Almasri, il governo denunciato alla Cpi. Nordio contrattacca, ma è l’anello debole

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La denuncia è partita per ostacolo all’amministrazione della giustizia. Il ministro pronto a formalizzare una richiesta di spiegazioni alla Corte

Se l’aspettativa del governo era che le informative al parlamento di Carlo Nordio e Matteo Piantedosi chiudessero il caso Almasri, l’effetto, soprattutto della ricostruzione fornita dal ministro della Giustizia, è stato opposto. La Corte penale internazionale dell’Aia ha ricevuto una denuncia nei confronti della premier Giorgia Meloni e dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, con l’ipotesi di «ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma».

L’atto, secondo quanto riportato da Avvenire, è stato ricevuto dall’ufficio del procuratore, che l’ha trasmesso al cancelliere e al presidente del tribunale internazionale, iscrivendo quindi a ruolo l’istanza e aprendo tecnicamente un fascicolo. Ora spetta alla procura internazionale decidere come procedere. Fonti della Cpi hanno precisato che non ci sono in questa fase iscrizioni di indagati e anche da palazzo Chigi trapela che non esistono, a oggi, indagini formali.

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Tuttavia, le tecnicalità sono solo un aspetto della questione: era quasi scontato che l’espulsione del generale libico Almasri, su cui gravava un mandato di arresto della Cpi, provocasse conseguenze sul piano internazionale. Lo stesso Nordio in parlamento ha confermato la sua chiave interpretativa della legge del 2012, dicendo di non essere il «passacarte» della corte e che fosse suo diritto esercitare un controllo sull’atto che chiedeva il trasferimento di Almasri, secondo lui «viziato all’origine» e quindi «nullo» a causa di indicazioni discordanti sull’inizio dei fatti di reato a suo carico ipotizzati. Un sindacato di merito che, però, secondo la stessa legge, non spetterebbe al potere esecutivo che è tenuto solo a trasmettere gli atti. Secondo la denuncia – un atto di 23 pagine redatto da un rifugiato sudanese, che nel 2019 aveva denunciato le torture subite da lui e dalla moglie per mano del generale libico – il governo italiano avrebbe abusato del suo potere esecutivo, disobbedendo all’obbligo internazionale di garantire l’arresto di Almasri per poi consegnarlo alla Cpi.

Senza contare che potrebbe essere alle porte anche un’altra conseguenza. Al netto della denuncia la Cpi ha il potere di avviare una indagine formale sul mancato rispetto degli obblighi di cooperazione da parte dell’Italia, con conseguenze sia sul fronte legale sia su quello diplomatico. Non solo, anche le Nazioni unite potrebbero esaminare il caso, visto che le indagini sulla Libia condotte dalla Cpi sono state autorizzate dal Consiglio di sicurezza con una risoluzione del 2011.

Anche il parlamento europeo è stato investito del caso, con una richiesta del gruppo The Left – di cui fanno parte anche i M5s – di un dibattito «sulla protezione del diritto internazionale e delle prerogative della Corte penale internazionale» che è stato calendarizzato per martedì sera. Nel bilaterale con il presidente della Cpi Tomoko Akane, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha detto che la Corte «svolge un ruolo essenziale nel rendere giustizia» e «l’indipendenza e l’imparzialità sono caratteristiche fondamentali», «L’Ue rimane impegnata a porre fine all’impunità».

Se il caso sta assumendo proporzioni sempre maggiori, la reazione del governo italiano è di sostanziale disinteresse e anzi di contrattacco. La premier Meloni, nuovamente chiamata in causa nella denuncia e assente dall’informativa in parlamento, ha continuato a ostentare il silenzio. Tuttavia sia il Pd sia il M5s sono tornati a chiedere che si presenti in parlamento, anche alla luce dell’indagine internazionale.

Il vicepremier Antonio Tajani ha invece avuto la reazione più dura: «Ho molte riserve sul comportamento della Corte. Forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale, bisogna avere chiarimenti su come si è comportata», ha detto. Un attacco mirato, quello del ministro degli Esteri, che ha indirettamente trovato coincidenza nell’ultima iniziativa del presidente americano Donald Trump. Secondo Nbc News, il tycoon è pronto a firmare un ordine esecutivo per sanzionare la Cpi perché avrebbe preso di mira impropriamente gli Stati Uniti e Israele. L’ordine dovrebbe prevedere sanzioni finanziarie e restrizioni sui visti contro i funzionari della Cpi e i loro familiari che hanno collaborato alle indagini su cittadini e alleati statunitensi. Se così fosse, sarebbe il primo attacco diretto del neo presidente a una istituzione internazionale, con conseguenze imprevedibili.

Nordio nel mirino

I rischi per l’esecutivo, tuttavia, non arrivano solo dal livello internazionale. Anche alla luce della ricostruzione da lui stesso fornita, l’anello debole nella catena decisionale sul caso Almasri rimane il guardasigilli Nordio e la sua valutazione di considerare «nullo» l’atto della Cpi senza però provvedere a inoltrare i rilievi, lasciando che il libico venisse liberato. Davanti alle notizie provenienti dall’Aja, Nordio ha risposto con una alzata di spalle: «Credo che a questo mondo tutti indaghino un po’ su tutto» e ha detto di essere dispiaciuto che Almasri sia tornato in libertà ma che la causa è stata l’errore formale della Corte. Tanto che, secondo fonti ministeriali, il guardasigilli è pronto a formalizzare una richiesta alla Cpi di spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto di Almasri.

Tuttavia – come ha ricordato a tutti i suoi assistiti al governo l’avvocata e senatrice leghista Giulia Bongiorno – le dichiarazioni di Nordio in aula verranno acquisite agli atti dell’indagine del tribunale dei ministri. Su di lui pendono due ipotesi di reato: «favoreggiamento e omissione d’atti d’ufficio», come ha scandito lui in parlamento (e non peculato come da denuncia di Luigi Li Gotti). Se, come ritiene gran parte della dottrina, il ministro non ha potere valutativo di merito sull’atto della Cpi, allora la sua ammissione di non aver trasmesso l’atto perché da lui considerato nullo rischia di essere un macigno sulla sua linea difensiva, almeno per l’accusa di omissione d’atti d’ufficio. Fermo il dato giuridico, tuttavia, rimane il fatto che il tribunale dei ministri si attiverà solo con il via libera del parlamento che, secondo fonti di centrodestra, Meloni non concederà mai.

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