Gli Usa di Trump: forte fuori, debole dentro

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di C. Alessandro Mauceri

Non passa giorno senza che il “nuovo” presidente degli USA Donald Trump non faccia parlare di sé. In genere si tratta di proposte, programmi e decisioni arbitrarie, prese senza tenere in alcuna considerazione il Congresso né la reale fattibilità. Come l’ultima idea sul futuro della Striscia di Gaza: farla diventare la “riviera” del Medio Oriente. Una decisione che comporterebbe l’espulsione dei palestinesi. Una proposta assurda che non tiene in nessuna considerazione i diritti del popolo palestinese e che mette a rischio la debole tregua raggiunta dopo anni di devastazione ingiustificata del territorio. Ma è questo il nuovo presidente: spararla grossa per costringere la controparte a negoziare e ottenere (gli USA) qualcosa in cambio.
Un aspetto non casuale e quelle del “nuovo” presidente sono quasi tutte decisioni che riguardano la politica estera. Quasi mai i problemi interni. Eppure ce ne sono molti. Alcuni segnalati addirittura dal GAO, il Government Accountability Office.
Problemi come la sicurezza informatica: secondo il GAO, “le minacce informatiche stanno crescendo in numero e sofisticazione”. Quindi “è necessaria una strategia nazionale di cybersicurezza più completa” che includa “reti elettriche, sistemi idrici, assistenza sanitaria, trasporti e altro ancora”. Ancora più preoccupante il problema legato alla salute degli americani. Svanite le speranze (durante i due mandati del presidente Obama) di avere un sistema sanitario pubblico, oggi gli USA si trovano a dover fare i conti con numeri preoccupanti: meno della metà della popolazione (150 milioni di americani) è iscritta ai programmi Medicare e Medicaid, i più grandi sistemi di assistenza sanitaria della nazione. Con l’aumento dei costi per la sanità è aumentata anche la spesa per questi programmi e, visto che le uscite crescono più velocemente dell’economia statunitense, i sistemi Medicare e Medicaid occupano i primi posti dei fattori di rischio per il GAO. Tutto questo senza considerare che l’altra metà della popolazione rischia di non avere alcuna copertura sanitaria. In un paese come gli USA, dove i servizi per la salute sono estremamente cari, il pericolo è che decine di milioni di cittadini scelgano di non curarsi perché non possono permetterselo.
Tra i motivi per cui gli ultimi presidenti americani non hanno dedicato la dovuta attenzione al problema salute c’è il debito pubblico. Ogni anno, il GAO presenta un rapporto sullo “stato di salute” fiscale della nazione, con particolare attenzione al rischio a lungo termine. L’ultimo rapporto ha messo in risalto un andamento preoccupante: il debito pubblico USA sta crescendo più rapidamente dell’economia. Un deficit legato prima di tutto al pagamento degli interessi che il governo deve pagare a causa dell’indebitamento pubblico a livelli spaventosi. C’è chi ha definito la spesa federale “un elefante gonfio con un appetito insaziabile che cerca sempre altro cibo”. Eppure, di questo, il rieletto presidente preferisce non parlare. Connesso al tema “finanza” c’è anche un altro problema: frodi e pagamenti impropri sono problemi che potrebbero diventare irrisolvibili.
Dietro la mania di presentare gli USA come i padroni del mondo, c’è un sistema che ha enormi problemi interni. Problemi dei quali tutti gli ultimi presidenti (Trump non è il primo e non sarà certo l’ultimo) cercano di non parlare mai. Una situazione che peggiora anno dopo anno e che la politica rende sempre più difficile da gestire, preferendo conservare la propria “poltrona”. Quasi tutti i membri del Congresso che si erano candidati per le elezioni nel 2016 sono stati rieletti. Secondo alcuni, una volta che un politico viene eletto a livello federale è difficile che non vi rimanga a vita (lui o la sua progenie).
Una casta alla quale sembra interessare poco delle relazioni razziali. Se ne parla solo in casi legati alla brutalità della polizia (sebbene la stragrande maggioranza dei poliziotti sia composta da persone rispettabili e laboriose che operano per la loro comunità). L’ascesa del movimento Black Lives Matter ha riportato l’attenzione sulla giustizia sociale e sulla disparità di trattamento delle minoranze. I numeri sono impietosi. Penitenziari e carceri sono pieni di detenuti: gli americani rappresentano solo il 5 percento della popolazione mondiale ma ospitano il 25 percento dei detenuti del mondo.
L’aumento vertiginoso della disuguaglianza di reddito è un problema di cui Trump non parla mai. Negli USA (come in molti altri paesi del mondo) i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri stanno diventando sempre di più e sempre più poveri. E il divario tra “chi ha” e “chi non ha” sta crescendo. Oggi decine e decine di milioni di americani vivono in povertà (le stime parlano di più di 46 milioni di persone). Livelli di povertà che comportano cattive condizioni di salute, criminalità e una miriade di altri problemi. I numeri dei senzatetto sono devastanti. Per i bambini che crescono in povertà il futuro è una strada in salita.
Di alcuni di questi problemi parlano solo alcuni esperti. Come il giornalista Matt Kennard che nel suo ultimo libro, The Racket, racconta la situazione attuale (The Racket: A Rogue Reporter vs The American Empire è disponibile qui). Kennard descrive la brutalità, la menzogna, la crudeltà e le pericolose illusioni di certi meccanismi di governo. L’autore descrive la brutalità, la menzogna, la crudeltà e le pericolose illusioni. Una macchina ben oliata guidata da quelli che Kennard definisce “idioti volontari”. Secondo Kennard, l’America “dalla fine della Seconda guerra mondiale è diventata una stratocrazia, un governo dominato dai militari. C’è una costante preparazione alla guerra”. Una macchina alimentata con miliardi di dollari, dove sprechi e frodi vengono nascosti. É questo un altro dei problemi interni dell’America di oggi. Paradossalmente, la nazione che è ai primi posti delle classifiche per la vendita internazionale di armi e armamenti (nel 2022, gli Stati Uniti hanno speso 877 miliardi di dollari, un numero superiore a quello dei successivi 10 paesi, tra cui Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito, messi insieme) rischia di avere un arsenale arretrato. Non sorprende: rinnovare la macchina militare americana ha costi da capogiro: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo federale ha speso più della metà delle tasse incassate in spese militari. Spese che i continui fallimenti sui fronti internazionali non giustificano – da quelli nel sud-est asiatico, nell’Asia centrale e nel Medio Oriente a quelli più recenti come la fuga precipitosa dall’Afghanistan sotto a presidenza Biden. Eppure, secondo Kennard, i militaristi continuano a vincere tutte le elezioni. Lo stato di guerra è una Götterdämmerung, come scrive Dwight Macdonald, “senza gli dei”.
Anche la “benevolenza” degli USA verso alcuni governi esteri potrebbe legata a questo settore: gli aiuti profusi sono stati quasi sempre subordinati all’acquisto di armi made in USA. Esemplare il caso di Israele: secondo alcune stime, dal 1949 avrebbe ricevuto dagli USA aiuti per 158 miliardi di dollari sotto forma di assistenza bilaterale, ma dal 1971 buona parte di questi sono stati destinati ad aiuti militari (e una parte considerevole all’acquisto di armi e armamenti americani).
La scelta di stornare buona parte delle risorse disponibili all’acquisto di armi e armamenti (e di costringere i paesi “alleati” a fare lo stesso aumentando la quota del proprio PIL da destinare a queste spese) ha conseguenze tremende. Come riporta Kennard, i lavoratori sono ridotti al livello di sussistenza e sono sovra-sfruttati dalle multinazionali che hanno privatizzato ogni aspetto della società, dall’assistenza sanitaria e dall’istruzione al complesso carcerario-industriale.
La decisione di destinare i soldi per la ricerca allo sviluppo di sistemi d’arma ha anche altre conseguenze: spesso lo sviluppo e la gestione di altri settori vengono trascurati. Crollano ponti, strade, reti elettriche e argini. Molti edifici scolastici sono in condizioni fatiscenti. E il sistema di trasporto pubblico è un disastro. Alcune città, un tempo grandi ma ora deindustrializzate, vivono in condizioni pietose, devastate da problemi infrastrutturali e sociali: povertà e disagio sociale hanno portato ad un aumento esponenziale della dipendenza da oppioidi, dei suicidi, delle sparatorie di massa, della depressione e dell’obesità patologica. Problemi sempre più gravi in molti degli USA, ma dei quali il tycoon non parla mai. Come se a lui e alla sua cerchia di miliardari non interessassero.
Lentamente, ma inesorabilmente, gli USA sono riusciti a vendere gran parte di ciò che il popolo americano aveva spacciando questo stato di cose come il “libero mercato” sui media internazionali. Secondo Kennard, è “questo il ‘modo americano’, una gigantesca truffa, un grande trambusto”. Esemplare, per Kennard, il caso dell’ “accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA)”. Entrato in vigore nel gennaio 1994 ora sembra essere carta straccia per Trump che vorrebbe annettere Canada, Messico e perfino la Groenlandia. Eppure quando venne lanciato questo programma di scambi venne presentato come una grande opportunità per gli interessi commerciali degli Stati Uniti, una miniera d’oro per gli investimenti e le esportazioni. La conseguenza per gli americani è la perdita di lavoro per migliaia di lavoratori statunitensi, sostituiti da manodopera a basso costo in Messico, dove i salari sono più bassi e le salvaguardie sindacali più attraenti per le grandi industrie. “Molte azioni intraprese dal governo degli Stati Uniti, infatti, danneggiano abitualmente i più poveri e indigenti dei suoi cittadini”, conclude Kennard.
Anche sull’ambiente ci sarebbe molto da dire. Non solo per i continui incendi – come quello che da mesi devasta la California -, ma anche per i dati relativi all’inquinamento o allo sfruttamento delle risorse naturali. Nei giorni scorsi un incendio ha colpito la seconda più grande raffineria di petrolio della California, con conseguenze che è facile immaginare sotto il profilo ambientale, della salute dei cittadini e anche per l’economia. Eppure Trump non si riferiva a questa quando ha parlato di “riviera”, ma alla Striscia di Gaza.
La realtà è che gli Stati Uniti d’America sono diversi da come vengono sbandierati giorno e notte dalle televisioni e dai media, impegnati nel mostrare il nuovo presidente che cerca di far diventare gli USA great again.
Quello di Trump è un tentativo, piuttosto pacchiano, di distogliere l’attenzione dai veri problemi del paese e di curare gli interessi di pochi amici miliardari. Gli stessi che trarranno profitto da alcune iniziative all’estero. La stessa “riviera” in Palestina non ha niente a che vedere col turismo: è una scusa per accaparrarsi il controllo di quel tratto di costa (e delle fonti di combustibili fossili e minerarie che sono già state oggetto di speculazione dal governo israeliano) e di godere di un nuovo “punto strategico” in Asia. E poco importa se questo significherà violare i diritti di un popolo come quello palestinese.
Secondo un recente sondaggio solo il 23% degli adulti statunitensi afferma che l’economia è in condizioni eccellenti o buone. Una percentuale che diminuisce mese dopo mese: a gennaio erano il 28%. Non tutti gli americani sono ciechi di fronte alla situazione di crisi che stanno vivendo gli USA. Un aspetto, forse il più sorprendente, è che dei 16 quesiti sottoposti ad un ampio campione di cittadini americani, solo uno ha fatto registrare la convergenza di entrambe le coalizioni (il 57% dei repubblicani e il 63% dei democratici): la necessità di trovare un modo per costringere repubblicani e democratici a lavorare insieme per risolvere i veri problemi del paese. Ormai sotto gli occhi di tutti meno che del presidente. E pensare c’è chi parla già di conferire a Trump il premio Nobel per la Pace 2025.

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