“Ha ragione Pupi Avati: ci vuole un ministero del Cinema ad hoc”. Giuseppe Tornatore è perentorio, e perfino piuttosto entusiasta. Il premio Oscar per Nuovo Cinema Paradiso, tra i più riconosciuti registi italiani nel mondo, appoggia in tutto e per tutto la proposta del regista bolognese. In una lunga intervista al Corriere, Avati aveva fatto un appello diretto al governo di Giorgia Meloni e al ministro Giuli: scorporiamo il cinema dal ministero della Cultura, come si è fatto con la scuola dall’università, altrimenti il cinema produttivamente morirà. “Sa cosa le dico?”, spiega Tornatore al fattoquotidiano.it, “Pupi è stato molto generoso e coraggioso a esporsi pubblicamente per questa idea”.
Quindi “non può più esistere un ministero che contemporaneamente si occupa degli Uffizi e di Netflix” come dice Avati?
È assolutamente una buona idea. Il cinema e il mondo dell’audiovisivo contemporaneo hanno orizzonti vasti e ramificati che è difficile tenere legati ad altrettanto vaste incombenze culturali. È diventato un impegno oggettivamente eccessivo per l’attuale ministero.
Altro ministero, altro politico che diventa ministro…
Guardi è implicito che sia ideale affidarlo a una persona che conosce il mestiere: un produttore, distributore, un autore o che so un venditore internazionale, uno che può fare la differenza. Del resto se mi mettessero a dirigere la Nasa con tutta la buona fede non riuscirei a lavorarci.
Lei lavora nel mondo del cinema da oltre quarant’anni (l’esordio con Il camorrista è del 1986 ndr) cos’è cambiato a livello industriale in questi decenni?
La fruizione dei film è completamente diversa da 40 anni fa quando la vita commerciale di un film dipendeva per il 99% dalla sala cinematografica. La tv era solo un’aggiunta che gradualmente si è affermata diventando sempre più importante. Oggi apparentemente sembra che tutto questo sia finito. E invece sembra paradossale ma si guardano più film oggi di 40 anni fa. Tra piattaforme, tv e sale vengono consumati una quantità di titoli che quando ho iniziato io ci sognavamo.
Avati grida però alla crisi produttiva…
Il paradosso sta proprio qui. La domanda di film è alta ma in Italia sembra esserci come una strategia per dissolvere il sistema di produzione. Da un lato, a valle, si incoraggia le sale a chiudere con le norme sulla conversione d’uso; dall’altro, a monte, si riducono drasticamente i finanziamenti attraverso le leggi statali. Il risultato è che tutto è bloccato. Basta parlare con i produttori. È una cosa che si tocca con mano. Due anni fa ho iniziato un progetto e non trovavo macchinisti disponibili, oggi i macchinisti ti cercano in tanti per chiederti se c’è lavoro per loro.
Qual è il più grande cambiamento nel contesto produttivo da quando lei vinceva l’Oscar ad oggi?
Quando avevo un’idea per un film ne parlavo direttamente e solo con il produttore. Si individuava che tipo di film dovevamo fare e io non dovevo preoccuparmi più dei finanziamenti. Adesso vado da un produttore, gli racconto una storia e lui/lei mi chiede di parlare, coinvolgere e convincere dei co-produttori, i distributori, i funzionari delle banche, i manager delle piattaforme, avvocati, faccendieri.
Il governo di destra, dice ancora Avati, sembra come lasciare andare il mondo del cinema alla deriva perché è composto solo da gente di sinistra…
Ma non è vero. Lo sa che i grandi produttori del passato, eccetto rarissimi casi, erano tutti di destra? Eppure lavoravano con autori di sinistra o di ideologie non loro per fare grandi film. Questa capacità di collaborazione si è perduta.
Lei ha lavorato con i più grandi produttori italiani con chi si è trovato bene?
Guardi, posso tranquillamente affermare che mi sono trovato bene con tutti. Lombardo e Cristaldi sono stati bravissimi. Anche con Cecchi Gori ho lavorato bene. Poi sa cosa le dico? Che con la Medusa di Berlusconi non ho lavorato bene, ma strabene. Massima libertà creativa. Ma siccome la sinistra è sempre stata settaria, chi lavorava con Medusa veniva visto come un traditore che si comprometteva con l’ideologia avversaria.
Da cosa partiamo per il neo ministero? Un’assemblea? Una riunione? Il solito appello?
Se qualcuno al governo capisse l’importanza di questa proposta sarebbe una gran cosa. Un ministero per il Cinema, modello CNC francese, farebbe bene a tutti. Bisogna avere la forza di mettere in pratica i principi democratici. Da più punti non li si applica più. Il senso vero della democrazia è che nel mondo della produzione e del lavoro se mi capita un macchinista, che so, che vota Fratelli d’Italia con me o con gli altri colleghi deve lavorare lo stesso. Ricordo nel passato lunghe riunioni, ad esempio, tra sceneggiatori con idee politiche differenti, ma una sintesi si trovava sempre”.
E se la chiamano a fare il ministro del cinema accetta?
Io continuerò a fare film, anzi a breve entro in pre produzione per una nuova opera. Ma ribadisco che in un ruolo del genere ci vuole una figura che conosca questo mondo e i suoi meccanismi alla perfezione.
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