Inizia la resa dei conti per investitori e ONG green

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Siamo alla resa dei conti tra gli investitori ingolositi dalle speculazioni finanziarie “green” promosse dall’Europa ed il nuovo scenario politico, dove le preoccupazioni e richieste di sospensione ed ammorbidimento dei piani ambientalisti sono ormai maggioritarie nel parlamento e tra i governi. Una nuova e brutta gatta da pelare che tutti noi ci troviamo a gestire a causa delle follie ambientaliste cavalcate, perchè sia chiaro che chi ha investito ha il diritto di chiedere che gli impegni vengano mantenuti, ma è altrettanto responsabile  frenare le ambizioni ambientaliste, soprattutto se pagate da tutti noi, viste le drammatiche conseguenze economiche e l’impoverimento complessivo europeo. Il vero problema, con cui anche in questo caso ci si scontra, è sempre e solo l’inadeguatezza e la poca trasparenza politica di Bruxelles.  

Ebbene, martedì 4 febbraio gli investitori finanziari che hanno impegnato 6,6 trilioni di euro nei progetti green europei hanno esortato l’Unione europea a non indebolire le norme sulla sostenibilità. In una dichiarazione congiunta un gruppo di 162 investitori, tra cui l’Institutional Investors Group on Climate Change, l’European Sustainable Investment Forum e i Principles for Responsible Investment hanno invitato la Commissione a preservare l’integrità e l’ambizione del quadro finanziario sostenibile dell’UE, in particolare la tassonomia dell’UE, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD) e la direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale (CSDDD), tutti importanti pilastri della sostenibilità dell’UE. 

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Essi, si legge nel documento, «aiutano gli investitori a gestire i rischi, identificare le opportunità e, in ultima analisi, riorientare il capitale verso un’economia a zero emissioni nette più competitiva, equa e prospera. Le aziende e i partecipanti al mercato finanziario hanno bisogno di stabilità politica a lungo termine per supportare i loro sforzi di attuazione». Secondo gli investitori finanziari «iniziative come il Clean Industrial Deal garantiranno la competitività a lungo termine dell’industria europea a zero emissioni nette e la sua resilienza economica» e, considerato che  la maggior parte del capitale per supportare queste iniziative dovrà provenire dal settore privato, gli stessi investitori mettono in guardia dalla revisione delle normative per evitare di creare incertezze e compromettere l’obiettivo della stessa «Commissione di riorientare i capitali a sostegno del Green Deal europeo». Il prossimo 26 febbraio la Commissione europea presenterà proprio il Clean Industrial Deal che intende promuovere un piano pluriennale per dare impulso alle tradizionali industrie ad alta intensità energetica della UE (per esempio acciaio, alluminio e cemento) e ai settori emergenti delle tecnologie pulite.

La lettera è stata pubblicata anche a seguito dell’annuncio e presentazione della proposta della Commissione di una “bussola della competitività” di cui abbiamo illustrato alcuni gravi pericoli e limiti su queste pagine. Certamente una delle preoccupazioni degli investitori è la crescente diffidenza e timori per la crescente crisi economica e di competitività europea che si registra in molte capitali del nostro continente e persino all’interno del Parlamento europeo, nei confronti di quegli obiettivi lunari follemente approvati durante il mandato della Commissione Von der Leyen I, dal 2019 al 2024, per iniziativa del Vice presidente esecutivo e commissario socialista al Green Deal Franz Timmermans, e tutt’ora vigenti. A tal proposito, viste le polemiche sullo scandaloso metodo di pressione, finanziato con i nostri soldi di cittadini, a favore delle misure ambientaliste (di cui abbiamo trattato su queste pagine nei giorni scorsi) le stesse ONG che hanno ricevuto tali donazioni sono scese in campo in questi giorni, respingendo ogni insinuazione. 

«Non è assolutamente vero che l’ufficio per l’ambiente della Commissione europea (direzione generale dell’ambiente, DG ENV) abbia detto alle ONG su cosa fare lobbying», ha affermato Ariel Brunner, direttore della principale ONG BirdLife Europe, in una conferenza stampa tenutasi lunedì a Bruxelles. Una precisazione molto fiacca, per non dire falsa, dopo che Monika Hohlmeier, eurodeputata del Partito Popolare Europeo, ha dichiarato di aver visionato contratti riservati in cui la DG ENV aveva esortato le ONG a fare pressioni per norme ambientali più ambiziose di quelle formalmente proposte dalla Commissione ed il Commissario per il bilancio Piotr Serafin aveva riconosciuto, le scorse settimane, che si era verificato un comportamento «inappropriato»  da parte di «alcuni servizi della Commissione». 

Secondo le ONG, che ritengono di aver svolto solo un’opera di utile sensibilizzazione, l’intera vicenda è stata creata dai detrattori dell’ambientalismo e degli investimenti a favore del Green Deal europeo, allo scopo di indebolire le organizzazioni della società civile. Nel frattempo, il presidente della commissione bilancio del Parlamento europeo, Niclas Herbst, ha richiesto un elenco completo di tutti i gruppi finanziati da sette dipartimenti e direzioni generali della Commissione tra cui quelle della difesa, della ricerca, del clima, dell’agricoltura, della giustizia e delle migrazioni che dovranno rivelare tutto ai legislatori e speriamo si porti l’opinione pubblica europea a conoscenza di misfatti, complicità e conflitti di interesse.




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