La strategia del “divide et impera” adottata da Donald Trump sta già producendo effetti tangibili. Se questi gioveranno agli Stati Uniti è ancora incerto, ma il loro impatto sul pianeta è chiaramente negativo. In un mondo sempre più interconnesso, l’assenza di contromisure adeguate rischia di gettare un’ombra inquietante sugli anni a venire, rendendo urgente una riorganizzazione dell’ordine globale. In questo contesto, l’Unione europea fatica ancora a trovare una propria collocazione.
A fronte della mancanza di una politica estera unica che superi l’impostazione intergovernativa che la caratterizza, l’Unione europea dovrebbe darsi gli strumenti politici per farsi promotrice di un nuovo ordine mondiale fondato non su logiche imperiali, ma sulla cooperazione, mentre invece, ad oggi, attende inerme i “difficili negoziati” con gli Stati Uniti per la protezione dei propri interessi.
Nel breve termine è quanto mai urgente che l’Unione europea si faccia carico della copertura dei contributi non versati dagli Stati Uniti nelle Istituzioni multilaterali, anche nell’ottica di evitare che il loro funzionamento diventi totalmente dipendente dai contributi di Paesi che non rispettano pienamente i valori e i diritti universali.
Questo è un imperativo in un panorama internazionale in cui altri Paesi stanno seguendo le orme degli Stati Uniti a guida Trump. Ne sono un esempio il Canada e il Messico, che sembrano avere già ceduto alla guerra commerciale innescata dagli Stati Uniti, accettando onerosi impegni nella gestione dei flussi migratori pur di evitare i dazi imposti da Trump. Allo stesso modo, i Paesi del Mercosur cercano di allinearsi per scongiurare ritorsioni, come dimostra l’Argentina di Javier Milei, che ha annunciato il ritiro dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), seguendo l’esempio statunitense.
Nel frattempo, Trump ha rafforzato la sua posizione sullo scacchiere mediorientale schierandosi apertamente con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e avanzando la proposta disumana e contraria a qualsiasi principio del diritto internazionale e umanitario di deportare la popolazione di Gaza in territori limitrofi, a riprova di come il conflitto sia anche uno strumento di pressione nei confronti degli altri leader globali.
Solo la Cina, potenza che contende con gli Stati Uniti la leadership mondiale, ha provato a reagire alla sciagurata politica commerciale di Trump, facendo appello all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Tuttavia, da anni il meccanismo di risoluzione delle controversie dell’organizzazione è paralizzato: dal 2016, infatti, gli Stati Uniti bloccano la nomina dei giudici dell’Appellate Body, l’unico organo in grado di superare le leggi nazionali per garantire il rispetto delle regole del commercio internazionale. Di conseguenza, qualsiasi decisione del WTO può essere impunemente ignorata dai Paesi coinvolti nelle dispute.
Questa incapacità di contrastare la linea di Trump è la prova tangibile di un’anarchia internazionale inscalfibile dalle odierne Istituzioni, a partire dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che dovrebbe essere garante della pace e della sicurezza internazionale ma che appare sempre più irrilevante di fronte alle dinamiche di potere imposte dagli Stati.
Occorre salvare il sistema multilaterale dalla prepotenza degli Stati più forti affinché i precari equilibri internazionali non siano definitivamente compromessi, e non perché sia il modello perfetto, ma perché è l’unico su cui possiamo contare oggi. In ragione del suo assetto puramente intergovernativo, esso non è sufficiente a garantire un efficace governo della globalizzazione, realmente basato sul diritto e non sulla legge del più forte. Per questo è fondamentale avanzare il ragionamento sulla necessità di una profonda riforma strutturale delle Istituzioni globali.
Il vero antidoto al caos non può che essere una governance mondiale fondata su principi democratici e sul superamento di una logica statocentrica, che porti a un’ONU dotata di pieno potere esecutivo, una WTO che non sia ostaggio di veti nazionali, un sistema di sicurezza basato su forze di peacekeeping sovranazionali e un progressivo disarmo mondiale.
L’alternativa a questa proposta democratica è il definitivo declino di un sistema internazionale già logoro, con il rischio che il XXI secolo diventi il teatro di una nuova era di conflitti e instabilità.
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