È in Aula a parlare di Almasri, ma la polemica politica il ministro Carlo Nordio la dedica alla magistratura. A quella sua parte che critica “senza leggere le carte”, grave mancanza per le toghe. E anche a quel procuratore che, nel fargli avere la comunicazione di averlo sottoposto a indagine, ha messo la parola “indagato” in neretto. Che tenerezza, dice con un sogghigno il Guardasigilli. Poi promette: “Avanti con le riforme, non ci fermerete”. Se è vero che la strategia d’Aula è stata messa in campo con la regia di Giulia Bongiorno, l’indimenticabile avvocato dell’“evvai!” alla notizia dell’assoluzione di Giulio Andreotti a Palermo, il governo ha giocato la carta vincente.
Tutta la parte tecnico-giuridica (gli innegabili pasticci della Corte Penale Internazionale, il discutibile arresto di Almasri a Torino e la decisione della Corte d’Appello di Roma che ha scarcerato il Generale libico su richiesta della stessa Procura) ormai non è più all’ordine del giorno. Il combinato disposto dei ministri Nordio e Piantedosi con le loro relazioni, abbondanti fino al puntiglio su ogni virgola, hanno già lasciato il campo ad altro. Tanto che gli esponenti dei partiti delle minoranze sono pronti a puntare più in alto, dopo la giornata che si è svolta al mattino alla Camera e al pomeriggio al Senato. Vogliono Giorgia Meloni in carne e ossa. La evocano con cartelli in cui la appellano come “la patriota in fuga”, battono le mani sui banchi, urlano e si dimenano senza ascoltare.
Il punto è proprio questo: cercare di mettere in crisi il governo. Il ministro Nordio ha spiegato come la Corte Penale Internazionale abbia deliberato il mandato di cattura nei confronti di Almasri facendo una gran confusione sulle date in cui i reati sarebbero stati commessi e sullo stesso elenco dei delitti. Nelle carte arrivate al ministero emerge anche che – nel corso della decisione – una dei tre giudici lo abbia fatto notare, esprimendo il proprio voto contrario al provvedimento. Quella giudice aveva ragione, ha spiegato il Guardasigilli, tanto che la Corte ritenne di convocarsi di nuovo e di attuare la correzione con una seconda decisione. Tutto ciò può anche essere apparso noioso a chi lo ascoltava, al Parlamento o collegato con le dirette audiovisive, ma Nordio lo ha sottolineato con chiarezza: quell’atto della CPI era “nullo”. Tanto che la Corte ha dovuto emettere un secondo mandato di arresto.
Da quel momento in avanti, tutto è stato di conseguenza sbagliato. E ai brontolii di deputati e senatori, Nordio ha spiegato che “la legge è legge”, e va applicata in modo corretto nei confronti di tutti, anche di chi si sia reso responsabile di delitti orrendi, quelli che suscitano “lacrime e sangue”. Ma pare voce nel deserto: i principali esponenti dei partiti di minoranza avevano già i loro fogli scritti in precedenza, e nessuno è stato in grado di replicare punto su punto. Non Elly Schlein, leader del Pd, che ha accusato il ministro di esser diventato “l’avvocato difensore” di uno stupratore di bambini. E neanche l’avvocato Giuseppe Conte, secondo cui invece Nordio si è fatto giudice e avrebbe addirittura emesso una sentenza di assoluzione nei confronti di Almasri.
Si dovrebbe chiedere conto – e il ministro dice che lo farà – alla Corte penale Internazionale del perché di tanta sciatteria, che pare persino sospetta, come rilevato dalla terza giudice dissenziente. Perché l’errore sulle date delle commissioni dei reati, con un salto di 4 anni, dal 2011 al 2015, non è solo un fatto formale. E non lo è parimenti quello sulla configurazione dei delitti, dal momento che nella prima decisione della Corte sono circa 80 e poi verranno paesanamente ridimensionati. E si dovrà anche chiedere a Interpol del perché le autorità del nostro paese siano state avvertite solo in un secondo momento, quando Almasri è stato segnalato come persona pericolosa e da arrestare. Casuale? La domanda, più che maliziosa, non se l’è posta Nordio ma la giudice dissenziente dell’Aja. Ma nell’Aula gli unici argomenti riguardano la pericolosità del libico, i suoi delitti orrendi e la complicità di chi lo ha espulso e riaccompagnato in Libia.
Siamo in Tribunale, non più in Parlamento. Eccoli qui i reati, gli stessi contestati dal procuratore di Roma Lo Voi alla presidente del Consiglio e a mezzo governo. Il favoreggiamento, soprattutto. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha puntualizzato invano che il governo non ha subito ricatti né pressioni dalla Libia. Ognuno ha detto solo la sua. E il senatore Renzi ha mostrato un’approfondita conoscenza della storia di Pinocchio.
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