Asl Roma 4: «Sulla pericolosità intervengano le forze dell’ordine, non la Psichiatria»

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CIVITAVECCHIA – «La Psichiatria cura i disturbi delle persone: per la pericolosità intervengono le forze dell’ordine e la Giustizia». Inizia così la replica della Asl Roma 4 agli articoli di stampa circa la presenza in strada di individui socialmente pericolosi che ogni giorno danno filo da torcere alle forze dell’ordine mostrando chiari segni di alterazione psicofisica. «A volte le cose sono collegate e richiedono collaborazione – dichiara l’azienda sanitaria – ma esistono leggi e norme che regolano gli aspetti relativi all’imposizione delle cure (cure coattive). Quindi pensare che un ricovero che per legge non può durare più di 7 giorni, con procedura eventualmente rinnovabile, risolva la pericolosità di un individuo, quando la pericolosità non è un fatto episodico ma una condizione stabile, è fuorviante e non rispettoso della verità e si corre il grave rischio di una “psichiatrizzazione dei reati”, cioè l’attribuzione della custodia e controllo di persone socialmente pericolose alla psichiatria». «Non è frutto di malattia ogni agito della persona, anche quando malata. Si può restare malati e non commettere reati – prosegue la nota – o non commettere reati in diretta connessione con la malattia. E viceversa. Inoltre, può capitare che alcune persone antisociali, che magari hanno tratti psicopatici, vengano erroneamente etichettate come “pazienti psichiatrici”». Non fa una piega. Ma la domanda è sempre la stessa: chi è deputato a stabilire se la capacità di intendere e di volere di un individuo accompagnato in stato di alterazione psicofisica al pronto soccorso dalle forze dell’ordine sia o meno sotto la soglia di tollerabilità? A chi spetta il compito di stabilire se il caso trattato è da psichiatria, e quindi materia sanitaria, oppure da pericolosità sociale e quindi da forze dell’ordine, ovvero Giustizia? In quale sede viene diagnosticata una patologia psichica, con conseguente avvio di procedure specifiche? In pronto soccorso o in un reparto specialistico? Quando si parla di collaborazione tra figure istituzionali, non si mette certo in discussione la professionalità di medici e infermieri, ma allo stesso modo non ci si può limitare a parlare di cordialità e solidarietà lavorativa. «Su queste tematiche – afferma la Asl Roma 4 – pronto soccorso e Spdc non solo non sono in attrito, ma anzi integrano le competenze e responsabilità anche in virtù di un protocollo operativo specifico e dettagliato. La stima reciproca tra gli operatori tutti e la capacità organizzativo e gestionale della direzione strategica aziendale, garantiscono sempre e comunque, attraverso i dirigenti medici, decisioni condivise e clinicamente valide, pure nell’enorme difficoltà che le condizioni sociali e giuridiche attuali impongono». «Siamo disponibili – fanno sapere dall’azienda sanitaria – ad incontri, per un confronto diretto con i cittadini su queste tematiche, a testimonianza della nostra volontà di fornire risposte chiare, illustrando possibilità e limiti dell’agire psichiatrico. Non vogliamo ignorare il peso di reazioni di allarme e timore che alcune situazioni possono causare nei cittadini e intendiamo muoverci tra iniziative di miglioramento, auspicabilmente in collaborazione con le forze dell’ordine». Collaborazione dovrebbe significare consolidare la macchina e farla funzionare in maniera armonica. Se un paziente arriva al pronto soccorso in stato di alterazione e dopo poche ore le forze dell’ordine sono costrette a intervenire di nuovo per fronteggiare le “stravaganze” dello stesso individuo, distraendo risorse da altri interventi su strada, è lecito oppure no interrogarsi quantomeno sull’opportunità delle procedure adottate in ospedale, senza essere accusati di essere scorretti? In uno dei casi raccontati dalle cronache in questi giorni, l’individuo (che dopo l’ennesimo articolo di cronaca a lui riconducibile è stato ricoverato, ma sicuramente si sarà trattato di un caso, di una coincidenza), più volte tradotto dalle forze dell’ordine in ospedale in evidente stato di alterazione e puntualmente dimesso nel giro di poche ore, ha anche creato scompiglio al pronto soccorso. Come mai la Asl, che in passato si è affrettata a stigmatizzare determinati fatti con tanto di comunicati stampa e interventi altisonanti, su questo episodio non si è espressa? La mancata accentuazione del disagio creato dall’uomo, da parte della Asl Roma 4, avrebbe trovato giustificazione solo nel caso in cui i fatti accaduti fossero stati conseguenza di una patologia legata alla psiche. Ma il mancato ricovero nelle fasi successive (seguendo i parametri dell’azienda sanitaria) induce a pensare che si sia trattato di un caso di “persona pericolosa” (quindi di competenza delle forze dell’ordine – “Giustizia”) e non di un caso di “disturbo della persona” (materia del reparto Spdc – Asl Roma 4). Perché allora ricoverarlo tre giorni dopo? Sono queste le risposte che mancano nella nota della Asl. E che forse non arriveranno mai.





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