Nordio contesta la Cpi. Ma troppi punti sono oscuri

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Clima infuocato alla Camera durante l’informativa del governo sulla vicenda riguardante Njeem Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica, nonché torturatore del carcere di Mitiga, espulso dall’Italia il 21 gennaio scorso perché considerato un «soggetto pericoloso». Nei confronti di Almasri, arrestato a Torino il 19 gennaio e poi rispedito a Tripoli con un aereo dei servizi segreti, la Corte penale internazionale ha spiccato un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra (l’accusa si riferisce, tra le altre cose, a reati quali l’omicidio, la tortura, la violenza sessuale, la schiavitù e la riduzione in schiavitù per sfruttamento sessuale).

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha assunto le vesti di “difensore” del governo – dopo quarant’anni di carriera come pm – e ha cercato di smontare pezzo per pezzo, in fatto e in diritto, l’iniziativa della Corte penale internazionale, soffermandosi sulla scansione temporale che ha contraddistinto la notifica del mandato d’arresto internazionale alle autorità italiane. Una disamina tecnica, in cui, prima di tutto, il guardasigilli ha voluto chiarire il proprio ruolo. Ha infatti affermato che «il ministro non è un passacarte», «il ruolo del ministro non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste ma di un organo politico che deve meditare il contenuto in funzione di un eventuale contatto con gli altri ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato». Non sono mancate “incursioni” politiche per replicare alle proteste, sia alla Camera che al Senato, provenienti dall’opposizione.

La vicenda Almasri sta provocando numerose polemiche per come è stata gestita con il successivo intervento della procura di Roma, che ha inviato una informazione di garanzia allo stesso guardasigilli Nordio, oltre che alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Il ministro della Giustizia ha definito il mandato d’arresto proveniente dall’Aia un atto «connotato di imprecisioni, omissioni, discrepanze e conclusioni contraddittorie». Un atto incoerente per il governo e «radicalmente nullo».

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Sorge però su questo punto un dubbio. L’esponente di un governo, nel nostro caso il ministro della Giustizia, può sindacare nel merito la richiesta di arresto della Corte penale internazionale, dichiarandola nulla, accantonando la legge n. 237 del 2012 che contiene le norme per l’adeguamento alle disposizioni dello Statuto della Cpi? Si apre un precedente che indebolisce l’architettura su cui si fonda il funzionamento della Corte dell’Aia con un ulteriore rischio: l’Italia abbandona lo Statuto di Roma con una valutazione molto discrezionale del provvedimento proveniente dall’Olanda.

L’intervento di Nordio ha avuto tra le prime basi argomentative la nullità del mandato d’arresto con riferimento alla giurisprudenza nazionale sulla nullità delle ordinanze cautelari per mancanza, ad esempio, di traduzione nella lingua madre dell’imputato. Un tema debole, dato che in Italia esiste sempre la possibilità di differire la traduzione di un’ordinanza di custodia cautelare successivamente alla carcerazione nei casi d’urgenza. Fragile, inoltre, è apparsa la lamentela sul testo in inglese e non in italiano del mandato d’arresto. L’inglese è una delle lingue ufficiali dell’Unione europea.
Nordio si è poi soffermato su una serie di elementi, a suo dire fondamentali, per fornire un quadro il più chiaro possibile dell’intera vicenda caratterizzata da una incertezza di fondo che ha fatto traballare l’iniziativa intrapresa dai giudici dell’Aia. Il richiamo è stato a diversi paragrafi del mandato d’arresto, a partire dal 5 e dal 7, nei quali si rinviene, rispetto ad alcuni fatti presi come riferimento per ricostruire il quadro accusatorio a carico di Almasri e agli anni di riferimento – il 2011, il 2015 e il 2024 – un «un incomprensibile salto logico», con «una contraddizione che, almeno secondo la procedura penale italiana, renderebbe viziato l’atto» in quanto «le conclusioni risultavano completamente differenti sia rispetto alla parte motiva che rispetto alle stesse conclusioni delle accuse».
Il ministro ha richiamato il paragrafo 101, con il quale si conclude il provvedimento della Cpi, con alla base un riferimento temporale: i crimini commessi nel carcere di Mitiga dal 15 febbraio 2011 in poi e il rilievo di «una insanabile e inconciliabile contraddizione riguardo un elemento essenziale della condotta criminale dell’arrestato, riguardo al tempo del delitto commesso».
Nordio si è poi soffermato su un altro punto, a suo dire, molto importante: le perplessità manifestate dalla giudice della Cpi, Socorro Flores Liera, con la contestazione del difetto di giurisdizione in riferimento all’arco temporale connesso alle violenze che sarebbero state consumate da Almasri.

Le argomentazioni della Liera, ha precisato il ministro della Giustizia, non sono state tempestivamente trasmesse dalla Cpi, mancando il relativo verbale.
A questo punto Carlo Nordio ha svelato quello che, a suo dire, è stato un “pasticcio” della Corte penale internazionale. Quest’ultima si è affrettata il 24 gennaio, tre giorni dopo il ritorno di Almasri in Libia, a correggere il precedente mandato di arresto datato 18 gennaio, qualificando «il secondo pronunciamento come una mera integrazione formale». «Il vizio genetico nell’ordinanza del 18 gennaio – ha spiegato il ministro della Giustizia – è certamente il mutamento della data del commesso reato» con l’indicazione dei reati addebitati ad Almasri, tutti commessi dal febbraio 2015.
I vizi rilevati dal guardasigilli con l’invio della richiesta del 18 gennaio hanno causato pertanto la mancata iniziativa di via Arenula. Secondo Nordio, sono stati «pienamente giustificati ed impedivano qualsiasi approccio al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, quantomeno prima di aver chiesto e ottenuto chiarimenti dalla Corte penale internazionale come previsto proprio dall’articolo 2 della legge 237 del 2012». Un fatto che ha giustificato il silenzio del ministro della Giustizia con la conseguente scarcerazione del torturatore di Mitiga.
Tutti i rilievi sulla nullità del mandato d’arresto della Corte penale internazionale, espressi davanti al Parlamento, non risolvono le tante questioni emerse nelle ultime due settimane sollevate in Parlamento dall’opposizione, molto critica e insoddisfatta dalle risposte dei ministri Nordio e Piantedosi presentatisi in aula.

Il guardasigilli ha addirittura anticipato un’iniziativa contro l’Aia per «attivare i poteri che la legge mi riconosce e chiedere alla Cpi giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferirvi». Fino ad ora nessuna replica è giunta dalla Corte penale internazionale. In molti ritengono inevitabile una presa di posizione dei magistrati dell’Aia per difendere il proprio operato sul caso Almasri e legittimare la propria esistenza. Il tribunale fortemente voluto anche dall’Italia, consacrato con lo Statuto di Roma nella calda estate del 1998, ingenerosamente ridicolizzato ieri da alcuni parlamentari del centrodestra, probabilmente affronta il periodo più delicato della propria storia.



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