Quelle «incongruenze» mai comunicate dal ministro alla Corte sul caso Almasri

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di
Giovanni Bianconi

«Il ministro non è un passacarte», rivendica il Guardasigilli Carlo Nordio. E spiega che nel suo ruolo di «organo politico» ha il «potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato». Ma ecco cosa ancora non torna

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«Il ministro non è un passacarte», rivendica il Guardasigilli Carlo Nordio. E spiega che nel suo ruolo di «organo politico» ha il «potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato, laddove se ne presenti la necessità, che in questo caso si presentava eccome». Dunque il ministro della Giustizia che ha di fatto disapplicato il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il generale libico Najeem Osama Almasri, determinando la scarcerazione del detenuto, ha discusso con i colleghi di governo. Con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, c’è da presumere, ma anche con il sottosegretario delegato alla sicurezza nazionale Alfredo Mantovano e, verosimilmente, con la stessa premier Giorgia Meloni. Cioè i quattro indagati la cui posizione è al vaglio del Tribunale dei ministri, dopo la trasmissione degli atti da parte del procuratore di Roma.

Nuova versione

Nella terza versione governativa sulla liberazione del libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità — dopo la mancata interlocuzione preventiva tra Corte penale e ministero, e la responsabilità attribuita ai giudici della corte d’appello di Roma che proprio quell’assenza di interlocuzione avevano rilevato — l’addebito ricade ora sulla stessa Cpi che avrebbe sbagliato a scrivere la richiesta d’arresto. Il cuore della relazione di Nordio al Parlamento è un asserito errore sulle date di commissione dei reati contestati: «In poche parole, in questo mandato di arresto si oscillava dal 2011 al 2015 e non si riusciva a capire se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015; non è una cosa di poco conto, trattandosi di un reato continuato e poiché in quei quattro anni, secondo la stessa Corte, sarebbero stati commessi numerosi atti di stupro, violenza, aggressione, omicidio, eccetera».




















































Per questo vizio — rilevato anche da una delle tre giudici della Corte che dovevano emettere il provvedimento, e che per questo ha votato contro — il Guardasigilli non ha dato seguito alla richiesta giunta dall’Aia. «Un atto, secondo noi, radicalmente nullo», ha sentenziato Nordio. Ma quando la Procura generale di Roma gli si rivolse sollecitando «le determinazioni in ordine all’attività da porre in essere», cioè il via libera all’arresto che avrebbe sanato i vizi procedurali rilevati da magistrati, il ministro non ha fatto cenno alle «incongruenze» rilevate ieri. Si limitò a non rispondere.

Omissioni e accuse

Ma soprattutto, Nordio ha omesso di sottoporre i rilievi avanzati in questa nuova ricostruzione alla Corte dell’Aia in tempo utile per rimediare: solo il 24 gennaio (quando già Almasri era tornato in Libia da tre giorni con un volo di Stato italiano) la Cpi ha emesso un nuovo provvedimento senza le incongruenze sottolineate da Nordio.

Eppure nella serata del 18 gennaio, insieme al mandato d’arresto, la cancelleria della Corte inviò all’ambasciata italiana in Olanda (che l’indomani inoltrò tutto a Roma) una nota in cui indicava nome, numero di telefono ed email del funzionario da contattare «qualora le autorità italiane dovessero individuare problemi che possano impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione». Una procedura prevista dall’articolo 97 dello Statuto di Roma con cui l’Italia ha aderito alla Cpi. Nulla di tutto ciò è avvenuto, come la stessa Corte ha comunicato dopo la liberazione del generale libico, preannunciando la richiesta di chiarimenti all’Italia.

Il paradosso è che ieri Nordio ha informato il Parlamento dell’intenzione di chiedere lui chiarimenti alla Cpi sui motivi di un mandato d’arresto scritto, a suo dire, così male da non poter essere eseguito.

Dei presunti errori commessi all’Aia non c’è traccia nemmeno nella risposta inviata nei giorni scorsi dal Gabinetto del ministro alla Corte, nella quale ci si limita a ricordare gli articoli della legge che regola i rapporti con l’Italia, e si dà atto che la Corte d’appello di Roma ha scarcerato il libico ricercato, senza fare cenno nemmeno alla richiesta della Procura generale rimasta inevasa.

L’aereo anticipato

È prevedibile che il confronto-scontro tra Roma e l’Aia prosegua a colpi di norme e commi, e possa giungere fino alle Nazioni Unite. Con l’Italia attestata sulla competenza attribuita al ministro «di ricevere e dare seguito alle richieste della Corte», senza essere un passacarte ma consultandosi con chi di dovere, e la Cpi sulla disposizione — secondo la stessa legge — in base alla quale «il ministro dà corso» alle richieste «trasmettendole al procuratore generale perché vi dia esecuzione», senza valutarne merito e fondatezza. Nella sua informativa Nordio ha aggiunto il particolare di essere indagato (probabilmente solo lui e non gli altri esponenti di governo coinvolti) per omissione d’atti d’ufficio; un’integrazione fatta dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi prima di inviare il fascicolo al tribunale dei ministri. Questa ipotesi non era contenuta nella denuncia dell’avvocato Li Gotti, ma è stata fatta perché spetta al pm indicare i possibili reati, anche quando non è titolato a indagare come in questo caso.

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Il ministro dell’Interno Piantedosi, invece, ha ribadito la necessità di espellere «un soggetto pericoloso per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico» tornato libero. Dando la versione ufficiale sulla partenza anticipata (da Roma per Torino) dell’aereo che ha riportato Almasri in Libia: la mattina del 21 gennaio, prima che i giudici lo scarcerassero. Non per una decisione politica già presa, bensì per una «iniziativa preventiva, aperta ad ogni possibile scenario, ivi compresa l’eventuale necessità di trasferimento in altro luogo di detenzione».

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