Chi ci guadagna e chi si oppone ai vincoli sulla vendita di armi? La coalizione di centrodestra vuole meno controlli
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha promosso un disegno di legge che punta a modificare la legge 185 del 1990, la normativa che regola l’export di armamenti italiani. La direzione del cambiamento, però, sembra andare verso una riduzione della trasparenza nei meccanismi di controllo sulle vendite di armi all’estero, un aspetto che sta sollevando numerose critiche, soprattutto da parte di alcune organizzazioni della società civile. Anche per “Rete Pace e Disarmo”, non è certamente una questione di poco conto. Le regole stabilite dalla legge 185/90 hanno avuto un impatto significativo anche a livello internazionale, ispirando regolamentazioni in altri Paesi e contribuendo a limitare il commercio di armamenti verso nazioni coinvolte in conflitti o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Il provvedimento è attualmente in discussione alla Camera, nelle Commissioni Esteri e Difesa, dopo essere già stato approvato dal Senato. Lo stesso provvedimento ha respinto i vari emendamenti volti a migliorare la normativa, chiudendo di fatto ogni possibilità di revisione in senso più restrittivo. A quanto pare, l’obiettivo della riforma è proprio quello di rendere più agevole il commercio per le industrie italiane del settore armamenti, riducendo così vincoli e verifiche sulle esportazioni.
Banca Etica: “Clamoroso passo indietro”
Una delle critiche più dure è arrivata da Banca Etica. Definendo la riforma un “clamoroso passo indietro”, Anna Fasano, la presidente dell’istituto bancario, ha puntato il dito contro quella che appare come una modifica opposta ai tentativi di migliorare e rafforzare la trasparenza finanziaria nel settore delle armi. “Si tratta di un provvedimento in aperta contraddizione con l’impianto normativo che l’Europa sta costruendo da anni per garantire maggiore trasparenza nel settore finanziario. Le banche, attraverso i loro finanziamenti, determinano il tipo di economia e di società in cui viviamo. Proprio per questo – ha spiegato Banca Etica attraverso la presidente Fasano – il loro operato non può essere sottratto al dovere di trasparenza. Inoltre, questa modifica legislativa appare in netto contrasto con il Trattato ONU del 2013 sul commercio di armi, sottoscritto dall’Italia”. Inoltre, secondo Fasano, il provvedimento non solo rappresenta un clamoroso passo indietro, ma rischia anche di legittimare pratiche opache nel mondo bancario. “Sia chiaro: la legge 185/1990 non vieta l’export di armi italiane, ma impone che queste operazioni non coinvolgano Paesi in conflitto o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e che avvengano nel rispetto della trasparenza. Un principio essenziale, considerando gli enormi impatti umanitari, strategici e geopolitici dell’industria bellica, settore storicamente segnato da corruzione e illegalità diffusa”.
Basta favori ai mercanti di morte
Il fronte contrario alla modifica legislativa si è mobilitato attraverso la campagna “Basta favori ai mercanti di armi”, per evitare una deregulation totale nel commercio di armamenti. Durante le audizioni alla Camera, diverse organizzazioni hanno ribadito l’importanza di non indebolire i meccanismi di autorizzazione e controllo; tra queste spicca la “Fondazione Finanza Etica”, che insieme a “Rete Italiana Pace e Disarmo” ha pubblicato il rapporto “Zero Armi”, pensato per monitorare i legami tra il sistema bancario italiano e l’industria della difesa. Lo studio ha esaminato come le banche finanziano il settore bellico, misurando la trasparenza delle operazioni tramite indicatori su partecipazioni azionarie, finanziamenti a programmi militari e servizi finanziari legati alla vendita di armi. Gli istituti ricevono un punteggio da 0 a 1 in base alla trasparenza dimostrata, con un sistema che incentiva una maggiore chiarezza sulle loro attività. L’analisi ha coinvolto le nove principali banche italiane per flusso di cassa nel 2021, inclusi il Gruppo Banca Etica e alcune banche cooperative. Dai dati è emerso che Intesa Sanpaolo e Unicredit sono gli istituti più esposti al finanziamento della produzione e vendita di armi.
Foto © Imagoeconomica
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