spyware su WhatsApp e il governo italiano è coinvolto?”

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Negli ultimi giorni, il tema dello scandalo di spionaggio su WhatsApp e il governo italiano ha destato grande preoccupazione. Il governo ha confermato che alcuni cittadini italiani sono stati sorvegliati tramite l’app di messaggistica, alimentando timori sulla sicurezza e la privacy digitale nel Paese. La questione, definita “di particolare gravità” da Palazzo Chigi, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha portato all’attivazione dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) per gestire la vicenda. Tuttavia, il governo esclude il coinvolgimento dell’intelligence italiana e assicura che nessun giornalista sia stato sorvegliato.

Il ruolo dello spyware Graphite nel caso WhatsApp

Tutto ha avuto inizio quando Meta, la società proprietaria di WhatsApp, ha pubblicato un report ha avvisato alcuni utenti di essere stati presi di mira da uno spyware di ultima generazione chiamato “Graphite”, sviluppato dall’azienda israeliana Paragon. Questo software avrebbe avuto la capacità di infettare i dispositivi delle vittime, accedendo ai loro dati sensibili, inclusi i messaggi salvati nel telefono.

Palazzo Chigi ha rivelato che le utenze italiane coinvolte sarebbero sette, ma non ha comunicato l’identità dei titolari, i quali sono stati informati direttamente da WhatsApp per questioni di privacy. Oltre all’Italia, anche altri Paesi europei come Belgio, Grecia, Germania e Spagna risultano essere stati coinvolti nello scandalo.

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Spionaggio su WhatsApp e il governo italiano: il governo smentisce ogni coinvolgimento

Secondo quanto dichiarato da Palazzo Chigi, non vi sarebbero prove che il governo italiano abbia utilizzato “Graphite” per sorvegliare cittadini, giornalisti o attivisti. Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali non convincono tutti. Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, ha reso pubblica la notizia di essere stato contattato da Meta con un avviso di possibile attacco informatico. Lo stesso è accaduto a Luca Casarini, attivista della ONG Mediterranea Saving Humans.

Le opposizioni politiche chiedono chiarezza e hanno portato il caso in Parlamento. Il Partito Democratico ha chiesto al governo di chiarire la situazione se l’Italia sia cliente di Paragon Solutions e se siano state effettuate operazioni di sorveglianza su giornalisti o attivisti.

Spionaggio su WhatsApp e il governo italiano: le implicazioni sulla cybersicurezza

Lo scandalo solleva un’importante questione: quanto è sicura la comunicazione digitale in Italia? L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha il compito di proteggere i cittadini da minacce informatiche, ma il caso “Graphite” dimostra che le vulnerabilità esistono e possono essere sfruttate.

Negli ultimi anni, gli spyware di livello avanzato sono diventati strumenti di sorveglianza sempre più diffusi, usati non solo per operazioni di sicurezza nazionale, ma anche per scopi meno legittimi. Il problema riguarda l’Italia, ma anche il resto del mondo, considerando che software come Pegasus e Graphite sono stati usati per spiare politici, attivisti e giornalisti in diversi Paesi.

Chi sono i veri responsabili dello scandalo?

Mentre il governo dichiara la propria estraneità, gli esperti del settore sollevano dubbi sulle reali responsabilità. La società Paragon vende il suo spyware a “Stati alleati”, “Stati alleati”, e tra i clienti vi sarebbero governi occidentali, inclusi gli Stati Uniti. L’Europa non ha ancora preso una posizione chiara sulla regolamentazione dell’uso di tali strumenti di sorveglianza.

Questo caso si aggiunge a una lunga serie di scandali legati alla privacy digitale. La questione non riguarda solo il governo italiano, ma l’intero panorama internazionale della sicurezza informatica.

 La Partita è Aperta

Mentre le indagini continuano, resta il dubbio su chi abbia realmente utilizzato lo spyware per monitorare i cittadini italiani. La mancanza di trasparenza e le accuse incrociate alimentano sospetti e tensioni. Una cosa è certa: il caso “Graphite” ha sollevato il velo su un problema ben più grande, che riguarda la tutela della privacy nell’era digitale.

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Di Cristian Alaimo



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