GhostNets, il progetto che pulisce i mari dalle reti da pesca e punta al loro riciclo

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 


Le ghost nets sono delle “reti fantasma”, cioè reti che vengono abbandonate in mare o disperse. Depositandosi sui fondali danneggiano l’ecosistema marino e diventano una causa di inquinamento delle acque. Un nuovo progetto che coinvolge 20 aree marine mira alla pulizia dei fondali e al recupero delle reti tramite progetti di economia circolare: ecco come

Ripulire i fondali dai rifiuti della pesca e studiare delle possibili soluzioni di riciclo: GhostNets è un nuovo progetto di ricerca e tutela dell’ecosistema marino che rientra nel programma Mer, Marine Ecosystem Restoration, finanziato dal Pnrr. Nasce in questi mesi e andrà avanti fino a giugno 2026. 

Le operazioni di recupero dei rifiuti della pesca depositati sui fondali marini sono iniziate sulla costa siciliana di Siracusa lo scorso novembre e sono proseguite per quasi tutto il mese di gennaio. Dopo la Sicilia, si passerà alla Campania, in un sito in corrispondenza di Capri e nell’area di Gaiola, e poi verso il Lazio.

Microcredito

per le aziende

 

Tutte insieme, le aree marine italiane coinvolte nell’operazione “GhostNets” sono venti: il progetto, a cui l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, sta lavorando con la Fondazione ambientalista Marevivo, Castalia e il Consorzio interuniversitario CoNISMa è ambizioso perché, oltre a ripulire e tutelare l’ambiente marino da reti e rifiuti della pesca, i ricercatori intendono studiare dei possibili processi di riciclo dei materiali recuperati.

LE PRIME OPERAZIONI DEL PROGETTO

Fonte: Marevivo – R. Cingillo

Le ghost nets sono delle “reti fantasma”, cioè reti che, con le attività di pesca, vengono abbandonate in mare o accidentalmente disperse: queste, depositandosi sui fondali, danneggiano l’ecosistema marino e diventano una causa di inquinamento delle acque. Secondo i dati diffusi dall’Ispra, l’86,5 per cento dei rifiuti presenti in mare è legato alle attività di pesca e acquacoltura e per il 94 per cento dei casi si tratta di reti.

La loro composizione è in prevalenza nylon o plastica e, una volta abbandonate in mare, si degradano e diventano microplastiche. «Queste entrano nella catena trofica e abbiamo visto che più del 50 per cento dei pesci contiene microplastiche, con un impatto sull’ambiente e a livello sanitario per l’uomo», spiega a Domani la dott.ssa Cecilia Silvestri, biologa marina e ricercatrice dell’Ispra che ha preso parte al progetto.

Per identificare le aree su cui intervenire, il punto di partenza sono stati i dati provenienti dall’annuale monitoraggio sullo stato di salute dei mari che l’Ispra effettua per la Commissione europea e il ministero dell’Ambiente.

A queste informazioni si sono aggiunte le segnalazioni di varie realtà di categoria, quindi associazioni, stakeholders e diving center, sulla presenza di aree impattate dai rifiuti della pesca. Le attività in loco prevedono una fase di “pre-rimozione”, dedicata alla mappatura, con tecnologie come Rov e multibeam, dei fondali; in seguito, gli operatori tecnici subacquei procedono con la fase di rimozione vera e propria delle reti. L’intervento sul fondale siracusano ha permesso di recuperare oltre trenta reti, lunghe fino a 260 metri.

LA LEGGE “SALVAMARE” E IL RICICLO

Fonte: Marevivo – R. Cingillo

Quando le reti vengono recuperate e portate a terra, solo una piccola percentuale di esse può essere riciclata, perché sono spesso reti rimaste sui fondali per molti anni e perciò degradate. In Italia, il riciclaggio delle reti da pesca abbandonate è una pratica ancora in fase sperimentale e che sta iniziando a svilupparsi negli ultimi anni, con la spinta ricevuta dalla legge “Salva Mare” (L 60/2022), che disciplina il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e promuove attività di economia circolare.

«Con questa legge si riconoscono tutti i rifiuti recuperati in mare come rifiuti provenienti dalle navi, quindi urbani e come tali possono entrare nel percorso dello smaltimento», commenta Silvestri. Adesso che anche le reti da pesca e altri rifiuti sono entrati nei meccanismi di smaltimenti e riciclo, sempre più enti e aziende stanno studiando possibili soluzioni per l’economia circolare.

«Le reti più danneggiate potrebbero essere usate per l’asfalto, dove c’è una componente di plastica. Per le reti più pulite, si è visto che si può agire con un meccanismo che permette di riportarle in piccoli frammenti: si toglie la parte più pulita dalle reti e, a seguito di un processo termochimico, si trasformano in carburante o in nuovi polimeri, da utilizzare in altri materiali. In questo progetto si faranno nuovi tentativi».

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link