Lo sport impossibile sulla neve artificiale

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Appendere gli sci al chiodo per mancanza di neve rischia di diventare realtà nei prossimi anni. A pagare il prezzo più alto saranno soprattutto gli sciatori professionisti, se non si metteranno in atto serie misure per invertire il processo di riscaldamento globale, causa principale della mancanza di neve naturale sui campi di gara.

UNO STUDIO SULLE OLIMPIADI INVERNALI condotto dal professor Daniel Scott dell’Università di Waterloo evidenzia che se nei prossimi cinquant’anni si procede con le attuali politiche che non prevedono drastiche riduzioni di CO2, solo Sapporo, in Giappone, tra le 21 località che fino a oggi hanno ospitato le gare e dove si è svolta l’edizione del 1972, potrebbe organizzare olimpiadi con la neve naturale sulle piste. D’altronde, se guardiamo alle ultime tre edizioni, nel 2014 a Sochi il ricorso alla neve artificiale è stato dell’85%, in Corea nel 2018 a PyongChang del 90% e nell’ultima edizione del 2022 a Pechino del 100%, una percentuale che probabilmente si riproporrà anche l’anno prossimo per le olimpiadi invernali Milano-Cortina.

LA PREPARAZIONE FISICA sulla neve di numerose nazionali di sci, in vista della stagione agonistica, aveva come punto di riferimento l’Austria, che quest’anno ospita i mondiali di sci alpino dal 4 al 16 febbraio e per l’occasione ha fatto ricorso alla neve artificiale, ma a causa della scarsa presenza di neve negli ultimi anni una nazionale come il Canada ha scelto le Ande cilene. E’ solo un aspetto delle pesanti ripercussioni economiche che il mondo dello sci si trova ad affrontare.

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A DIFFERENZA DEL PASSATO, lo sci agonistico di oggi prevede un notevole consumo di neve durante le discese, come evidenzia Atle Scardal, ex sciatore alpino della nazionale norvegese, che gareggiò alle olimpiadi invernali di Calgary nel 1988 e a Lillehammer nel 1994, oggi Direttore Tecnico della Federazione Internazionale Sci: «Le condizioni della neve sono l’aspetto più importante per lo svolgimento di una gara. Buone condizioni di neve, significa poter svolgere una buona gara in termini di velocità e di risultato agonistico. Negli ultimi 30 anni il livello degli atleti è peggiorato, scendono più veloci e muovono tanta neve con i loro sci. Le vecchie modalità di competizione, non sono più compatibili con gli standard attuali».

TRA IL 2001 E OGGI L’INDUSTRIA LEGATA al Circo Bianco ha avuto perdite pari a circa un miliardo e mezzo di dollari, a risentirne di più sono stati i Paesi prossimi alle Alpi come l’Austria, la Francia, l’Italia e nel Nord America il Canada.

UNO STUDIO PUBBLICATO SU «GEOPHISYCAL Reaserch Letters evidenzia che dal 1980 al 2018 negli Stati Uniti il manto nevoso si è ridotto del 50%, mentre l’anno scorso l’Institute for Snow Avalanche Research ha stimato che in Svizzera la stagione sciistica ha perso un mese e mezzo di copertura nevosa a causa dell’aumento del riscaldamento globale, un fattore che ritarda di 15 giorni l’inizio della stagione e ne anticipa la fine di 26 giorni. Nelle aree tradizionali dove si pratica sci, come Canada, Stati Uniti ed Europa, la stagione si è ridotta a meno di 90 giorni, tra le pesanti conseguenze anche la perdita del posto di lavoro del 15% del personale impiegato nel settore.

NELL’EMISFERO NORD DAL 1967 A OGGI, la neve è passata da una copertura di 32 milioni di metri quadri a 25 milioni di metri quadri. Il ricorso alla neve artificiale fino a coprire il 90% del manto nevoso, per allungare di pochi giorni la durata delle settimane bianche, è sempre più frequente, una modalità che si è accentuata soprattutto nelle stazioni sciistiche a bassa quota.

QUANTO COSTA INNEVARE UNA STAZIONE sciistica con la neve artificiale? Gli studi condotti dalla professoressa Carmen De Jong dell’Università di Strasburgo ci dicono che per coprire un ettaro di terreno con un manto nevoso di almeno 15 centimetri il costo varia dai 2 mila ai 3 mila euro circa, mentre l’operazione richiede da 1 a 6 ore di lavoro, cui va aggiunto il costo del trasporto dell’acqua. Per trasformare l’acqua in neve artificiale occorrono dai 3 mila ai 6 mila metri cubi di acqua per ogni ettaro di terreno, cui si aggiungono i costi della lavorazione e il ricorso all’energia elettrica. Alla produzione di CO2 dovuta al trasporto dell’acqua dal fondo valle fino in cima, va aggiunto il depauperamento dei fiumi e dei laghi dai quali si attingono grandi quantità.

LO STUDIO DI DE JONG, HA PRESO in considerazione il comprensorio sciistico di Brauneck, in Bavaria, con circa 30 chilometri di piste, che si snodano tra i 700 e i 1700 metri di altitudine. Il costo annuale, compreso il trasporto e la produzione della neve artificiale è di un milione di euro. Fino a quando si potrà andare avanti in questo modo e a quale prezzo?

A fronte di questo quadro, a tratti drammatico, che mette a rischio le realtà montane prive di neve, il presidente della Fis Johan Eliasch ha sottoscritto una collaborazione con l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), che fa capo all’Onu, per aiutare la Fis a elaborare un calendario più attento in rapporto alle condizioni climatiche: «Le vacanze invernali rovinate e gli appuntamenti sportivi cancellati sono la punta dell’iceberg del cambiamento climatico. Il ritiro dei ghiacciai, la riduzione della copertura di neve e ghiaccio, stanno avendo un impatto notevole sugli ecosistemi montani, sulle comunità, sulle economie e avranno ripercussioni sempre più gravi a livello locale, nazionale e globale per i secoli a venire» si legge nel documento sottoscritto dalle due organizzazioni.

L’ACCORDO QUINQUENNALE PREVEDE la formazione del personale delle 137 Federazioni di sci nazionali che aderiscono alla Fis e di quello impegnato nelle stazioni sciistiche. Un primo significativo passo avanti di un mondo, quale quello dello sci, che ha temporeggiato di fronte alla rapidità del cambiamento climatico e oggi si mostra impreparato a gestire una situazione difficile.

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