Il nuovo codice della strada: la prevenzione questa sconosciuta di Raffaele Sibilio

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Non vi è dubbio che appare con chiarezza come l’inasprimento delle pene, per chi viola il codice della strada, si caratterizza più per obiettivi di natura repressiva che preventiva.

Innalzare, ad esempio,  il valore monetario delle sanzioni fino al ritiro e alla sospensione della patente dovrebbe servire, nelle intenzioni del legislatore, come fattore deterrente ma, come ampiamente dimostrato, affrontare il problema con questa modalità di intervento non produce il risultato di una diminuzione degli incidenti.

E’ evidente che chi viola un dispositivo legislativo va punito con le relative sanzioni eppure le leggi non hanno il solo scopo di punire comportamenti non leciti ma, anche e soprattutto, evitare che quei fenomeni si ripetano nel tempo. Per questo il codice della strada dovrebbe prevedere anche delle misure di prevenzione che, invece, sono del tutto assenti.

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Soffermiamoci sui punti che hanno generato accese discussioni: si pensi, ad esempio, alle misure previste per chi, pur non guidando in stato di alterazione definita psicofisica, viene sanzionato se un  test salivare  rileva la sola presenza dell’uso di  sostanze stupefacenti, come nel caso della cannabis,  anche dopo giorni dalla loro assunzione: il che non dimostra automaticamente che siamo in presenza, in quel momento, di uno stato di alterazione che compromette una guida consapevole.

In questo caso il rischio è quello di ritirare la patente a chi guida non in condizione di alterazione psicofisica con conseguenze anche di natura penale, laddove nel nostro ordinamento l’uso di sostanze stupefacenti viene considerato un illecito di natura amministrativa e non penale.

Si arriva ad una evidente contraddizione tra chi ha abusato di alcol nelle ore precedenti ed è in grado di  guidare con lucidità  e chi, invece, anche in tempi più lontani, ha fatto uso di sostanze stupefacenti come nel caso della cannabis.

Sembra, quindi, che l’obiettivo si caratterizza più per sanzionare l’uso di droga, indipendentemente dalle conseguenze sulla guida, allontanandosi da obiettivi legati alla sicurezza stradale riferendosi, nelle intenzioni, ad azioni di contrasto alle dipendenze che andrebbero affrontate con modalità del tutto diverse.

Da questa contraddizione si evince la finalità  repressiva che caratterizza alcuni aspetti del nuovo codice  laddove è ormai conclamato, anche scientificamente, che, se si vogliono attuare politiche di contrasto alle dipendenze sarà necessario fare riferimento ad azione di prevenzione.

Ovviamente attendiamoci una pioggia di ricorsi relativamente alle considerazioni del diverso trattamento riservato a chi assume alcol rispetto a chi consuma droghe leggere ma siamo consapevoli che, pur essendo verificato, che l’alcol è una delle piaghe della nostra attuale società la sottovalutazione del problema risiede nella importanza economica del settore per la nostra economia.

Ne consegue che il messaggio poco rassicurante è che il consumo di alcol viene considerato meno rilevante rispetto all’assunzione di droghe leggere tralasciando la rilevanza sociale della dipendenza da alcol.

In sintesi, posso bere a volontà la sera prima e guidare la mattina dopo e, invece,  non posso consumare cannabis anche giorni prima della mia salita in auto.

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Allora è lecito chiedersi se, di fronte ai dati pubblicati da fonti affidabili,  come quelli elaborati dalle forze dell’ordine, nel 2022  su circa 56000 incidenti con conseguenti lesioni verificate solo il 3% ha visto coinvolti guidatori positivi all’uso di sostanze stupefacenti, mentre gran parte degli incidenti stessi  è causato dal superamento dei limiti di velocità dall’utilizzo durante la guida di cellulari, ecc. ed in questo caso le sanzioni sono del tutto diverse e meno restrittive soprattutto di natura pecuniaria.

Per questo, non ci si può esimere dal sospetto che il nuovo codice della strada si pone nella sua forma di propaganda politica attraverso un messaggio che ha l’obiettivo di comunicare l’avvio di azioni per rispondere al sentimento di insicurezza dei cittadini ma che, nei fatti, risponde ad una politica simbolica e poco concreta che non ha le finalità  dichiarate.

Le azioni di prevenzione sono necessarie per generare processi di responsabilizzazione individuali che salvaguardano non solo i singoli ma anche l’intera collettività.

Ovviamente i tempi per l’acquisizione della responsabilità individuale, coinvolgendo le Associazioni, le Scuole e i soggetti sociali operanti nel territorio,  spesso non sono in sintonia con le esigenze del consenso politico, determinando un corto circuito tra una reale risposta ai bisogni di sicurezza e le esigenze temporali del consenso.

Responsabilizzare i cittadini lavorando alla acquisizione di una coscienza collettiva richiede di investire su azioni finalizzate alla presa di coscienza individuale della responsabilità che abbiamo nei confronti degli altri. Condizione, questa, per una vera e propria convivenza civile.

Il che non si raggiunge con eccessivi inasprimenti di pena, per giunta generando ulteriori disuguaglianze di trattamento, bensì richiamando tutti ad una solida solidarietà.



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