l’assalto di Trento e Trapani allo scudetto

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Dopo una storia di titoli andati a Varese, Siena, Cantù, il campionato italiano di pallacanestro dopo il covid non si è mosso da Bologna e Milano. Ora Trento e Trapani sono in corsa per l’altissima classifica e per spiazzare le grandi nella prossima Coppa Italia. Viaggio in due realtà sorprendenti, guidate da due teste speciali in panchina

Una volta Bologna, tre volte Milano. Dal covid in avanti lo scudetto del basket è stato un affare per due città metropolitane, in totale rottura con una tradizione di provincia, con i dieci titoli di Varese, i sei di Siena, i tre finiti a Cantù, un comune non capoluogo. In questa geografia di puntini diffusi, il Nord-Est ha avuto Treviso e Venezia, il sud Caserta e Sassari, dove la passione è forte, il radicamento pure, ma alta l’inclinazione al fallimento.

Ora Nord-Est e Sud sono in testa al campionato con le due squadre più sorprendenti dell’anno, Trento da una parte, Trapani dall’altra, avversarie domenica scorsa per il primato (83-80 per Trento) e di nuovo da metà settimana alle finali di Coppa Italia.

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Trento

Trento deve la sua cavalcata a Paolo Galbiati, 42 anni, brianzolo, allenatore anche della Nazionale Under-20. Si è costruito una formazione nel confronto con figure internazionali. È stato a Torino il vice del leggendario Larry Brown, un anello NBA con Detroit nel 2004 dopo aver vinto un campionato universitario a Kansas nel 1988, uno dei 15 coach più nella storia della NBA. Poi ha lavorato a Varese con Matt Brase, oggi nello staff dei Philadelphia 76ers.

I canestri di Trento sono un lavoro soprattutto per Jordan Ford e Anthony Lamb. Il primo giocava a scacchi a quattro anni con suo padre Cuzear. Aveva iniziato a battere anche gli adulti fino a vincere due titoli statali in California e piazzarsi settimo in tutti gli USA nella sua fascia d’età. Smise quando scoprì il basket. Anthony Lamb è invece figlio di una ragazza madre che lo ha fatto nascere all’età di 17 anni. Ha conosciuto il suo padre biologico solo nel 2017. Parla pubblicamente di lotta contro la depressione e pensieri suicidi.

Ma Trento aveva già giocato due finali scudetto nel 2017 e nel 2018, Trapani mai. La sua ascesa è perfino più portentosa. La 117esima città d’Italia per numero di abitanti non si sta accontentando di essere fra le partecipanti dopo 32 anni, da neopromossa sta andando oltre ogni previsione.

Trapani

Nonostante sia solo al suo secondo anno di vita, la società non ha mai nascosto le sue ambizioni né ha risparmiato sugli investimenti, potendo contare su uno dei primissimi budget del torneo. Proclami e disponibilità economica che in campo si fondono nel lavoro di Jasmin Repesa, 63 anni e mezzo, fisicità imponente tipica di chi prima di allenare a basket ha giocato, partendo dalla sua città natale di Čapljina, allora Jugoslavia, oggi Bosnia, al confine con la Croazia, compagno di squadra e capitano di giocatori che hanno scritto pagine di alto livello del basket italiano come Zoran Savić e Teoman Alibegović.

Scelta la nazionalità croata, Repesa ha colto i più importanti successi in panchina, da giramondo, in Turchia, Spagna, Polonia, Montenegro ma soprattutto in Italia, una seconda patria. Con il destino ad aver più volte sollecitato questa connessione. Come quando completò il corso per ottenere la qualifica da allenatore a Ragusa o quando dovette decidere il nome per il figlio, chiamato Dino: Jasmin era assistente di Aleksandar Petrović al Cibona e in ritiro incontrò quella Stefanel Trieste dove spendeva le ultime gocce della sua leggendaria carriera Dino Meneghin.

Estimatore dello spirito di sacrificio e dell’etica del lavoro di Meneghin, tratti che ha fatto suoi e che lo hanno sempre contraddistinto (6 campionati vinti in Croazia, 2 in Turchia e 2 in Italia, oltre a svariate coppe), Repesa poteva far pensare a un rilassamento in un contesto nuovo come quello di Trapani. Invece, le motivazioni sono ancora tutte lì: quando guida la squadra con la sua voce baritonale, esigente in palestra, cultore del lavoro, senza compromessi, una figura da padre burbero e buono che i giocatori apprezzano, per l’onestà nei rapporti umani Le sfuriate fanno parte del suo modo di plasmare un gruppo, con atteggiamento severo ma giusto. Con lui è fiorito Marco Belinelli alla Fortitudo Bologna.

È nei contesti in cui viene accompagnato dalle tifoserie più accese che Repesa dà il massimo, quando c’è da dimostrare qualcosa, quando non parte favorito: dalla Fortitudo a Roma, passando per Pesaro, senza dimenticare il Dona Zagabria, dove contro ogni aspettativa arrivò con un gruppo di giovani a giocarsi la finale del campionato nel 1994, costretto a perderla in quanto l’avversario era il Cibona, la casa madre, il club di cui il Dona era la succursale.

Oppure al Tofaş Bursa, dove vinse tutto superando i colossi Ülker Istanbul e Efes Pilsen. Questa sembra la chiave per comprendere la scelta di sposare il progetto siciliano, dove già ha marchiato la squadra con quell’atteggiamento da perenne insoddisfatto, da prendere o lasciare, da punti estremi. Contro Venezia a inizio gennaio ha sostituto contemporaneamente tutto il quintetto titolare perché non era soddisfatto, ma dopo il primo torneo estivo vinto aveva portato l’intero gruppo a cena a sue spese.

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A fine carriera si dedicherà al nipotino, il figlio di Dino. Ora Repesa è corpo e anima a Trapani, come Galbiati a Trento: per fare lo sgambetto alle grandi. Per restituire i trofei del basket alla provincia.

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