Come emerso a inizio gennaio, il governo Meloni sta lavorando su una riforma dei medici di base per renderli dipendenti, e non più liberi professionisti. Lavorerebbero soprattutto nelle Case di comunità, dividendo le ore tra i propri pazienti e le necessità dell’Asl. Cambierebbero anche i titoli necessari a diventare medico di famiglia. Ecco cosa dice la bozza della riforma.
Prende forma la proposta di legge su cui il governo Meloni sta lavorando da qualche tempo, anticipata già a gennaio e di cui ora ci sarebbe una bozza: la riforma dei medici di famiglia, per trasformarli in dipendenti pubblici, non più liberi professionisti. Questo significherebbe un impegno di ore più alto dedicato alle Asl e alle necessità territoriali, e probabilmente lo spostamento (in alcuni casi per la maggior parte del tempo) dal proprio studio privato alle Case di comunità e gli ambulatori messi a disposizione dalle Regioni. In più, cambierebbero anche i titoli di studio necessari per diventare medici di base: non più un corso triennale gestito su base regionale, ma una laurea specialistica quadriennale.
Queste sono le novità principali che troverebbero conferma in una prima bozza della riforma, già passata al vaglio del governo e delle Regioni. Ad anticiparlo è stato il Corriere della Sera.
Il passaggio da liberi professionisti a dipendenti
Attualmente, come detto, i medici di base sono liberi professionisti e hanno un proprio studio privato, ma stipulano una convenzione con il Servizio sanitario nazionale per gestire un proprio ambulatorio e prendere in carico dei pazienti. Con la riforma del governo, invece, diventerebbero veri e propri dipendenti, allo stesso modo in cui lo sono i medici che lavorano in ospedale.
Il testo della bozza prevederebbe che il rapporto con i medici che oggi non sono dipendenti non cambi. Si andrebbe “a esaurimento“, cioè i nuovi medici di base partirebbero come dipendenti, mentre i liberi professionistici avrebbero l’opzione di restare nella loro condizione. Volendo, comunque, avrebbero l’opzione di diventare dipendenti. Considerando che l’età media dei medici di base è piuttosto avanzata (oltre i 55 anni), nei prossimi anni ci si aspetta che ci sia un ricambio importante: perciò, il numero di medici dipendenti dovrebbe crescere piuttosto in fretta.
Che orari farebbero i medici di base con la riforma del governo
Gli orari di lavoro dei medici di famiglia cambierebbero con la riforma del governo Meloni. Sarebbero previste 38 ore di lavoro settimanali. Oggi la soglia è più bassa, dato che si parla di liberi professionisti che con il settore pubblico hanno solamente una convenzione.
Queste andrebbero divise: da una parte i propri pazienti presi in carico, e dall’altra tutte le necessità del distretto dall’altra. Concretamente questo può voler dire fare visite ad altre persone, effettuare vaccinazioni, e più in generale mettersi a disposizione per i bisogni di chi abita nel territorio dell’Asl.
La bozza prevede che chi ha al massimo 400 pazienti debba dedicare loro sei ore a settimana, mentre il resto del tempo alla sanità territoriale. Da 400 a mille pazienti le ore per loro salirebbero a dodici a settimana, da mille a 1.200 diventerebbero diciotto ore, da 1.200 a 1.500 pazienti sarebbero previste per loro 21 ore a settimana. Infine, oltre la soglia dei 1.500 pazienti in carico (una soglia che molti medici di base oggi superano) ci sarebbero 24 ore a settimana da dedicare a loro, e le restanti 14 per la Asl.
Questa alternanza tra i propri pazienti e la sanità territoriale avrebbe lo scopo di garantire più facilmente ai cittadini l’accesso alle cure. Se anche il proprio medico non fosse a disposizione, insomma, si potrebbe essere certi di trovare un altro facendo ricorso all’Asl.
Dove lavorerebbero i medici di famiglia
Cambierebbe anche il luogo di lavoro. Oltre allo studio privato – che potrebbe non sparire, almeno per le ore dedicate ai propri pazienti – emergerebbe il ruolo della Casa di comunità. Si tratta di strutture previste e finanziate dal Pnrr. Ce ne dovranno essere oltre 1.400 in Italia entro la metà del 2026, ma oggi non solo la costruzione va a rilento: il problema principale è che spesso manca il personale medico al loro interno.
La Casa della comunità dovrebbe essere uno spazio in cui è sempre possibile trovare medici di base o specialisti, dalle ore 8 alle ore 20, per eseguire visite o anche esami. Un modo per non sovraccaricare gli ospedali e i Pronto soccorso, spingendo i cittadini a fare ricorso a questa nuova forma di sanità territoriale. Oltre alle Case della comunità dovrebbero esserci anche ambulatori gestiti dalla Regione, da fornire in tutti i Comuni, per evitare che chi abita in zone isolate sia in difficoltà.
Nuove regole per la formazione
Infine, c’è la questione della formazione. Al momento chi si laurea in Medicina, se poi vuole fare il medico di base, deve completare un corso di formazione che dura tre anni ed è gestito dalla Regione. Nella sua forma attuale, invece, la riforma prevede che la formazione dei medici di famiglia sia sostanzialmente uniformata a quella degli altri medici. Si tratterebbe, perciò, di un corso universitario: una laurea specialistica della durata di quattro anni.
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