gli ordini del boss Luigi Mancuso per intascare denaro dal villaggio Sayonara

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Nel maxi processo l’esame del luogotenente Pagano sulla cacciata degli imprenditori Ranieli, sui nuovi accordi con proprietario e gestore e sulla ripartizione delle somme con altri esponenti di vertice del clan

Il villaggio Sayonara di Nicotera ancora al centro dell’esame del luogotenente della Guardia di finanza di Vibo Valentia, Giovanni Pagano, nel maxi processo nato dalla riunione delle operazioni Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. Proprio tale ultimo troncone investigativo è stato sviluppato dal teste in aula, dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Andrea Buzzelli.

Sarebbe stato Assunto Megna di Nicotera, cognato del boss Pantaleone Mancuso (Scarpuni), ad ingerirsi nel 2017 nelle trattative per la vendita del villaggio Sayonara, raggiungendo un accordo con l’imprenditore Giuseppe Fonti di Cittanova che ha poi acquistato all’asta la struttura per un milione e mezzo di euro. Dalle intercettazioni nell’auto di Assunto Megna è quindi emerso “l’ampio potere decisionale” del boss Luigi Mancuso di Limbadi – ritenuto al vertice dell’intera ‘ndrangheta vibonese – e la sua forte ingerenza nella vendita del Sayonara. In particolare, il 23 novembre 2017 Assunto Megna si è recato in un immobile dove risiedeva Domenico Scardamaglia (alias Pajuni, già condannato nel processo Dinasty) per incontrare Luigi Mancuso. Al termine dell’incontro sarebbe stato pattuito che “Giuseppe Fonti si impegnava a versare alla cosca per il Sayonara il prezzo di 600mila euro”. Per mascherare la cessione del denaro, Luigi Mancuso avrebbe quindi ordinato a Megna di far in modo che “l’operazione avesse luogo esclusivamente tra il nuovo proprietario del Sayonara, Giuseppe Fonti, e il gestore del villaggio Francesco Rapisarda, evitando dunque contatti diretti – ha spiegato il teste – con lo stesso Luigi Mancuso”. Alla luce dei nuovi accordi, l’originario proprietario Antonio (Toruccio) Ranieli, da qualche anno deceduto, avrebbe dovuto “lasciare il Sayonara senza accampare alcuna pretesa”. Emblematiche al riguardo le espressioni usate da Luigi Mancuso nei dialoghi intercettati dagli investigatori: “Toruccio non ne prende di questi soldi, e se viene lo prende dall’orecchio e lo toglie fuori e che poi vada dove vuole…! Gli deve dire: Tu qui non c’entri più niente”.

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A riscontro delle parole pronunciate da Luigi Mancuso alla presenza di Assunto Megna, la Guardia di finanza ha accertato che effettivamente nel mese di dicembre 2017 sia Giuseppe Fonti che Francesco Rapisarda, “facendo cenno al fatto di aver avuto il benestare di tutti, riferendosi al benestare della cosca, allontanavano Toruccio Ranieli e la sua famiglia dalla villetta ubicata all’interno del villaggio Sayonara”.

Il clan e le pressioni sul Sayonara

Non solo la somma di 600mila euro da parte del nuovo proprietario del Sayonara Giuseppe Fonti, ma anche un’ulteriore somma di diecimila euro dal gestore della struttura. Il boss Luigi Mancuso non avrebbe lasciato nulla al “caso”, raccomandandosi con Assunto Megna di riscuotere tale ulteriore somma. Sono sempre le intercettazioni a ricostruire i dialoghi del boss con Assunto Megna ed in tale contesto “Luigi Mancuso – ha ricordato il luogotenente Pagano – alludeva ad un precedente accordo pattuito con Francesco Rapisarda, accordo in virtù del quale questi per gestire tranquillamente la struttura del Sayonara sul territorio di Nicotera doveva corrispondere alla cosca un prezzo pari a diecimila euro diviso in due tranche, ossia cinquemila euro ad agosto e cinquemila a dicembre”. Luigi Mancuso avrebbe però esortato Assunto Megna ad ottenere da Francesco Rapisarda una somma maggiore in virtù del fatto che nell’ultima occasione, avendo lasciato libertà di manovra allo stesso Rapisarda, questi gli aveva consegnato una somma al di sotto delle aspettative”.

Sulla scorta delle intercettazioni, gli investigatori ritengono che nel 2017 a ritirare una tranche delle cinquemila euro si sia presentato al Sayonara Pasquale Gallone, ritenuto il braccio-destro di Luigi Mancuso. Nell’occasione Francesco Rapisarda avrebbe riferito a Gallone “di non esagerare con le richieste di denaro poiché l’andamento gestionale del Sayonara non era così florido come poteva apparire, potendosi concludere con un risultato negativo alla fine del 2017”.

Le disposizioni del boss

Successivi incontri tra Luigi Mancuso e Assunto Megna si sarebbero svolti anche nello studio dentistico di Agostino Redi a Limbadi (quest’ultimo condannato a 10 anni in primo grado nel processo Rinascita Scott per associazione mafiosa), alla presenza pure di Gaetano Molino, genero di Giovanni Mancuso, quest’ultimo fratello di Luigi. “Gaetano Molino – ha spiegato il teste in aula – è emerso quale ambasciatore per conto del vertice della consorteria, ovvero Luigi Mancuso”. Al centro dei discorsi, sempre il villaggio Sayonara, con Luigi Mancuso pronto a ricordare ad Assunto Megna che in realtà l’accordo iniziale con il gestore Francesco Rapisarda prevedeva la corresponsione annuale della somma di ventimila euro anziché diecimila euro e che “l’ultima quota doveva essere consegnata tramite U Pignuni, ovvero Domenico Cupitò, e non tramite Pasquale Gallone”. Già coinvolto nell’operazione Odissea del settembre 2006, Domenico Cupitò, detto “Pignuni”, di Nicotera, è accusato nell’operazione Imperium di essere un partecipe del clan Mancuso, prima sotto le direttive del boss Giuseppe Mancuso (alias ‘Mbrogghja”), poi sotto quelle di Luigi Mancuso. Quale percettore degli introiti illeciti della cosca, avrebbe consegnato personalmente allo stesso Luigi Mancuso le somme di denaro che venivano prelevate, ad opera di Assunto Megna, dai soggetti incaricati della gestione del villaggio Sayonara.

Megna ricordava quindi di aver accompagnato Francesco Rapisarda da un dottore per una visita medica dopo un incidente stradale e nell’occasione quest’ultimo avrebbe riferito tutto “il suo piacere ad incontrare Luigi Mancuso per un pranzo insieme non appena avesse avuto la possibilità di farlo con calma e tranquillità”.

Il denaro e la divisione nel clan

Le attività di captazione hanno permesso quindi di accertare che, su disposizione del boss Luigi Mancuso, le prime somme ottenute a seguito della vendita del Sayonara dovevano essere ripartite tra lo stesso Luigi, il nipote Diego Mancuso – che in quel periodo dimorava al villaggio Heaven di Santa Maria di Ricadi – e Francesco Mancuso, alias Bandera, fratello di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. Il villaggio turistico nel quale nel 1992 – secondo in collaboratori di giustizia – sarebbe stata discussa la proposta di Cosa Nostra alla ‘ndrangheta per l’adesione alla “strategia stragista” in atto all’epoca in Italia, avrebbe dunque funzionato quale “bancomat” per il clan Mancuso, pronto a dividersi parte delle entrate in cambio di una conduzione tranquilla della struttura.



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