Basta istigare all’odio verso le minoranze — CENTRO STUDI SULLA LIBERTA’ DI RELIGIONE CREDO E COSCIENZA (LIREC)

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L’isterismo contro le “sette” continua a diffondersi come un virus, grazie ai media che continuano, con un ritmo incalzante, a diffondere informazioni del tutto false, verità parziali o espresse fuori dal loro naturale contesto, e testimonianze scelte accuratamente perché possano riferire solo esperienze negative e accuse gravi di abusi e maltrattamenti, senza alcuna possibilità di riscontro, contraddittorio o approfondimento.

I bersagli sono sempre gli stessi così come la ricerca spasmodica di “vittime delle sette”, un’abitudine consolidata delle redazioni di stampa, radio e televisione. Ne siamo a conoscenza perché questo genere di richiesta è giunto anche alla nostra segreteria. A nulla è valso il nostro rifiuto motivato e il nostro tentativo di interloquire con il frettoloso operatore che non aveva il tempo di riflettere ma doveva solo “ottemperare” in tempi brevissimi per reperire l’ennesimo racconto tragico e accusatorio, senza se e senza ma.

Riteniamo che questo modo di fare informazione sia molto pericoloso perché genera ostilità e istiga all’odio verso un determinato gruppo, scelto ad hoc, come bersaglio privilegiato, in un determinato momento. Se l’informazione non fosse finalizzata a istigare all’odio saremmo di fronte a trasmissioni e leggeremo articoli in cui si affronta il fenomeno riportando, per esempio, oltre alle testimonianze di fuoriusciti traumatizzati ed ostili, anche quelle di fuoriusciti che hanno abbandonato il gruppo per scelta, senza alcuna recriminazione né accusa specifica.

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Dalla nostra esperienza e da quanto osserviamo ormai da molti anni emerge anche un altro dato interessante: le “accuse” rivolte a un determinato gruppo religioso, sono molto spesso legate a comportamenti che, se non fossero attribuiti a quello specifico gruppo, non sarebbero così “interessanti” e non solleverebbero tanta “indignazione”.

Solo per fare qualche esempio: l’abuso fisico o psicologico a danno di bambini è purtroppo un fenomeno che si verifica in famiglie di tutti i ceti sociali, in comunità di accoglienza e in strutture legate a ogni tipologia di confessione religiosa. Tuttavia una testimonianza di abusi inserita in una trasmissione creata ad hoc per istigare all’odio verso una determinata minoranza assume un peso maggiore perché funziona come ennesima conferma delle caratteristiche “criminogene” di quel determinato gruppo.

Gli atteggiamenti vessatori di molti uomini verso le donne con le quali vivono sono un fenomeno dilagante ancora oggi, ma se una donna ex membro di un gruppo “bersaglio” riferisce questi medesimi abusi, essi diventano un altro pezzo del mosaico “criminogeno” prescelto in quel caso. Siamo di fronte a vere e proprie “sceneggiature” costruite con ogni cura per istigare ostilità e odio in chi non conosce o è già preda di pregiudizi sul “gruppo bersaglio”.

Un esempio emblematico per tutti: i Testimoni di Geova, uno dei “bersagli” preferiti dai media.

Quando un giornalista o una trasmissione televisiva si occupa di loro, ciò a cui assistiamo è una vera e propria “sceneggiatura infamante”. Nella sceneggiatura infamante progettata contro questo gruppo non c’è spazio per l’esperienza positiva di oltre 250.000 Testimoni di Geova che vivono nel nostro paese e di tutti quelli che hanno lasciato la Congregazione senza diventare suoi nemici.

Anche tutto ciò che metterebbe in luce le caratteristiche e le ricadute positive sull’intera società di dottrine e prassi proprie di questa confessione religiosa, ma che risultano divergenti rispetto alle idee, prassi e abitudini della maggioranza, ricade nell’oblio.

Solo per fare alcuni esempi: l’importante contributo che il rifiuto delle trasfusioni per motivi religiosi ha dato allo sviluppo della “medicina senza sangue” da anni raccomandata anche dall’ OMS, oppure il coraggio dei primi obiettori di coscienza che rifiutavano l’uso delle armi per motivi religiosi a costo di essere condannati al carcere, o, ancora, il contributo di solidarietà e coraggio di tanti Testimoni di Geova dentro i campi di concentramento, testimoniato da personaggi eminenti che ne hanno ammirato la coerenza e la fede incrollabile in situazioni in cui molti altri detenuti crollavano o, peggio, diventavano aguzzini a loro volta, pur di sopravvivere, o ancora l’impegno del volontariato anche in ambito carcerario.

Queste scene non rientrano nel copione che vediamo ripetersi nei teatri mediatici. Non si tratta di ignoranza, ma di colpevole e pericolosa omissione di qualsiasi esperienza o informazione che potrebbe in qualche modo cambiare la “storia”.

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È una libertà comprensibile nelle fiction che per definizione sono “finzione” ma non in format che hanno l’obiettivo di fornire informazioni attendibili al pubblico su un determinato gruppo o un fenomeno di interesse sociale, peggio ancora se l’obiettivo è quello di allertare le autorità contro gruppi criminali.

Oltre ai Testimoni di Geova ci sono altri gruppi e associazioni prese di mira dai media con le stesse modalità.

Questo modo aggressivo di fare informazione, contro soggetti deboli come comunità religiose e spirituali minoritarie, già vittime di pregiudizi per la loro diversità, e prive di diritti che le maggioranze hanno da sempre, e che loro devono rivendicare con fatica, ha delle gravi conseguenze.

Il nostro Centro Studi ne è testimone. Le “sceneggiature” creano vittime, e queste ultime condividono con noi quanto accade loro a causa della diffusione di informazioni infamanti.

Per fare alcuni esempi: alcune comunità si sono estinte o il numero di fedeli è drasticamente diminuito; ci sono persone che non sono state assunte o sono state licenziate, dopo che i loro datori di lavoro hanno appreso dai media che il gruppo che frequentavano era una “setta”, mentre altre non sono riuscite a reperire un alloggio o hanno dovuto abbandonare quello in cui abitavano; i figli di persone indicate dai media come “capi o membri di una setta” sono stati mobbizzati a scuola dai loro compagni e isolati durante le manifestazioni scolastiche; all’interno delle famiglie l’appartenenza di uno dei membri a un gruppo definito “setta” ha generato conflitti spesso molto gravi.

Infine, l’effetto forse più grave: la perdita di dignità di coloro che sono stati giudicati non in grado di esercitare la loro autodeterminazione e di fare scelte libere perché “membri di una setta” e quindi sicuramente “plagiati”. Le vittime che vivono questo stigma difficilmente riescono a superare i danni, anche psicologici, che ne derivano.

Il Centro Studi LIREC continuerà a raccogliere testimonianze e riscontri sui danni provocati da queste campagne denigratorie sulle vittime, a livello psicologico, economico e sociale e continuerà a vigilare perché emergano con evidenza le gravi violazioni dei diritti umani, tra i quali primo fra tutti il diritto alla libertà di coscienza. Così facendo e promuovendo la conoscenza e il rispetto per tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione, cerchiamo anche di prevenire la violenza che potrebbe essere generata dalla persistente e martellante istigazione all’odio a cui assistiamo ogni giorno.

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Il Centro Studi LIREC ha rivolto un appello al mondo dell’informazione inviando una lettera  alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. A un anno di distanza la inviamo nuovamente nella speranza di avere una risposta.



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