Kiss me, I’m Italian, il multiplo di Enrico Baj presentato da Giò Marconi, figura perfettamente la parola chiave – Scena Italia – della 51esima edizione di Arte Fiera Bologna, che si è aperta oggi confermandosi fedele interprete di un panorama articolato tra artisti del presente e del passato e gallerie affermate e giovani. Questa edizione – “in corsa”, dice qualcuno tra i corridoi apprezzandone il continuo slancio di sviluppo verso il futuro – rischia, e vince: tra conferme, ritorni e novità, molte sono le gallerie che osano installazioni di grandi dimensioni e di ampio respiro – come Andrea Mastrovito, per fare un esempio – capaci di investire il pubblico e trasportarlo lontano (dal mito) lasciando che possa – di nuovo e finalmente – meravigliarsi.
Per addentrarci nella caleidoscopica proposta – i più romantici capiranno, quelli un po’ meno me lo concederanno – non possiamo fare a meno, come il bacio immortale di Baj, di viaggiare da un labbro all’altro, da secolo a secolo, di età in età, per arrivare a BLU OONA o RED DAENG di Sam Samore, che Thomas Brambilla propone, fresco di rappresentanza, in buona e studiata compagnia di Lynda Benglis, Marco Cingolani, Wim Delvoye, Robert Feintuch, John Giorno, Maggi Hamblin, Bryan Hunt, Klaus Rinke, Anatoly Osmolowsky, Jack Pierson, Erik Saglia e John Torreano. E se è vero che «sull’orologio dell’amore è il bacio che scandisce i minuti», gli orologi di Edson Luli da Prometeo Gallery Ida Pisani si fanno ben apprezzare (Lost in Time #1 e Where not When!). Mentre le lancette di Luli nei quadri si muovono realmente, come in un orologio, ma ore, minuti e secondi non dipendono gli uni dagli altri, Prometeo Gallery propone anche alcune delle sue donne più combattenti, come Binta Diaw Zehra Dogan, Regina José Galindo e Silvia Giambrone, insieme poi a Ruben Montini, che rinnova il suo storico legame con la galleria, con un solo project nella sezione Prospettiva a cura di Michele D’Aurizio.
Poetico e non politico, Montini presenta per la prima volta L’Abbecedario della nostra Passione: una serie di grandi teche “aperte” in cui si incontrano fogli di acetati dipinti a mano, fiori e sculture tessili dalle sembianze umane, che ci invitano a confrontarci con l’omotransfobia. Nella stessa sezione, la Galleria Umberto Di Marino propone un dispositivo di invito a imparare i fondamenti della grammatica planetaria: è l’installazione Lisping full di Marco Giordano, che paragona l’eruzione vulcanica all’atto linguistico. FuoriCampo invece punta su Leonardo Meoni, giovane classe 1994 verso cui l’occhio attento va indirizzato: Meoni dipinge senza gli strumenti tradizionali, pettinando le fibre dei velluti fino a ottenere effetti chiaroscurali.
Ed ecco alcune delle installazioni, protagoniste nella main section. Una su tutte? Quella scritta al neon, “COMUNISTA” di Anna Scalfi Eghenter che, sempre straordinariamente capace di tradurre pratiche e inclinazioni sociali in arte e viceversa, nello stand di Pinksummer entra di diritto tra le opere più vicino al quotidiano e più distanti dal mito. Anna, che sa riprendere la realtà contemporanea scomponendone i meccanismi e sovvertendone il sistema, non è la sola a Bologna a saperci mettere vis-à-vis con le nostre fobie e con le verità contemporanee politiche e identitarie rispetto alle quali non possiamo restare immobili. Enzo Mari, per esempio, nello stand di Francesca Minini ci offre il suo Studio per l’Anniversaio 168A (del 1972), Lucia Marcucci – da Frittelli Arte con Tomaso Binga, Servane Mary e Paolo Masi – “conserva il suo posto nella sinistra”; mentre Francesco Arena, da Studio Trisorio, sulla sua Stone Head ci ricorda che “In my beginning is my end”. A riflettere sulla fine ci spinge anche Igor Grubić – The End … or is it? – presentato da La Veronica insieme a Daniela Ortiz e Adelita Husni Bay.
«It is not enough (but it is not nothing” afferma William Kentridge nelle sue Blue Rubrics proposte da Lia Rumma. E infatti no, non è abbastanza e non è neanche la fine, perché Arte Fiera quest’anno condensa l’attenzione al dettaglio che ci circonda, sovverte i dogmi e racconta l’avventura. È il caso per esempio di Daniela Comani, che nello stand di Galleria Studio G7 presenta un’automobile schiacciata da un tronco riportando una storia vera: “Mia madre, nata nel 1935, ha guidato una VW Golf IV, immatricolata nel 1999, fino al 26 settembre 2024. Nella notte tra il 26 e il 27 settembre, un albero di grandi dimensioni, abbattuto dal vento, è caduto sull’auto parcheggiata nelle vicinanze, schiacciando la parte posteriore del veicolo». Se la madre di Comani, che racconta una storia, a suo modo, ci spinge all’attenzione di una previsione meteorologica; David Reimondo sovverte i dogmi, quelli linguistici, partendo da una semplice quanto sorprendente constatazione: «Se noi prendiamo i tubetti di tempera blu e giallo e li mischiamo otteniamo il colore verde – spiega Reimondo – ma dialetticamente e foneticamente nulla di tutto questo accade, perché verde è una parola a sé che in italiano, come in tutte le altre lingue, non conserva nulla delle parole blu e giallo». Nello stand di Mazzoleni – che prende avvio dalle opere di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, attraversando il Novecento italiano con artisti come Lucio Fontana, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Giuseppe Capogrossi, Carla Accardi e Piero Dorazio, fino alle pratiche contemporanee di Andrea Francolino, Melissa McGill e Marinella Senatore – è di Reimondo la tavola che esprime ben 105 tonalità di colori, compresi il bianco e il nero, grazie all’uso di sillabe connesse al colore: ID è il giallo, LA è il rosso, EN è il blu.
Tanti sono gli artisti che raccontano una storia sulla Scena Italia che è in grande fermento. Flora Temnouche da AplusB presenta spazi domestici, nature morte e autoritratti, come in un diario quotidiano scandito dal cambio della luce che dall’esterno penetra al suo interno; Marco Emmanuele nello stand di LABS – dove tra gli altri artisti Giulia Marchi indaga lo spazio misurabile dall’uomo con un puntatore che richiama il ramo di ulivo con cui Ulisse accecò Polifemo – porta dolcemente tra noi quei poeti romani o passati da Roma affascinandoci con il suo fare, che sperimenta la pittoricità di pigmenti ottenuti mescolando colla e polveri di vetro. Spazio anche a Bénédicte Peyrat, che per Ribot Gallery racconta visivamente di caratteristici personaggi bizzarri e quasi metamorfici – che ricorrono nella sua iconografia – unitamente a oggetti o peluche simbolici posti in relazione alla figura senza un nesso dichiarato e che anzi creano quel cortocircuito, quello scarto, necessario per calarci nel nostro tempo e afferrarlo. Un tempo che, per dirlo con le parole di Rosa Barba – nello stand di Vistamare – a Bologna è, davvero, Pensiero Spaziolungo.
Ovviamente non mancano i grandi nomi che sempre riconosciamo volentieri, e che anche quando la proposta è (per fortuna) ondivaga e pindarica, con un virtuosismo stupefacente trasforma quella stessa linea in una retta impeccabile, e la kermesse in un intreccio perfetto. Gilberto Zorio, Arcangelo Sassolino (da Repetto Gallery), Osvaldo Licini, Fernand Leger, Giacomo Balla, Gino Severini, Giuseppe Capogrossi e Leonor Fini da Secci; Carla Accardi, Emilio Scanavino e Giuseppe Uncini da Dep Art Gallery – tra i maestri – Luca Bertolo, da Spazio A, Enzo Cucchi da Poggiali; Maurizio Nannucci e Maurizio Mochetti da Enrico Astuni, insieme a una grande installazione di David Medalla. Se è vero che a poco a poco tutte le tracce di vita spariscono, bisogna sempre ricordare che la maggior parte della gente non si lascia mai alle spalle monumenti o opere durature come quelle che Arte Fiera ha raccolto, in piccola e grande dimensione, su una scena che è attuale, che ci appartiene e che può essere, anche, Social pop, unendoci attraverso un repertorio di simboli presenti nel linguaggio del consumo di massa e di icone del cinema, della pubblicità, dei fumetti e dei cartoni animati.
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