vincoli a ricevere contributi finanziari, questo di fatto è quello che fino ad oggi ha reso impossibile un reale coinvolgimento delle aziende nei progetti di cooperazione. Questo vincolo non è stato tolto, perché è un vincolo europeo, c’è anche nel Piano Mattei. Quindi l’imprenditore lombardo che pensa di andare in Africa e ricevere dei soldi che gli cadono dal cielo, dovrà rendersi conto che questa cosa non potrà succedere. Quindi, in qualche modo, anche lì l’aspettativa. Cioè, non abbiamo capito se tutti abbiamo capito che cos’è questa cosa, no? Allora, noi che ci siamo dentro, che la cooperazione la conosciamo in ogni suo millimetro, quel pezzo lì lo conosciamo molto bene, e stiamo vedendo che quel pezzettino lì così era e così sta andando avanti. Certo, avrà delle ripercussioni, questo trend del Piano Mattei sulla cooperazione. Sì, è quello un po’ che ci preoccupa. Cioè, quello che veramente un po’ ci preoccupa è che può darsi che questo nuovo approccio che è stato dato alla prima, possa in qualche maniera montare o modificare alcuni, diciamo, alcune idee, alcuni punti fermi che per noi devono rimanere, che sono quelli che avete ben spiegato prima di me. Quindi io credo che in questo momento ci sia bisogno di… diceva Cinza… parlerai di trasparenza. Sì, innanzitutto di un po’ di trasparenza, che un po’ di trasparenza ci aiuterebbe a capire di cosa stiamo parlando, perché quando tu non hai niente, nel senso che del Piano Mattei. Noi abbiamo un documento strategico, è un resoconto per il Parlamento, no? Che però è un resoconto per il Parlamento, giustamente avete parlato dei progetti che teoricamente sono in campo, di quei progetti sappiamo i titoli, non sappiamo le risorse, non sappiamo da dove arrivano, se sono già arrivate, se arriveranno. Quindi parliamo di cose che non sappiamo, e quindi ci viene molto difficile anche a noi capire questo mondo del Piano Mattei. Come si sta muovendo? Con quali strumenti? Con quali procedure? Ehm, è tutto ignoto. Quindi la richiesta di trasparenza è una richiesta, ovviamente, che è minima, nel senso che se no non capiamo di cosa stiamo parlando. Quando capiremo di cosa stiamo parlando, allora magari ci potremmo ritrovare fra un anno e dirci qualcosa nel merito di quello che c’è, perché oggi parlare del merito è veramente difficile. Cioè, non abbiamo gli elementi per parlare del merito. Però voglio dire, non c’è un rigetto della società civile a lavorare in questo ambito del Piano Mattei, se però stiamo parlando di cooperazione e sviluppo. Perché se stiamo parlando di tutt’altro, possono farlo gli altri, come lo potevano fare ieri. Eh, ma mi fermo qui. Scusate, un po’ là. Grazie.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0107

Visto da osservatore, un cambio di lessico, di linguaggio, positivo, positivo, che ha fatto risvegliare attenzione sull’Africa qui in Italia, che ha alimentato e sta alimentando diverse attese positive nei paesi africani. Sono appena stato in Etiopia, in Costa d’Avorio e in Algeria, e ci sono molte attese. In teoria, Mattei è considerato un eroe nazionale, quasi. Quindi, mi piacerebbe pensare che questo Piano Mattei non rimanga uno scatolone vuoto, un’operazione di marketing affinché, come dire, non vengano tradite ulteriormente queste attese e si alimenti questa sfiducia nei confronti dell’Europa, dell’Italia e degli aiuti allo sviluppo. Io ringrazio davvero tutti i relatori che si sono avvicendati al microfono.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0111-IMGA0112

Di Colomba Cooperazione Lombardia. Mi chiedevo, in uno scenario dove effettivamente la voce della cooperazione italiana è una voce frammentata, non c’è una voce unica che porta la distanza di tutta la cooperazione, quanto è importante invece, perché mi sembra che Cooperazione Lombardia poi ce lo dirà meglio lei, quante realtà aggrega attualmente in Lombardia? Quindi quanto è importante saper aggregare e presentare le istanze come unica, come un’unica voce? Grazie, molto brevemente. La realtà della Cooperazione non governativa italiana su Verona è più importante, non è una semplice piattaforma come ci sono altre regioni o coordinamenti, ma è un’associazione vera e propria con un suo codice fiscale che nasce all’epoca della legge regionale del 1989. Perché la legge regionale, questo è l’ultimo punto che volevo toccare, prevedeva una consulta nella quale dovevano sedere anche rappresentanti del mondo della Cooperazione. Quindi, il percorso che ci portò a una rappresentazione unitaria, ha dato vita a Colomba ed è molto importante perché effettivamente, cambio quello che pensavo di dire, riprendo gli interventi di Elbis Alias e di Cinzia Giudici sul fatto che noi, ma non in questi ultimi mesi, ma dal 2023, ci siamo messi in testa come Colomba di attuare una parte importante della legge 125 che non è mai stata attuata, ma non soltanto in Lombardia, ma praticamente in nessuna parte. Cioè, il discorso della multiattrezzo sodalitas e tanti altri. È stato quello, diciamo, il momento per il quale abbiamo bussato alla porta di Cattanio, che si era insediato da poco tempo, proponendo questo, del quale ci confessò con la sua onestà per questi temi dicendo appunto: “Non avevo mai sentito parlare di questa cosa”, ma alla fine avete sentito che oggi ha pronunciato lui la parola “tavolo”. Prima ancora di questo tavolo, con sodalitas di Confindustria, abbiamo tenuto un dialogo a lungo con Confindustria Bergamo, ad esempio, per cercare sempre, in questa logica di sommare attori, tentando di attuare una parte della legge non attuata. Io credo che, appunto, il piano Mattei sia un brand, noi non siamo partiti assolutamente su questo, questo è arrivato in un secondo momento. La nostra idea era che Regione Lombardia assumesse il ruolo che per dieci anni non aveva più voluto assumere, cioè nelle due passate legislature non soltanto di occuparsi di cooperazione, di mettere a disposizione fondi, ma ancora più importante di diventare il luogo di aggregazione istituzionale per appunto tentare di fare questa operazione.

Credo che la modalità con la quale stiamo lavorando in qualche modo sia un po’ l’antidoto a tutti i rischi sottolineati sul piano Mattei, che condivido tutti, perché poi se andiamo a sentire i soggetti che finora appaiono più frequentemente, tra bonifiche, Ferraresi, Coldiretti e Eni, li conosciamo tutti, più o meno, quali sono. Ecco, da noi l’antidoto rispetto a questo è che effettivamente l’operazione che stiamo tentando di fare si inserisce in un discorso di tavolo multi-attori dove prevarranno, come è già successo anche per noi. Le prove generali le abbiamo già fatte: Regione Lombardia ha presentato tre progetti, due come capofila e uno come partner del comune di Cinisello Balsamo al bando per enti locali in Tanzania, Tunisia e Albania (no, scusate, Tanzania, Tunisia e Albania), e questi tre progetti sono frutti di una coprogettazione tra ONG interessate al paese, ovviamente università e imprese, oltre agli enti locali, oltre alla Regione. Enti locali che ha portato a tre progetti in questo bando, che sono sicuro sono gli unici del bando frutto di un tavolo multi-attori vero, vero e gestito in modo anche, devo dire, piuttosto democratico rispetto ad altre esperienze del passato.

Allora, senza dilungarmi, senza prendere tempo, ecco, questo è, diciamo, quello per cui mi rivolgo al gruppo consiliare del PD in Regione Lombardia: noi abbiamo come quadro, diciamo, per la nostra operatività con Regione una legge del 1989, la legge regionale 20 dell’89, che ovviamente fa riferimento a un’era ideologica diversa. Real Cataneo non è stato tanto preciso, lui parlava di un approccio solidaristico della cooperazione di quei tempi, è vero fino a un certo punto, perché la legge lombarda prevede soltanto il cofinanziamento di iniziative volute dal Ministero degli Affari Esteri. Quindi, loro ci coprivano quella parte di cofinanziamento del Ministero degli Affari Esteri, e quindi non erano progetti solidaristici, ma progetti di cooperazione e sviluppo a tutti gli effetti. Detto questo, è una legge che non riflette più i cambiamenti che sono avvenuti e io penso che sarebbe un’ottima opportunità mettere mano a un aggiornamento, anzi una riscrittura, di una legge regionale prendendo spunto, ad esempio, anche dalla legge sul commercio ecosolidale, la legge 9 del 2015 sempre della Regione Lombardia, che istituì una consulta alla quale partecipano i vari soggetti del commercio ecosolidale e dove si discute anche come spendere i soldi, come partecipare ai progetti, ed è istituzionale quella consulta. Noi, il tavolo con Cataneo è una volontà sua, cioè è al momento informale. Dicevo, penso che varrebbe la pena discutere anche in tempi brevi di un nuovo quadro, anche giuridico, per la cooperazione in Regione, perché ieri il Ministro per la Cooperazione Internazionale, Gatti, ci ha comunicato una novità che cambia totalmente il rapporto tra Stato ed enti locali, e non soltanto per la Regione ma anche per il Comune. Cioè, nel senso che è stata fatta l’interpretazione della legge 125, in base alla quale adesso gli enti locali potranno lavorare con convenzioni dirette con AICS e con il Ministero, senza dover passare dai bandi. E questo cambia totalmente le regole in tavola, perché a questo punto è la Regione che dovrà stabilire poi come far spendere i soldi con quella modalità, far partecipare, e a questo punto per forza ci vuole un quadro normativo, perché altrimenti, come sappiamo, i rischi possono essere tanti da tutti i punti di vista, anche per l’interrogante, ovviamente. Quindi, ecco, cogliendo queste due cose: il fatto che c’è un tavolo multi-attori rodato che ha già dato prova con il bando enti locali e che adesso sta tentando di fare qualcosa sul piano Mattei, e il fatto che è cambiato il rapporto tra finanziatore centrale ed enti locali, noi chiediamo sicuramente, e questo è importante, che sia anche un compito dell’opposizione, che si metta mano alla legge esistente. Cioè, che si crei un nuovo contenitore che in qualche modo istituzionalizza quello che abbiamo fatto, che non è altro che l’applicazione della legge 125. Ma al di là di questo, che è un buon metodo di lavoro, perché è un metodo che alla fine rende trasparente ciò che si fa, al quale partecipano tutti e non soltanto l’amico di qualcuno, quindi ecco, questo chiediamo sia un momento opportuno per tutta questa serie di cose, e sarebbe anche molto interessante, visto che poi i tempi per l’approvazione dei progetti non sono mai troppo brevi, se si riuscisse a fare un processo non troppo lungo che in qualche modo possa tornare utile nell’eventualità che, effettivamente, si debba gestire, come ci auspichiamo tutti, un pezzo del piano Mattei con le modalità della 125 e non con quelle che finora abbiamo sentito.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0113-IMGA0114

Qualche giorno fa mi sono state dette delle cose che mi hanno colpito. La prima è stata che la cooperazione internazionale, questa è una cosa che dobbiamo tenere bene in mente, è molto più grande e larga del Piano Mattei, ma soprattutto che il Piano Mattei metteva in discussione, in qualche modo, il senso stesso della cooperazione, che non può essere ‘io ti do, se tu mi dai’. Quindi chiederei di partire proprio da questo spunto e da questa riflessione. Bisogna lavorare su uno schema multiattori. In questo settore dobbiamo dirci che anche noi, senza la regia e il controllo o la grande visione del pubblico, possiamo fare la nostra parte. E già la stiamo facendo, e già la mettiamo in campo. Ultima considerazione che devo fare: non dimentichiamoci che, in molte occasioni, il tema della cooperazione allo sviluppo è uno strumento fondamentale di pace, che siccome non ha dei valori economici, non interessa al Ministero dello Sviluppo Economico, non interessa al Ministero degli Esteri, ma interessa a noi. Perché questo lavoro lo facciamo sulla base di valori, prima che sono alla base degli stipendi. Per favore, anche negli aspetti legislativi, nelle discussioni, queste cose, una volta tanto, trovino una casa, un pezzetto, trovino il modo di dire che questa partita, che rappresenta alcune generazioni di cooperazione allo sviluppo in Italia, è un fatto importante della società civile, della cultura e anche del nostro concetto di essere paese.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0115

“Settore dei programmi di fondazioni for impact. Qual è quindi il ruolo delle università, in modo particolare, per mettere insieme questo approccio multiattori imprenditoriale? Quindi, forse il contributo che io porto è di carattere leggermente diverso: un imprenditore, dove c’è un problema, vede un’opportunità perché pensa di poterlo risolvere. Allora, quindi vorrei darvi un esempio di come questo tentativo, questo bisogno che sembra essere limitato in questo momento, di creare delle attività sinergiche in Africa, sia effettivamente possibile. A gennaio abbiamo firmato l’accordo per un’iniziativa che si chiama Inspire in Ghana, che coinvolge l’Università Cattolica, quindi un’università, il Crisp, che è un centro di ricerca interuniversitario milanese per eccellenza, ma poi si allarga anche a Bologna e a Torino. Noi, che siamo comunque un ente, un’impresa sociale fondamentalmente, un’università africana, un’organizzazione non governativa romana, i Salesiani, Randstad e un gruppo di aziende italiane. Non lo dico per vana gloria o altro, dico che ci saranno molte limitazioni, ma è possibile, ed è possibile soprattutto in una regione come la Lombardia che ha risorse umane, prima di tutto, e strategiche di grande valore. Il progetto è, peraltro, di una grande semplicità, perché prevede la creazione di un Italian Innovation Center ad Accra, ospitato dall’università ganese che pure è coinvolta, il quale centro, in collaborazione con l’università, formerà medie imprese in grado di dialogare con le aziende italiane. Presso un centro, le aziende italiane potranno prendere residenza legale, avranno a disposizione una Sales Force in campo per poter entrare nel mercato, perché le aziende italiane, come è stato giustamente identificato, non sono soggetti di cooperazione. Possono entrare nelle politiche di cooperazione, ma se ci entrano, devono farlo da un punto di vista di business. Quindi noi vi mettiamo a disposizione una piccola Sales Force, dei venditori, for anglismi. L’organizzazione non governativa forma i giovani su competenze tecniche che servono alle aziende che noi supportiamo per crescere, perché se un’azienda ganese da piccola diventa media, deve assumere e allora le persone da assumere ce le propone il business fondamentalmente. E i Salesiani, parte di queste persone, possono anche essere interessanti. Per che cosa? Per una migrazione dignitosa, che io sono d’accordo, è una risorsa che va resa dignitosa, va resa giusta. Non è accettabile la logica del barcone. E qui entra Randstad che collocherà le persone. Potrebbe entrare il mondo delle cooperative, qualunque altro soggetto. Vedi? Ci sono sinergie anche dove uno non se le immagina. Questo, semplicemente, per dare un’ottica o uno slancio magari un pochettino più ottimista a questa conferenza. Si può fare. Mi si potrebbe dire: “Eh, ma non ci sono gli enti locali.” Ci stiamo lavorando con il Comune di Milano per poter integrare anche la dimensione della municipalità dentro un progetto del genere, dando un taglio fashion ad alcune delle attività industriali che verranno avviate in questo centro, peraltro in sinergia con un’agenzia delle Nazioni Unite, UNIDO, che ha sottoscritto sempre a gennaio un accordo nell’ambito del Piano Mattei per fare un centro di analisi dei materiali tessili da riciclare. Magari crolla tutto, magari è troppo complesso, ma noi abbiamo sognato. Però effettivamente qualcosa si muove, lo stiamo facendo. Due ultimi passaggi: cosa vuol dire? Io ho visitato più paesi africani che paesi europei e giro dal 2010 come ospite più o meno gradito di una ventina di paesi africani. Bisogna anche, credo, mettersi d’accordo su che cosa vuol dire cooperazione paritetica, perché cooperazione paritetica, per quel che comprendo io dal mio limitato angolo di professionista che sviluppa imprese in un paese come il Ghana, in un paese come il Kenya, vuol dire costruire medie imprese, vuol dire avere un tessuto economico e sociale locale che sia in grado di reggere l’urto della dimensione economica globale. Perché questo succede? Che l’Etiopia, che è un paese incredibile, viene mangiata viva dagli investimenti cinesi. Il Ghana, che è un paese meraviglioso, ha un sistema finanziario fondamentalmente al collasso, dove gli interessi sui prestiti commerciali sono al 33% annui, che in Italia sarebbe arresto dell’amministratore delegato immediato. E quindi cosa vuol dire cooperazione paritetica? La scuola, le scuole ci sono, sono ottime. E vuol dire riuscire anche ad intervenire su quegli elementi che, chissà perché, ma esistono e impediscono lo sviluppo equilibrato di un’economia, perché non ci sono le medie imprese in Ghana. Perché ci sono soltanto in Niger, e in Italia ci sono? Bisognerebbe andare a lavorare su questo per creare anche delle controparti in grado di reggere l’urto dei soggetti europei e non. Poi, il Piano Mattei è vero che, per intanto, è rimasto ad un livello molto alto di diplomazia economica. Allora, vediamo se si riuscirà a scardinare un po’ questa logica. Con la Regione Lombardia stiamo provando a fare un’operazione in questo senso, con un gruppo di organizzazioni non governative sempre lombarde sul Kenya, per replicare qualcosa di simile a quello che vi ho proposto per il Ghana. Vediamo se la cosa potrà funzionare. Se non altro, c’è dibattito, se non altro c’è una visione. Può essere accolto oppure no, ma potrebbe anche essere un punto di partenza per una futura legislazione che disapprovi quanto è stato organizzato dal Piano Mattei. Comunque, potrebbe evitare la prima strategia sull’Africa vera che sia mai stata fatta in Italia.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0117

“noi siamo anche di AOI, per cui dirò solo due cose sul piano Mattei che ci preoccupano molto. Innanzitutto, anche dall’intervento che ha fatto oggi il Sottosegretario Cattaneo emerge che si intende paritaria, nel senso che si intende paritaria soprattutto con organismi organizzati, mentre noi che facciamo cooperazione e solidarietà, noi abbiamo la parola Solid nel nostro nome, ci chiamiamo Arci Culture Solidali, noi vorremmo che ci fosse un reale partenariato con le comunità locali, non soltanto con i rappresentanti istituzionali, e questo è un primo motivo per cui siamo tiepidi rispetto a quel piano di cui ancora davvero non è stato chiarito tutto. Il secondo motivo per cui siamo noi gli Arci siamo preoccupate e preoccupati è che parlando di Africa si parla pochissimo delle donne, mentre le donne in Africa, io direi in tutto il mondo, sono detentrici di un ruolo importante per la coesione sociale e quindi questo aspetto in questi tempi ci sembra molto, molto preoccupante. Il fatto che nella cabina di regia del Piano Mattei manchino… GL ha già parlato prima Cinzia, lo voglio ribadire, che manchino completamente le diaspore africane ci preoccupa moltissimo, anche perché noi ci occupiamo non solo della tutela e della protezione dei diritti negli altri paesi, ma ci occupiamo anche delle persone rifugiate e immigrate qui. E quindi che manchi in un piano strategico sull’Africa completamente tutta la diaspora presente in Italia secondo noi è un dato molto, molto negativo. Io so di avere poco tempo per cui vado molto per punti. L’altra cosa che ci preoccupa è che praticamente non si tiene conto del fatto che, per esempio, per noi come associazione di promozione sociale fondamentale, noi abbiamo quasi tutto il personale che è un personale presente nei luoghi, abbiamo progetti e quindi noi non vogliamo esportare il nostro né il nostro personale né la nostra cultura che, ahimè, io vedo anche, e parlo anche per me, ancora bisogno fortemente di essere decolonizzata, esportarla altrove. Noi vogliamo fare davvero una cooperazione che in qualche modo tenga conto delle loro tradizioni, delle loro culture, dei loro bisogni, ma anche di quello che nella nostra cultura va modificato, e sinceramente a me nel piano Mattei sembra di non vederla ancora decostruita questa impostazione, eh… ehm un po’ un po’ coloniale. E rispetto alla pace dico soltanto che in questi tempi bui che già sono stati delineati da molti, eh, c’è assolutamente bisogno di pace, di costruirla questa pace, no? E quindi dico una cosa, che anche la cooperazione in Lombardia non può limitarsi al solo piano Mattei e alla sola Africa, perché, eh, come già diceva, eh, Elias, ci sono delle ricadute del Piano Mattei sulla cooperazione, alcune ricadute noi le vediamo già, sono stati tagliati fondi ad alcuni progetti che noi, per esempio, avevamo in Medio Oriente. Allora, tagliare oggi con la situazione che c’è in Medio Oriente fondi a progetti di cooperazione proprio in quella zona così calda è un grande problema. Quindi io mi dispiace molto che sia andato via il Sottosegretario Cattaneo, quindi questa cosa la dico al gruppo consiliare Lombardo. Noi abbiamo bisogno di ripensarla tutta la cooperazione internazionale e forse sarebbe arrivato il momento, visto anche quello che diceva Alfredo, di cercare di promuovere un’assemblea programmatica sulla cooperazione internazionale che veda davvero tutti quanti gli attori e molto di questo deve vedere anche proprio gli enti locali, a maggior ragione che cambia il rapporto anche rispetto agli enti locali. So che nel panel successivo al nostro parleremo delle città e quindi è importante che se si decidesse, noi siamo disponibili a dare tutto il nostro contributo di idee. Questa assemblea, diciamo, di organizzazione per la cooperazione internazionale di tutta e non solo per il piano Mattei, sarebbe importantissimo. Moltissimo il ruolo delle città oltre che quello delle cooperazioni, delle varie associazioni e delle varie organizzazioni che fanno cooperazione internazionale.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0117

Noi siamo anche di AOI, per cui dirò solo due cose sul Piano Mattei che ci preoccupano molto. Innanzitutto, anche dall’intervento che ha fatto oggi il Sottosegretario Cattaneo emerge che si intende paritaria, nel senso che si intende paritaria soprattutto con organismi organizzati, mentre noi che facciamo cooperazione e solidarietà, noi abbiamo la parola “Solid” nel nostro nome, ci chiamiamo Arci Culture Solidali. Noi vorremmo che ci fosse un reale partenariato con le comunità locali, non soltanto con i rappresentanti istituzionali. Questo è un primo motivo per cui siamo tiepidi rispetto a quel piano, di cui ancora davvero non è stato chiarito tutto.

Il secondo motivo per cui siamo preoccupati è che parlando di Africa, si parla pochissimo delle donne, mentre le donne in Africa, io direi in tutto il mondo, sono detentrici di un ruolo importante per la coesione sociale. Quindi questo aspetto in questi tempi ci sembra molto preoccupante. Il fatto che nella cabina di regia del Piano Mattei manchino, come ha già parlato prima Cinzia, voglio ribadire che manchino completamente le diaspore africane ci preoccupa moltissimo, anche perché noi ci occupiamo non solo della tutela e della protezione dei diritti negli altri paesi, ma ci occupiamo anche delle persone rifugiate immigrate qui. Quindi che manchi in un piano strategico sull’Africa completamente tutta la diaspora presente in Italia, secondo noi è un dato molto negativo.

Io so di avere poco tempo, per cui vado molto per punti. L’altra cosa che ci preoccupa è che praticamente non si tiene conto del fatto che, per esempio, per noi come associazione di promozione sociale, fondamentale, noi abbiamo quasi tutto il personale che è presente nei luoghi dove abbiamo progetti, e quindi noi non vogliamo esportare né il nostro personale né la nostra cultura, che, ahimè, io vedo anche e parlo anche per me, ha ancora bisogno fortemente di essere decolonizzata. Esportarla altrove non è la soluzione. Noi vogliamo fare davvero una cooperazione che tenga conto delle tradizioni, delle culture, dei bisogni locali, ma anche di quello che nella nostra cultura va modificato. E sinceramente, a me nel Piano Mattei sembra che non sia ancora decostruita questa impostazione un po’ coloniale.

Rispetto alla pace, dico soltanto che in questi tempi bui, che già sono stati delineati da molti, c’è assolutamente bisogno di pace, di costruirla. E quindi dico una cosa: anche la cooperazione in Lombardia non può limitarsi al solo Piano Mattei e alla sola Africa, perché, come già diceva Elias, ci sono delle ricadute del Piano Mattei sulla cooperazione. Alcune ricadute noi le vediamo già, come il fatto che siano stati tagliati fondi ad alcuni progetti che noi, per esempio, avevamo in Medio Oriente. Allora, tagliare oggi con la situazione che c’è in Medio Oriente fondi a progetti di cooperazione proprio in quella zona così calda è un grande problema.

Quindi mi dispiace molto che sia andato via il Sottosegretario Cattaneo. Questa cosa la dico al gruppo consiliare lombardo: noi abbiamo bisogno di ripensare tutta la cooperazione internazionale. E forse sarebbe arrivato il momento, visto anche quello che diceva Alfredo, di cercare di promuovere un’assemblea programmatica sulla cooperazione internazionale che veda davvero tutti gli attori, e molto di questo deve vedere anche proprio gli enti locali, a maggior ragione, che cambia il rapporto anche rispetto agli enti locali. So che nel panel successivo al nostro parleremo delle città, e quindi è importante che, se si decidesse, noi siamo disponibili a dare tutto il nostro contributo di idee. Questa assemblea, diciamo, di organizzazione per la cooperazione internazionale, di tutta la cooperazione, non solo per il Piano Mattei, sarebbe molto importante. Moltissimo il ruolo delle città, oltre a quello delle cooperazioni, delle varie associazioni e delle varie organizzazioni che fanno cooperazione internazionale. Penso di dovermi fermare, vero?

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0119

Noi siamo anche di AOI, per cui dirò solo due cose sul Piano Mattei che ci preoccupano molto. Innanzitutto, anche dall’intervento che ha fatto oggi il Sottosegretario Cattaneo emerge che si intende paritaria, nel senso che si intende paritaria soprattutto con organismi organizzati, mentre noi che facciamo cooperazione e solidarietà, noi abbiamo la parola “Solid” nel nostro nome, ci chiamiamo Arci Culture Solidali. Noi vorremmo che ci fosse un reale partenariato con le comunità locali, non soltanto con i rappresentanti istituzionali. Questo è un primo motivo per cui siamo tiepidi rispetto a quel piano, di cui ancora davvero non è stato chiarito tutto.

Il secondo motivo per cui siamo preoccupati è che parlando di Africa, si parla pochissimo delle donne, mentre le donne in Africa, io direi in tutto il mondo, sono detentrici di un ruolo importante per la coesione sociale. Quindi questo aspetto in questi tempi ci sembra molto preoccupante. Il fatto che nella cabina di regia del Piano Mattei manchino, come ha già parlato prima Cinzia, voglio ribadire che manchino completamente le diaspore africane ci preoccupa moltissimo, anche perché noi ci occupiamo non solo della tutela e della protezione dei diritti negli altri paesi, ma ci occupiamo anche delle persone rifugiate immigrate qui. Quindi che manchi in un piano strategico sull’Africa completamente tutta la diaspora presente in Italia, secondo noi è un dato molto negativo.

Io so di avere poco tempo, per cui vado molto per punti. L’altra cosa che ci preoccupa è che praticamente non si tiene conto del fatto che, per esempio, per noi come associazione di promozione sociale, fondamentale, noi abbiamo quasi tutto il personale che è presente nei luoghi dove abbiamo progetti, e quindi noi non vogliamo esportare né il nostro personale né la nostra cultura, che, ahimè, io vedo anche e parlo anche per me, ha ancora bisogno fortemente di essere decolonizzata. Esportarla altrove non è la soluzione. Noi vogliamo fare davvero una cooperazione che tenga conto delle tradizioni, delle culture, dei bisogni locali, ma anche di quello che nella nostra cultura va modificato. E sinceramente, a me nel Piano Mattei sembra che non sia ancora decostruita questa impostazione un po’ coloniale.

Rispetto alla pace, dico soltanto che in questi tempi bui, che già sono stati delineati da molti, c’è assolutamente bisogno di pace, di costruirla. E quindi dico una cosa: anche la cooperazione in Lombardia non può limitarsi al solo Piano Mattei e alla sola Africa, perché, come già diceva Elias, ci sono delle ricadute del Piano Mattei sulla cooperazione. Alcune ricadute noi le vediamo già, come il fatto che siano stati tagliati fondi ad alcuni progetti che noi, per esempio, avevamo in Medio Oriente. Allora, tagliare oggi con la situazione che c’è in Medio Oriente fondi a progetti di cooperazione proprio in quella zona così calda è un grande problema.

Quindi mi dispiace molto che sia andato via il Sottosegretario Cattaneo. Questa cosa la dico al gruppo consiliare lombardo: noi abbiamo bisogno di ripensare tutta la cooperazione internazionale. E forse sarebbe arrivato il momento, visto anche quello che diceva Alfredo, di cercare di promuovere un’assemblea programmatica sulla cooperazione internazionale che veda davvero tutti gli attori, e molto di questo deve vedere anche proprio gli enti locali, a maggior ragione, che cambia il rapporto anche rispetto agli enti locali. So che nel panel successivo al nostro parleremo delle città, e quindi è importante che, se si decidesse, noi siamo disponibili a dare tutto il nostro contributo di idee. Questa assemblea, diciamo, di organizzazione per la cooperazione internazionale, di tutta la cooperazione, non solo per il Piano Mattei, sarebbe molto importante. Moltissimo il ruolo delle città, oltre a quello delle cooperazioni, delle varie associazioni e delle varie organizzazioni che fanno cooperazione internazionale. 

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0121

Anna Scavuzzo, vicesindaca di Milano, e abbiamo in collegamento, appena riusciamo a far partire tutto coi nostri potenti mezzi, Francesco Brendolise, che è l’assessore al Comune di Pavia. Avevamo previsto all’inizio anche Marzia Marchese, assessore al Comune di Vergato, purtroppo ha avuto un impegno all’estero, quindi anche questo rendeva più complicato il collegamento. Però, diciamo che gli enti locali sono non ben, ma ottimamente rappresentati.

Perché fare un panel dedicato, o meglio, coinvolgendo alcune città, alcune amministrazioni, alcuni assessori? Dice la sindaca che, quando abbiamo pensato di organizzare questo incontro proprio dal vostro mondo al mondo della cooperazione, era uscita una richiesta molto chiara dicendo: “Sarebbe bello che venissero al tavolo anche alcune città, le più grandi, le più rappresentative, non solo per raccontare a cosa stanno facendo, cosa possono ulteriormente fare, ma soprattutto la necessità di stringere sempre di più una relazione con le ONG, col mondo della cooperazione, con le vostre città, coi nostri territori.”

Noi abbiamo sentito questa esigenza, questa richiesta molto forte. Quindi anche la vostra presenza oggi, insieme a queste organizzazioni, è proprio per cercare di tessere sempre di più delle relazioni. Mi taccio, ne approfitto ovviamente per ringraziare le ONG presenti, le associazioni che hanno deciso di partecipare, che sono intervenute, che hanno contribuito. Non le cito tutte perché siete tante, ma vi ringrazio diciamo così in forma cumulativa.

Partiamo da Camilla. Va bene intanto che Priamo… Eh Camilla Bianchi, prego, grazie. Anch’io ringrazio per l’invito, per l’occasione di ragionare insieme su quanto si fa e su quanto c’è ancora da fare. In realtà io parlo, sono appunto assessora del Comune di Brescia con deleghe legate alla transizione ecologica, per cui ci sono altre partite anche molto importanti che possono avere a che fare con la cooperazione, ma fino a qualche giorno fa ero anche presidente del Coordinamento degli enti locali per la pace e la cooperazione internazionale del Bresciano. Vi porto un po’ questo punto di vista, oltre anche al lavoro che stiamo facendo come comune.

Tre anni fa, quando è nato questo coordinamento provinciale, nasce con l’idea e l’urgenza di dire: “Dobbiamo fare un passettino in più.” Non avere semplicemente interesse o attenzione all’interno dei nostri confini amministrativi, ma quando parliamo di pace e cooperazione internazionale, proviamo anche a fare un passo in più. Come sapete, coordinarsi, prima si parlava di lavoro tra attori diversi, tra enti locali diversi, è una sfida. Però nel giro di tre anni siamo passati da 24 enti locali a 46 aderenti su 205. Però, insomma, è già stato un passaggio importante. Abbiamo scelto di lavorare su due filoni: da un lato, effettivamente, a livello locale, su tutto quello che è la parte di cultura. Prima ce lo dicevamo: “No, quanto lavoro c’è ancora da fare per sostenere e stimolare una cultura di pace?” E in questo tempo, sia anche paradossalmente, ancora più difficile.

Abbiamo un appuntamento fisso, che è questo festival enorme che dura un mese, dedicato proprio ai temi della pace e della cooperazione internazionale. Quest’anno appena passato, era proprio concentrato sull’Africa, e quanta fatica si fa ancora a considerare al centro anche delle politiche degli enti locali questi temi. No, perché sembrano accessori. Cioè, se pensiamo ai temi legati anche alla sicurezza o insomma alle politiche più strettamente dei nostri territori, queste sembrano ancora più faticose, ancora più inaccessibili, ancora più inarrivabili. E invece l’urgenza c’è, è ovvio, nella misura in cui dobbiamo anche rispondere alla necessità di garantire i diritti per tutti, il che è molto complesso.

Appunto con il coordinamento, dicevo, da un lato lavoriamo dal punto di vista culturale, dall’altro provando a stimolare anche azioni concrete. Il Comune di Brescia sapete che ha una storia in termini di cooperazione veramente solida. Per cui, si è scelto di costruire una consulta legata ai temi della pace e della cooperazione internazionale. Una consulta che, insomma, qualche anno fa aveva un budget importante. Prima si parlava di 105.000 di €500 di Regione. Il Comune di Brescia, insomma, ne metteva 100.000. Adesso c’è stato un’interruzione qualche anno fa con una giunta di centrodestra. Adesso, da 10 anni, si è ritornati con una giunta di centrosinistra e si è riusciti a rimettere a budget €40.000, che ogni anno vengono sostenuti. Cioè, in cui vengono sostenuti ovviamente dei progetti.

Sono molto d’accordo con gli interventi precedenti in cui si diceva: “Qual è la visione? Qual è la strategia?” No, perché poi i progetti sono sempre molto legati a singole azioni, ma poi su che cosa vogliamo intervenire in termini più ampi? E questo lavoro lo si sta facendo. Quindi provare a fare il passaggio dal finanziamento della singola realtà rispetto al singolo progetto, provare a darsi anche una strategia, anche politica, ovviamente. Quindi più divisione all’interno di questa consulta che vede 46 realtà del terzo settore aderenti, con cui il Comune si prende l’impegno anche di, ovviamente, coprogettare e coprogettare è una sfida, perché poi c’è un assessore che, tra tante deleghe, anche queste sono una sfida, perché poi, come dicevo in apertura, anche la percezione dei cittadini rispetto a questi temi.

Almeno da quello che noi stiamo vedendo a Brescia, poco fa la sindaca mi ha girato un video in cui diceva: “L’avete visto? Su Mediaset Infinity c’è un bel video dicendo che le baby gang di ragazzi migranti rendono una città di Brescia insicura.” Adesso ve la sto dicendo anche edulcorata rispetto a quello che c’è nel video. Per cui, come teniamo insieme questi due aspetti, queste due polarità, due polarizzazioni? Il Comune di Brescia è particolarmente fortunato, quindi riesce anche ad allocare delle risorse su tutti i temi sociali importanti, oltre 60 milioni di euro. Però, come facciamo quando poi abbiamo 400 minori stranieri non accompagnati in città a far fronte a 9 milioni di euro? Sono solo per quella cosa lì. No, perché poi gli altri cittadini ovviamente alzano la mano e dicono: “Attenzione a quello che sono poi le urgenze percepite.”

Per cui, per concludere, la sfida è ampia e su questo il tema del provare a ragionare in ottica sovracomunale per noi è stata una ricchezza, anche per cercare di farci forza vicendevolmente. Nel senso che poi sappiamo che le scelte politiche, nel momento in cui sono condivise e allargate, hanno poi delle ricadute ovviamente più ampie e qualche volta qualche comune tira e coinvolge anche di più il comune limitrofo. Per cui c’è tanta strada da fare. Diciamo che siamo tenaci e quindi ce la stiamo mettendo. Però, l’occasione anche oggi, insomma, di venire qui con voi era per dirci che reciprocamente, no, ci siamo, ci dobbiamo forse riconoscere anche come interlocutori in modo costante, continuo, e non solo legato anche ad alcune situazioni di emergenza, e quindi provare anche a costruire appunto quelle strategie dove, ahimè, gli organi che stanno sopra di noi ancora non fanno, non costruiscono.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0123

È premesso perché è un tema troppo grande per pensare di poterlo, come dire, in qualche modo riepilogare. Allora faccio, metto qualche capitolo e poi ne esploderò uno solo, che poi è quello sul quale sto lavorando di più. C’è un filone nel quale ci inseriamo, il tema della City Cooperation, della cooperazione decentrata, del ruolo delle città. Sono 40 anni che lo stiamo costruendo con alterne fortune, anche rispetto a come poi viene impostato, anche un po’ una strategia complessiva. Penso, per esempio, alla fatica che anche il dipartimento in Anci, che coordina le attività dei comuni, fa proprio per riuscire ad avere un po’ una sua organizzazione, e dall’altra parte anche immaginare come se poi i finanziamenti siano pensati per essere adeguati anche a quello che è il percorso, il processo delle città, città che sono molto diverse, perché l’altro ingrediente è quello ovviamente di riuscire poi a ragionare, considerando e ben ha fatto Cam a ricordare anche come poi spesso i comuni più piccoli anche si confederano per poter avere una strategia comune, dove viceversa città come Torino, come Milano o come Roma invece hanno poi una propensione più autonoma, ovviamente. E credo che questo sia già un tema, cioè il fatto che oggi sia venuto sempre meno il governo di area vasta per davvero, qua ce lo possiamo dire, crea un vulnus non indifferente rispetto alla possibilità di fare un ragionamento più di sistema. E sempre di più nel ragionamento con altre città diventa complicato, perché le altre città sono metropolitane e noi no. E dall’altra parte, dove atterrano alcune esperienze, spesso sono molto diverse. Noi abbiamo una collaborazione storica col Mozambico, con Maputo, con Pemba, con Kimane, poi qui c’è Marco Grande, che è un po’ la nostra memoria storica, perché è stato responsabile anche dell’ufficio Cooperazione Decentrata del Comune di Milano per anni, e quindi anche come abbiamo costruito i rapporti come Comune di Milano, ma anche considerando poi città molto diverse, in cui evidentemente riuscire ad avere anche un tempo. C’era il fondo provinciale a Milano, per esempio, che lavorava per raccogliere un po’ l’esperienza sia della provincia che degli altri comuni. Allora questo, secondo me, è già un tema, cioè capire come oggi continuiamo a parlare di istituti di cooperazione, considerando che il governo dell’area vasta non c’è e che quindi anche in questo bisogna capire se e come. E io penso che invece sia importante che ci sia una ricaduta anche su un territorio più ampio. Ma come la facciamo? Il secondo passaggio riguarda come sono disegnati però i bandi a cui si può afferire, perché per quanto uno possa mettere delle risorse nel bilancio del comune, io onestamente non so neanche quanto, ma sarei arrivata con un punto, punto, virgola, virgola, virgola percentuale, quindi è indifferente. Ma quello che facciamo ovviamente è lavorare per riuscire a costruire delle partecipazioni a bandi che vengono realizzati proprio su temi di cooperazione allo sviluppo, nel quale il ruolo dell’ente locale sia riconosciuto e possa avere una sua strategia, spessissimo, sempre di più, ovviamente, con un ruolo anche di civil engagement, quindi di aiuto anche nel trovare delle dinamiche di raccordo fra quello che accade nelle nostre comunità e quello che accade nelle comunità con le quali andiamo a lavorare, oppure proprio di capacity building e quindi di relazione fra amministrazioni, oltre che popolazioni, in senso lato, per dare anche questo come, come dire, potenzialità di scambio. Avevamo avviato anche tempo fa un progetto che si chiamava “Funzionare senza frontiere”, proprio per andare anche a promuovere lo scambio fra amministratori, in modo tale che ci fosse una reciproca anche possibilità di imparare e di insegnare. Anche perché spesso, per esempio, un’esperienza significativa erano i nostri amministratori o comunque i nostri funzionari, operatori, che avevano lavorato in momenti di emergenza, penso ai terremoti o penso altro, che scambiavano expertise con contesti nei quali, diciamo, l’emergenza è abbastanza continua o non c’è una cultura rispetto ad alcuni processi. Questo poi è andato costruendosi in scambio. No, io ricordo una missione che io stesso avevo accompagnato, proprio forse con Marco e Romi, Non Duras in Salvador, per andare a fare una supervisione ai progetti che ci accompagnavano verso Expo, con l’idea che portavamo nostre aziende nello specifico. Era un tema legato ai rifiuti, all’economia circolare, alla catena del cibo, ampio, diciamo, su economia circolare. Avevamo fatto tutto un processo, un lavoro di scambio anche con l’università di Tegucigalpa per la formazione degli operatori in situ. Ce l’avevamo, Tusi Galpa, Salvador, come due città grandi che erano anche capitali fra l’altro, e poi una serie di villaggi nei quali si erano poi realizzate sia delle esperienze concrete che lavorando con tutti i villaggi e tutti i funzionari anche proprio, cioè la gestione dell’igiene dei mercati, la realizzazione di quelli che erano dei processi per evitare di arrivare in discarica. Insomma, tutta una serie di professioni, anche vista dal punto di vista degli locali. Questo, diciamo, ovviamente si realizza nel momento in cui, uno, ci sono delle risorse a disposizione tagliate sullo schema degli enti locali, in termini di tempi, di risorse, di possibilità di accedere. All’epoca, lo dico senza polemica, c’erano i fondi che erano stati stanziati per la cooperazione decentrata, proprio sul tema dell’Expo, no, per andare a lavorare su quelli che avremmo voluto che votassero per noi, adesso ce lo diciamo. E però avevano avuto un boosting importante anche in termini di esperienza, relazioni, che poi sono state significative negli ultimi anni. Non vi nascondo che è diventato più complicato. Eh, prima, se mi chiedessi cosa stanno facendo le città sul piano Mattei, sarei in difficoltà a dirtelo, perché il piano Mattei non parla alle città, parla a tante persone, ma non parla nemmeno alle città, e quindi bisogna inventarselo. E qui vengo un po’ allo specifico, invece, volevo portare come esperienza perché negli ultimi anni, diciamo, i dieci anni da Expo, quest’anno 2025 vedrà nel mese di ottobre, diciamo, il decennale dell’esposizione, ma anche il decennale della sigla del Milano Urban Food Policy Pact, che è il patto dei sindaci, nato diciamo su ispirazione Gian Pisapia nel 2014, trova suo compimento nel 2015. E che cosa ci aiuta a fare? Ci aiuta a fare City to City cooperation a partire dai temi del cibo, che poi per noi vuol dire contrasto agli sprechi, ma anche contrasto alla povertà alimentare, supporto alle comunità perché siano sempre più resilienti, supporto all’imprenditorialità locale, lavoro con le donne, messa a sistema anche di una serie di iniziative di educazione al cibo, che significa garantire l’accesso al cibo sano e all’acqua pulita. E semmai che questi non siano temi della cooperazione. Evidentemente sono, anzi, comprendenti tanto i paesi ricchi che comunque hanno un tema di squilibrio, perché l’obesità è l’altra faccia della malnutrizione e della denutrizione. E allora evidentemente noi abbiamo oggi un po’ un ruolo di sinergia su questo tema della cooperazione che tiene insieme in questa collaborazione fra città sia quelle città che decidono di investire in sistemi urbani sostenibili e che quindi creano esattamente quelli che sono gli ingredienti che metto di cooperazione, quelle che sono delle politiche urbane che però trasformano le abitudini, non si limitano a progetti. E farò un esempio specifico che mi sta molto a cuore, che credo sia molto interessante anche rispetto al tema, pianoi. Dall’altra parte abbiamo bisogno di partner, quindi certamente le città, e oggi sempre di più lo facciamo con i network delle città, quindi penso a Milano Urban Food Policy Pact, che oggi è l’unico network accreditato presso il World Food Program. Siamo entrati, per esempio, nella SCH Coalition come iniziativa a firma FAO, portata avanti dal World Food Program, proprio sui temi della refezione scolastica in tutte le città del mondo, a partire dai paesi che hanno firmato la School me coalition. Ma siamo stati accettati come ONG fra le ONG, quindi una rete di città che rappresenta le città in mezzo alle ONG, che è una novità rispetto al panorama che c’è stato. Molto interessante anche rispetto a questo ruolo, però delle comunità e degli enti locali. E dall’altra parte, la possibilità poi di riuscire a tradurre in una strategia che per noi città deve rimanere però a livello città. Noi non facciamo la policy del nostro paese che rimane ovviamente in mano alla Farnesina o comunque al governo. E dall’altra parte, però, sviluppare una serie di azioni e di realtà che abbiano questi obiettivi e queste progettualità, andando a cambiare quella che è appunto l’abitudine. Nasce così, con una fatica che adesso vi risparmio, ma nel 2022 la collaborazione strutturale fra il Comune di Milano, capofila del Milano Urban Food Policy Pact e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Scriviamo, devo dire, è stato veramente un parto, quindi me ne assumo po’ anche tutto il merito, perché sono andata 50 volte a parlare anche con della gente con cui ho fatto fatica ogni tanto a spiegare l’ovvio, ma poi trovando invece degli interlocutori interessanti. Quindi, a finanziare proprio il Milano Urban Food Policy Pact, quindi avendo dalla nostra la possibilità di dare all’A una serie anche di buone pratiche vere che si realizzano nelle città della rete AX, in modo tale da capire come poi i soldi che vengono messi a disposizione dei bandi vengono utilizzati. Quindi, noi fra virgolette abbiamo una serie ovviamente di richieste all’interno della convenzione, un monitoraggio rispetto ai progetti, una formazione degli operatori stessi AX sui temi di cui abbiamo parlato, il supporto nella diffusione, perché talvolta anche le sedi nei paesi sono dormienti, un po’ sotto traccia. Quella di Addis Abeba l’abbiamo risvegliata proprio con e allo stesso tempo, però, sono un’antenna importante per vedere che cosa accade direttamente onsite, per capire anche che cosa si muove e come si riesce a essere struttura. In questo, abbiamo portato i nostri attori, Fondazione Cariplo, da sempre, e quindi da che nasce questa idea della Food Policy, e poi del Milano Urban Food Policy Pact, è il nostro partner, tanto locale quanto internazionale, perché nella rete di FILEA che coordina tutte le fondazioni bancarie del mondo, ovviamente Fondazione Cariplo ha un ruolo tutt’altro che marginale, ed è il nostro player anche in quello che chiamiamo Milano Urban Food Policy Tech Award, cioè una competizione fra virgolette fra le città della rete che promuovono le loro migliori pratiche. L’anno scorso abbiamo vinto una delle sei categorie, la città di Addis Abeba con un progetto di promozione prima in beta e poi in attività di scalabilità su tutta la città di refezione scolastica per le scuole. Allora partono con finanziamenti che avevano preso, Food Program, cose eccetera. Partono con un primo assaggio, fra l’altro facendo lavorare le mamme e i bambini con un meccanismo anche abbastanza rudimentale, e progressivamente la sindaca, perché è una donna, ma questo non lo diremo, decide che quello è un tema sul quale la città, ed è qui che vi dico, città non significa il centro storico di Addis Abeba, ma la città di Addis Abeba, decide di investire sulla refezione scolastica. Allora, questo crea un meccanismo virtuoso. A ottobre, Adanet decide di ospitare il Regional Forum per l’Africa delle città aderenti al Milano Food Policy Pact, specificamente sul tema dell’accesso al cibo per i bambini attraverso la refezione scolastica, ed è una delle buone pratiche che abbiamo portato dentro la School me Coalition, in cui abbiamo promosso come Milan Food Policy P un’iniziativa che si chiama “Cities Feed in the Future”, cioè le città che danno da mangiare al futuro, a partire dalla refezione scolastica, con un progetto che nasce come progetto di cooperazione e si sviluppa ovviamente come irrobustimento di quella che è la vita di quella comunità. I numeri stanno crescendo, non vi sto raccontando che abbiamo salvato il mondo, né che Addis Abeba ha risolto i problemi dell’Africa, ma è un meccanismo virtuoso che restituisce anche potere decisionale di incidere in quelle che sono le dinamiche urbane. Promosso in questo scambio perché ero venuti a vedere anche Milano, ristorazione, come avevamo fatto noi la ristorazione in questo. Vi faccio l’esempio di Banco, che sta lavorando nello stesso modo. Loro, per primi, si sono concentrati sul contrasto agli sprechi alimentari e hanno mutuato i nostri AB di contrasto allo spreco alimentare, che sembra di stare capito al Galaratese, ma stai invece in un quartiere di Bangkok. E lo stesso sta facendo l’Indonesia, perché l’altro… Noi abbiamo lavorato con l’X, l’altro pezzettino, devo dire, in questo ringrazio molto Patrizia Toia e Alessia Mosca, perché il gancio su ASEAN è arrivato proprio da una chiacchierata con entrambe, con l’idea di lavorare con la rete dei paesi ASEAN. Bisogna spiegare anche al Sottosegretario nuovo agli Esteri americani statunitensi quali sono i paesi ASEAN. Ma detto questo e dal punto di vista dello sviluppo tramite AX. Allora c’era anche il G20 che abbiamo fatto in Indonesia. Quindi tutta una serie di meccanismi, le città hanno cominciato a lavorare insieme, con Bandung, con Giacarta, con una serie di città indonesiane, e poi via via con tutti i paesi dell’ASEAN con cui abbiamo sviluppato nel corso dell’estate scorsa e dell’estate prima un grande summit di capacity building con le città che hanno portato i loro funzionari e i loro direttori per ragionare su come implementare l’agricoltura di prossimità. Tra l’altro, in questi paesi c’è una presenza della città fortissima che noi abbiamo perso nel tempo con una intenzionalità, anche penso al piano di Bandung sull’agricoltura, fortissimo. Allora, queste relazioni ovviamente hanno network, le città, questi grandi player che però a livello internazionale poi orientano anche dove poi verranno messi i soldi, perché evidentemente possono poi raccontare come si muovono questi paesi. L’Indonesia ha annunciato il piano nazionale per la refezione scolastica in tutto il paese. Eravamo in Cina a settembre, nell’ambito di Unicef, con l’iniziativa invece delle città amiche dei bambini. C’era presente l’Indonesia. Noi abbiamo stato come proposta, appunto, il tema della refezione scolastica. Abbiamo lavorato ulteriormente e questo è diventato un pezzo. Chiudo, cosa voglio dire? Che noi abbiamo bisogno di tante cose. Intanto di ribadire che se vogliamo che le città possano partecipare e siano anche per le diverse ONG interlocutori, perché oggi nella velocità non ho dettagliato, però in tutti questi progetti, ovviamente, nostri partner sono delle realtà non governative, oltre che imprenditoriali, fondazioni e molto spesso accademiche. Però, dobbiamo rimanere in grado di ragionare sulle città come dinamiche che abbiano una ricaduta sul territorio e non siano una iniezione di tempo come, per esempio, spesso accade per le ONG, che sono strumenti utilissimi, ma sono strumenti utili quando si costruisce e si crea una dimensione che consenta anche di dare una ricaduta sul territorio anche quando la cooperazione stessa non è più garantita.

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0124

Quello che state facendo, il vostro punto di vista e come potete ancor di più mettervi a disposizione. Grazie mille. Grazie innanzitutto a Pierfrancesco, a Silvia e anche a Michele Bellini che hanno organizzato questo momento veramente importante di riflessione su un nuovo modello condiviso di cooperazione allo sviluppo. Spesso noi amministratori locali, che assessori che hanno questa delega, ci sentiamo molto soli nel senso che, come potete capire, all’interno delle dinamiche dei comuni diventa complicato poi portare talvolta avanti alcune politiche legate alla cooperazione allo sviluppo. Però i comuni che in Lombardia stanno portando avanti queste tematiche stanno veramente crescendo. Io mi sono occupato e mi occupo tutt’ora del tema della cooperazione allo sviluppo a livello di Anci Lombardia e vi do solo un dato: al primo bando enti territoriali di AX, nel 2017, parteciparono due soli comuni in Lombardia. Al secondo bando, nel 2019, enti territoriali ne parteciparono tre. E all’attuale bando, di cui stiamo aspettando comunque anche qualche notizia rispetto ai finanziamenti, hanno partecipato più di 12 soggetti, comprendendo anche Regione Lombardia come Anci. Noi siamo presenti come partner di sette comuni e di due progetti di Regione Lombardia. Quindi il tema è molto cresciuto. I capoluoghi che si occupano di cooperazione allo sviluppo e che sono stati interessati alla costruzione di questi progetti per il bando 2023 sono Bergamo, Pavia, Monza, Cremona, la provincia di Pavia, Cinisello, ovviamente Milano e anche Brescia. Il tema oggi è interessante visto soprattutto dagli enti territoriali. Io sono d’accordo con Anna che diceva che il Piano Mattei non parla alle città e dobbiamo fare uno sforzo affinché questo invece avvenga, perché mi sembra di capire, osservando e leggendo quanto sta accadendo a livello nazionale, che il vero rischio del Piano Mattei è che la cooperazione diventi esclusiva di grandi soggetti. Io continuo a sentire Eni, continuo a sentire Leonardo, continuo a sentire C diretti, ma non sento invece altri soggetti che invece devono entrare nell’ambito della dinamica. Stamattina Alessandro Alfieri diceva giustamente che le città e i territori devono essere all’interno della cooperazione, che non dimentichiamoci è strumento della politica estera di un paese, perché con loro si riesce a creare quella che io chiamo la cooperazione di comunità, che è altrettanto importante. Oggi il Piano Mattei focalizza molto sulla cooperazione economica, però lascia un po’ indietro questo tema della cooperazione di comunità. Bisognerebbe lasciare un po’ di spazio a quella che mi piace chiamarla la diplomazia delle città. Le città italiane, le città lombarde nello specifico, anche la mia città, sono assolutamente inserite in queste dimensioni. Come fare e come il Partito Democratico può portare avanti e può proporre dei modelli ai propri amministratori? Vi racconto brevemente quanto abbiamo fatto a Pavia. A Pavia ormai da 10 anni siamo coevi con la legge 125, abbiamo creato un’associazione di soggetti che fanno riferimento appunto ai soggetti di cooperazione di quell’articolo 23 della 125 che è un SCHA territoriale Pavese per la cooperazione internazionale, dove in un’associazione che è stata costituita con atto pubblico sono presenti gli enti territoriali, gli enti locali, la provincia, i più importanti della Regione, il policlinico San Matteo, l’università di Pavia, gli ordini professionali, le ONG e anche piccole associazioni che nell’ambito del nostro territorio si occupano di cooperazione internazionale. Questo è un sistema che in qualche modo, in una piccola città, insomma, rispetto a Milano chiaramente all’area metropolitana e in una appunto media provincia della Lombardia funziona, perché dà la possibilità di mettere a sistema veramente quelli che sono i soggetti che dovrebbero fare costituire il sistema della cooperazione e l’ossatura della cooperazione. Ecco, su questo anche qui un nuovo modello. Io gli amici che sono lì, scienziati, giudici, Alfredo e tutti sanno che io lo ripeto in continuazione, occorrerebbe che non facessero tre bandi per ciascuna delle categorie, ciascuno dei soggetti, ma finalmente si arrivasse a fare un unico bando dove si costringano tutti i soggetti della cooperazione a partecipare e a partecipare insieme per attivare dei progetti nell’ambito degli interessi dei paesi che ci sono. Quindi questa è la prima suggerimento che sarebbe interessante su cui lavorare. La seconda suggestione è che occorre iniziare a aprire una stagione di patti territoriali per la cooperazione allo sviluppo. Quindi vuol dire a livello territoriale, a livello lombardo. Devo dire che grazie anche all’input di Raffaele Cattaneo, ma grazie all’input di Colomba di Anci, si è riusciti a creare questo tavolo dopo tanti anni di buio, perché questo ce lo dobbiamo dire: tanti anni di buio, nel senso che noi enti locali sentivamo altri comuni, altri amministratori che ci parlavano del loro ruolo della loro regione. Parlo del Piemonte, parlo dell’Emilia Romagna, parlo della Toscana e noi eravamo abbandonati a noi stessi. In Lombardia, devo dire che una buona novità da cui partire è sicuramente questo nuovo protagonismo di Regione Lombardia rispetto alla cooperazione allo sviluppo. Però ritengo che non dobbiamo solo lavorare nel nel immaginare che questo sia solo un sistema regionale, ma il sistema deve probabilmente diventare anche a livello provinciale, perché facendolo a livello territoriale poi veramente si riesce a costruire quella che è la cooperazione di comunità. Un altro tema è il non abbandonare gli altri paesi che sono al di fuori dell’Africa, perché i comuni lombardi, i comuni italiani, hanno investito tante risorse negli ultimi 50 anni in altri paesi e troncare in maniera così come si sta tentando di fare, insomma, progettazioni e fondi che stanno portando avanti in paesi complicati. Si parlava del Medio Oriente, come di Pavia sta facendo due bandi vinti nel 2017 e nel 2019 con la città di Betlemme, con la Palestina. Insomma, grazie a Dio siamo riusciti con un’operazione congiunta di fare un progetto unico su questo bando AX 2023 sulla Palestina, unico. Per dire, con tutti i soggetti, enti territoriali che in Italia avevano interesse a fare progettazione sulla Palestina, ci siamo messi tutti insieme, abbiamo fatto un network e grazie a Dio questo progetto dovrebbe essere stato finanziato. Insomma, però ecco, il tema è quello di non abbandonare anche gli altri paesi che ci sono nel nell’ambito dell’Africa. Ti posso chiedere di… Io? Grazie. Io chiudo appunto sperando di avervi dato qualche suggestione, scusandomi anche perché sono lontano e quindi ho dovuto partecipare in questa modalità, però ci tenevo veramente e ringrazio Anci e auspico che il Partito Democratico vada avanti a organizzare eventi di questo tipo con il tema della cooperazione allo sviluppo, perché è qualcosa che ci riguarda veramente direttamente. 

Lombardia e cooperazione/ Pd/ 31 gennaio 2025/ Pirellone Milano IMGA0125

Pochissimi minuti, se non secondi. Se qualcuno ovviamente ha necessità di dire qualcosa, può avvicinarsi così sentiamo tutti, ovviamente al microfono, e poi lasciamo le conclusioni alla nostra segretaria. La domanda è… Scusate, volevo girare la domanda. È semplicemente se su questi temi c’è un rapporto e, se sì, con associazioni o fondazioni statunitensi. Con l’associazione statunitense Bloomberg, ad esempio, che è la base di C40. Quindi, di fatto, tutto il lavoro che stiamo facendo con le città della rete C40 sta dentro questo ragionamento. E anche in questo c’è sempre un’attenzione ad andare oltre rispetto a quelle che sono le attività già svolte, già viste. L’altro fatto è che c’è stato USAID che ha deciso di finanziare una serie di progetti, molti però avendo l’Italia come soggetto ricettore. Quindi da fare usare, immaginando che anche qua, un po’ l’abbiamo visto con Copie, anche in alcuni contesti, nei luoghi dove c’è bisogno, siano dei progetti finanziati anche dalla cooperazione statunitense.



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