C’era una bozza di atto, preparata dagli uffici del ministero della Giustizia, che avrebbe potuto evitare la scarcerazione di Osema Almasri. Ma il ministro Carlo Nordio ha scelto di non firmarla. A scriverlo sono Repubblica e il Corriere: nei giorni successivi all’arresto del generale libico, si legge nei retroscena pubblicati dai due quotidiani, i funzionari di via Arenula si erano messi al lavoro per sanare il presunto vizio di forma di quell’operazione, cioè la mancata interlocuzione preventiva tra la Corte penale internazionale e il governo. Per farlo bastava che il ministero chiedesse alla Corte d’Appello di Roma, tramite il procuratore generale, di convalidare l’arresto e disporre la custodia cautelare in carcere in vista dell’estradizione. Nonostante la bozza già pronta, però, Nordio non si muove: ignora la richiesta del procuratore generale e “costringe” i giudici a liberare il presunto criminale di guerra.
Nella sua audizione in Parlamento sul caso, il ministro ha giustificato l’inerzia affermando che il mandato della Corte dell’Aja era “viziato“, cioè conteneva degli errori formali sulle date dei presunti reati commessi da Almasri. In realtà, come hanno chiarito tutti gli addetti ai lavori, al governo italiano non spettava in alcun modo una valutazione sul merito del provvedimento. Peraltro, alla richiesta dell’Aja era allegata una nota che citava la procedura precista dallo Statuto della Corte nel caso di ostacoli pratici all’esecuzione: “Nel caso in cui le autorità individuassero problemi che potrebbero impedire l’esecuzione della richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio al fine di risolvere la questione”. E Nordio, anche in questo caso, non lo ha fatto, scegliendo invece di utilizzare le presunte “incongruenze” dell’atto per evitare di tenere in carcere il libico. Salvo poi, in Parlamento, ribaltare la responsabilità sui giudici internazionali, affermando addirittura di voler chiedere loro “chiarimenti” sul caso.
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