Lo spettro dei dazi continua ad agitare non solo i mercati azionari, ma anche il mondo della moda. A partire da oggi il neo presidente americano Donald Trump imporrà una tariffa del 10% sulle importazioni dalla Cina, una misura che di fatto mira ad arginare la scappatoia commerciale “de minimis”, quella che, in sostanza, ha consentito negli ultimi anni l’esenzione da dazi doganali sugli ordini dal valore commerciale inferiore a 800 dollari e che quindi ha spinto al successo piattaforme come Shein e Temu negli ultimi anni. Ma la reazione della Cina non si è fatta aspettare. È di questa mattina la notizia della decisione da parte del governo di Xi Jinping di aver inserito Pvh, il gruppo a cui fanno capo Calvin Klein e Tommy Hilfiger, e la società Illumina specializzata in biotecnologie, nella lista nera delle entità inaffidabili dopo che le due società avrebbero, secondo l’accusa cinese, adottato quelle che ha definito “misure discriminatorie contro le imprese cinesi” e “danneggiato” i legittimi diritti e interessi delle aziende cinesi.
Si tratta dunque di una risposta forte da parte del governo cinese che, peraltro, ha anche annunciato una indagine su Google per sospetto di violazione delle leggi antitrust. Non è la prima volta che Pvh diventa oggetto di una sorta di contenzioso anche politico tra Cina e Usa. Solo pochi giorni fa era stata diffusa dalle agenzie la notizia secondo cui Pvh era finita nel mirino delle autorità cinesi per presunta condotta impropria nella controversa regione dello Xinjiang. La convocazione seguirebbe un’indagine già avviata lo scorso settembre “per sospette violazioni dei principi di negoziazione di mercato” proprio in merito ai prodotti legati alla produzione nello Xinjiang. Al momento, dunque, la situazione sembrerebbe in stallo ma qualche nodo potrebbe sciogliersi entro domani dato che nelle prossime ore è prevista una telefonata tra i leader dei due Paesi.
Tutto in divenire anche la situazione dei dazi statunitensi verso gli altri Stati. Il presidente Usa ha sospeso temporaneamente le tariffe prima al Messico e qualche ora dopo al Canada. Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Telegraph, inoltre, il tycoon sta prendendo in considerazione l’idea di imporre una tariffa del 10% su tutte le importazioni Ue. Al momento non è arrivata alcuna risposta ufficiale da parte dell’Europa ma la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in un incontro con gli ambasciatori ha ribadito: “la nostra priorità con gli Usa è ora quella di lavorare sui molti settori in cui i nostri interessi convergono. E c’è ancora possibilità di fare molto di più. Saremo pronti a negoziati difficili e a trovare soluzioni dove possibile, risolvere controversie e gettare le basi per un partenariato più forte. Saremo aperti e pragmatici su come raggiungere questo obiettivo. Ma sarà altrettanto chiaro che tuteleremo sempre i nostri interessi – in qualsiasi modo e in qualsiasi momento – come e quando sarà necessario. Questa sarà sempre la via europea”.
Sul fronte americano, in un articolo pubblicato pubblicato oggi su Business of fashion, si ricorda come “l’amministrazione Trump non ha ancora reso noto il calendario su quando determinati prodotti saranno soggetti ai nuovi dazi, il che crea ulteriori difficoltà per i rivenditori che cercano di prendere decisioni chiave in merito agli adeguamenti dei prezzi e della catena di approvvigionamento”. Tuttavia, secondo uno studio di Ubs pubblicato sulla testata, diversi brand americani sarebbero indirettamente colpiti dalla guerra dei dazi. In particolare, secondo l’analisi alcuni marchi americani sarebbero più esposti di altri ai dazi “in base alla quantità di beni che provengono da Cina, Messico e Canada”. Ebbene, in cima alla classifica si trova il marchio Canada Goose, ma anche i brand di calzature Boot Barn e Steven Madden potrebbero risentire maggiormente il discorso dazi. “Boot Barn probabilmente vedrà il più alto aumento del costo dei beni venduti al 9 percento, ha affermato la nota. Le azioni del rivenditore sono crollate di quasi il 10% lunedì, una delle peggiori performance di qualsiasi azienda di moda”, si legge su Bof.
Chiaramente la “guerra dei dazi” rischia di avere impatti di rilievo anche nel panorama europeo. Lo scorso novembre Prometeia aveva ipotizzato il danno economico per le imprese italiane e, a distanza di alcuni mesi e con l’effettivo insediamento di Trump alla presidenza, il dato torna più che mai attuale. Due gli scenari che erano stati presentati dalla società: il primo simula un aumento di 10 punti percentuali limitato a quei prodotti che già oggi sono sottoposti a dazi e nessuna tassa per quelli che sono invece esenti mentre il secondo simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti per tutti i prodotti importati dagli Stati Uniti. Nel caso di aumenti limitati ai prodotti già colpiti, il sistema moda, già oggi insieme all’agroalimentare uno dei più esposti nell’ambito del made in Italy, pagherebbe il costo maggiore, spiega la nota, dovendo fronteggiare oltre un miliardi di dollari di dazi, dai circa 700 milioni di dollari del 2025. In questo ambito si sono già levate voci da parte del mondo della moda italiana. Confindustria Moda Accessori ha ricordato che già nel 2023 l’export dei prodotti negli Usa erano calate del 4% circa, con segni positivi solo per la pelletteria e la pellicceria (export pari a 2.891 milioni di euro circa sul Paese) e nei primi nove mesi del 2024 la flessione si era mantenuta sul 3,8%, con sostanziale tenuta questa volta della sola pelletteria (export del periodo 2.014 milioni di euro sul Paese).
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