«La denuncia alla Cpi finirà con un nulla di fatto»

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Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, cosa ne pensa della denuncia al vaglio della Corte penale internazionale circa il rilascio di Almasri da parte del governo italiano?

Ammesso che una inchiesta ci sia, il punto di partenza, per qualsiasi giurista, è la lettura delle norme a supporto di un’iniziativa giudiziaria. In questo caso, si fa riferimento all’articolo 70 dello statuto della Cpi e, esaminando il testo, non vedo proprio come la norma possa riguardare i fatti in questione. Al di là dell’elemento della intenzionalità dell’illecito, qui del tutto carente, la casistica indicata non comprende le ipotesi che si vorrebbero contestate al governo italiano. Si va dalla falsa testimonianza a elementi di prova falsificati, passando per le ritorsioni o le intimidazioni ai funzionari della corte e simili. Su quali basi l’articolo 70 viene invocato per un’iniziativa contro il governo italiano? Peraltro per fatti e condotte del tutto corrette e coerenti.

Fin qui la forma, ma nel merito che ne pensa?

Nel merito è fin troppo facile rilevare che non c’è stato altro di diverso da una scelta in nome della sicurezza del nostro Paese.

La difesa di Nordio sul caso è precisa da un punto di vista formale, vista la mancata comunicazione diretta tra lui e la Cpi, ma il ministro avrebbe potuto sanare questa irritualità chiedendo una misura cautelare a seguito del rilascio o comunque intervenendo dietro sollecitazione della Corte d’appello, non è così?

Nordio ha ampiamente spiegato sia la successione di fatti e documenti, sia la ragione delle sue scelte. Ha rappresentato anzitutto che il ministero non ha avuto la comunicazione formale prevista dalla legge del 2012 e questo, è bene rammentarlo, ha provocato la non convalida dell’arresto da parte dei giudici di Appello di Roma. Quando poi il cittadino libico ha riacquistato la libertà, il ministro dell’Interno ha ritenuto di doverlo immediatamente rimpatriare per ragioni di sicurezza interna, oltre che a tutela dei nostri connazionali in Libia. La sostanza è che, come in tanti altri casi – Minniti docet – si è agito solo per la sicurezza del Paese. Ciò detto, Nordio ha spiegato il perché delle sue scelte: è almeno paradossale che la Cpi possa emettere due provvedimenti di cattura così diversi tra loro, a distanza di poche ore. Lo trovo incredibile. Il secondo provvedimento, peraltro, non è stato neanche notificato ma solo pubblicato sul sito il 25 gennaio, con Almasri già espulso, riportando delle importantissime correzioni, a parziale sanatoria dei gravi vizi che affliggevano il primo provvedimento. Chiedere al ministro della Giustizia italiano di intervenire a sanatoria di un provvedimento patologico, per forma e sostanza, della Cpi, oggetto delle giuste critiche di Antonio Tajani, mi pare bizzarro ed inaccettabile.

Piantedosi invece ha parlato di Almasri come di un pericolo per lo Stato, ma il pericolo maggiore – motivo per cui la Cpi lo voleva – era per il suo ruolo in Libia non in Italia. Non crede?

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È evidente che un personaggio del genere costituiva un pericolo, comunque. A parte il nostro territorio, non mandarlo in Libia sarebbe stato rischioso per le ritorsioni possibili nei confronti dei nostri connazionali presenti in quei luoghi. Perciò bene ha fatto il ministro ad agire e rapidamente, preoccupandosi di questo. Se l’avessimo trattenuto e ci fossero state vendette contro i cittadini italiani in Libia cosa si sarebbe detto contro Piantedosi? La sua scelta è stata davvero saggia ed oculata.

Le opposizioni sostengono che il mancato trattenimento si deve invece al timore di nuovi sbarchi dalla Libia oppure di ritorsioni rispetto ad accordi economici con l’Italia.

Le opposizioni fanno il loro lavoro e attaccano con “la qualunque” un governo solido, per tenuta e risultati. Devo sinceramente dire che non è stato un bel vedere/sentire in Aula durante l’informativa dei ministri : il linguaggio è stato spesso volgare, atteggiamento che inesorabilmente denuncia la debolezza dei contenuti.

Cambiando tema, che ne pensa delle proteste dell’Anm contro la riforma della giustizia e in particolare contro la separazione delle carriere?

Il Parlamento fa le leggi e i giudici le applicano: è l’articolo 101 della Costituzione. Avevamo un programma elettorale che conteneva la separazione delle carriere e, coerentemente abbiamo l’obbligo di portarlo a compimento. Lo stiamo facendo rispettando le regole della Costituzione e della democrazia parlamentare, garantendo ampiamente il contraddittorio. Forse è bene rammentare che coloro che rappresentano gli italiani sono i parlamentari, gli eletti, non la magistratura, che assume tale ruolo per concorso. Più che legittimo il dissenso, che potrà trovare sede decisiva nel referendum confermativo; ma di certo non ci si può opporre, magari perché magistrati, all’attivazione dei meccanismi della democrazia rappresentativa. E poi, proprio con il referendum, sarà il popolo a decidere se questa riforma diverrà, o meno, Costituzione. Se qualcuno pensa, e non me lo auguro, che la magistratura sia il correttore etico del consenso degli italiani , commette un errore da matita blu notte.

Che opinione ha della pdl della Fondazione Einaudi per ripristinare l’immunità parlamentare?

È noto che quanto accaduto nel 1993, con la riduzione dell’articolo 68 della Costituzione, è stato motivato dalla spinta emotiva impressa da Mani pulite. Pur essendo FI interessata favorevolmente e storicamente al dibattito, ritengo che, al momento, sia necessaria la massima concentrazione sulle riforme costituzionali e gli interventi normativi già sottoposti all’esame del Parlamento.

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