L’amministrazione Trump sta provando a limitare i danni della sua proposta su Gaza

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Mercoledì diversi componenti dell’amministrazione di Donald Trump hanno cercato di limitare i danni e smentire, almeno in parte, il piano che lui aveva presentato solo poche ore prima, secondo cui gli Stati Uniti dovrebbero prendere il controllo della Striscia di Gaza e le circa due milioni di persone palestinesi che ci vivono dovrebbero andarsene. Funzionari e portavoce hanno cercato di reinterpretare le affermazioni di Trump, che sono enormemente problematiche da molti punti di vista e hanno attirato estese critiche.

Trump aveva annunciato il piano, che con ogni probabilità non era stato concordato in anticipo con i funzionari, martedì al termine di un incontro a Washington con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Fin da subito la proposta aveva causato grandi critiche in tutto il mondo: se attuata sarebbe illegale per il diritto internazionale e problematica su vari livelli, a partire da quello umanitario. Egitto e Giordania, i due paesi a maggioranza araba che nelle intenzioni di Trump dovrebbero accogliere i profughi palestinesi, hanno fatto capire in tutti i modi di non essere disposti né pronti a farlo. L’annuncio ha inoltre complicato i già fragili negoziati tra Israele e Hamas per l’estensione del cessate il fuoco in vigore nella Striscia da circa tre settimane.

Mercoledì sia il segretario di Stato Marco Rubio sia la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, hanno cercato di rettificare le dichiarazioni di Trump. Rubio era in visita in Guatemala, Leavitt ne ha parlato durante una conferenza stampa. Entrambi hanno provato a riformulare i punti più problematici della proposta: l’espulsione degli abitanti palestinesi, l’eventuale controllo statunitense e il possibile invio di soldati statunitensi nella Striscia, tutte cose a cui Trump aveva fatto chiari riferimenti.

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Il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, al centro, con l’ambasciatore in Guatemala e il ministro guatemalteco dell’Interno, a Città del Guatemala, il 5 febbraio (AP Photo/Mark Schiefelbein)

Trump aveva per esempio parlato di «trasferimento […] permanente» delle persone che vivono a Gaza. Rubio e Leavitt hanno detto che in realtà era una proposta temporanea, valida solo per il periodo necessario a ricostruire gli edifici e le infrastrutture della Striscia. Rubio ha paragonato questo processo a quello che dovrebbe seguire «un disastro naturale»: è un accostamento evidentemente forzato e fuorviante, dato che la distruzione di Gaza è stata causata dai bombardamenti e dagli attacchi dell’esercito israeliano e non certo da calamità naturali. Inoltre le persone palestinesi hanno fatto capire in modo chiarissimo di non volersene andare dalla Striscia, nonostante Trump abbia sostenuto il contrario.

Secondo l’interpretazione presentata da Rubio, gli Stati Uniti si sarebbero offerti di collaborare alla rimozione delle macerie e degli ordigni dalla Striscia, e di partecipare alla ricostruzione «in modo che poi le persone possano tornare».

– Leggi anche: Perché il piano di Trump sulla Striscia di Gaza è enormemente problematico

È stata smentita anche la possibilità di mandare soldati statunitensi a Gaza, che Trump non aveva escluso: «Se sarà necessario, lo faremo». Anche in questo caso, secondo Rubio, «non era una mossa ostile, voleva essere generosa» e consisterebbe nel far partecipare i militari alla ricostruzione. Secondo il New York Times anche l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha detto durante una riunione a porte chiuse con i senatori Repubblicani che Trump «non vuole mandare nessun soldato sul campo, e non intende spendere un solo dollaro» per Gaza.

Più o meno la stessa narrazione è stata utilizzata per reinterpretare la proposta di Trump di trasformare Gaza in una località turistica, che ha chiamato la «Riviera del Medio Oriente». Anche qui secondo Rubio non si trattava di sottrarre la gestione della Striscia ai palestinesi – cioè quello che aveva detto Trump – ma dell’intenzione degli Stati Uniti di farsi responsabili della ricostruzione. Anche Leavitt ha sostenuto che Trump si attiverà per fare accordi «con i nostri partner nella regione».

Il briefing coi giornalisti del 5 febbraio alla Casa Bianca

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Il briefing coi giornalisti del 5 febbraio alla Casa Bianca (Francis Chung/POLITICO)

Anche se, come detto, le parole di Trump sono state vastamente criticate in tutto il mondo, c’è almeno un gruppo di persone che ne è entusiasta: Netanyahu, e i suoi alleati politici dell’estrema destra sionista. In un’intervista sulla rete conservatrice Fox News Netanyahu ha detto di ritenere la proposta «la prima buona idea» per la Striscia che sentiva da molto tempo.

– Leggi anche: Egitto e Giordania non ne vogliono proprio sapere del piano di Trump per Gaza



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