nasce l’associazione per supportare le aziende che fanno agricoltura rigenerativa- Corriere.it

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Coltivare in un prato-bosco pieno di animali: nasce l’associazione per supportare le aziende che fanno agricoltura rigenerativa
(Foto di Getty Images)

Più di un campo. Può essere un habitat. E, forse, un intero ecosistema. La porzione agricola in Italia, con 12,6 o 12,8 milioni di ettari corrisponde al 63 per cento del territorio. Ci sono i terreni coltivati in maniera tradizionale e quelli certificati biologici. E, poi, c’è una terza via, che richiama sempre più attenzione: quella dell’agricoltura rigenerativa, che mette insieme principi più che pratiche agricole, perché ogni suolo ha le sue caratteristiche e i suoi bisogni, con clima, composizione chimica e biodiversità differenti. Con questo processo, i contadini imparano ad ascoltare la terra, ad assecondare i suoi bisogni e lasciarla meglio di come l’hanno trovata. Non tanto (o, meglio, non solo) per far stare meglio l’ambiente, quanto per migliorare le condizioni dell’azienda, economiche, produttive e sociali.

Manca una definizione univoca di questa pratica, ma stabilire dati e soglie e monitorare l’andamento delle performance aiuta a tracciare una via universale da seguire. E, così, migliorare la salute dell’ambiente, la qualità della vita e la redditività delle imprese. La presentazione della rete al negozio Patagonia di Milano

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Questo è l’obiettivo della neonata Associazione Aor (Agricoltura organica e rigenerativa), che diffonde la conoscenza della rigenerazione del suolo, stila un protocollo sugli standard da raggiungere e segue il processo di transizione verso questo modello alternativo. Non solo per produrre cibo sano, ma anche fibre e materie prime per cosmesi e farmacia, in maniera responsabile. Se il settore della produzione agricola e alimentare, infatti, è responsabile di un terzo delle emissioni globali di anidride carbonica, come sottolinea il rapporto Navigating regerative agriculture in corporate climate strategies, redatto dal NewClimate Institute, l’agricoltura rigenerativa fa parte delle strategie chiave per ridurre questo impatto, senza che, tuttavia, esista una definizione univoca di questa attività.

Gli elementi chiave della filosofia

Ciò che è chiaro è l’elenco dei punti su cui chi intende perseguire questa via deve lavorare: migliorare la salute del suolo e la qualità delle acque, accrescere la biodiversità e ridurre la produzione di gas a effetto serra. Poi, ancora, aumentare la resilienza dei sistemi agricoli, intensificare i servizi ecosistemici e favorire il benessere animale. Non ultimo, far salire la produttività. Tra le pratiche: coprire il suolo nei momenti di riposo, ridurre l’aratura, evitare prodotti chimici di sintesi, integrare alla coltivazione la presenza di animali, aumentare la filtrazione dell’acqua, praticare la rotazione e la diversificazione delle colture.

Le modalità di valutazione

«Sono valori che possono sembrare banali», ha commentato Mara De Lucia, presidentessa dell’Associazione, «ma noi e le aziende dobbiamo imparare a trasmetterli al meglio e farne capire la rilevanza». Al negozio milanese, in corso Garibaldi, di Patagonia, che ha offerto un benvenuto con i prodotti dell’azienda agricola biologica e sociale della Brianza lecchese Cascina Bagaggera, il responsabile del protocollo Matteo Mancini ha presentato il questionario che l’Associazione sottopone alle aziende per analizzare la produzione e la qualità del suolo: «Abbiamo deciso di misurare parametri che fino a oggi non erano fissati e monitorati», spiega Mancini. «Una volta valutate le performance delle aziende e messo in evidenza quali sono gli elementi su cui ancora devono lavorare, le supportiamo per raggiungere le condizioni che possono permettere all’attività di ottenere una produzione sufficiente e valida. Il miglioramento dello stato del suolo è il primo strumento per ottenere un miglioramento economico». In quest’occasione, Dario Fornara, Research director di Gruppo Davines ha raccontato il ruolo della cosmetica nel promuovere la salute del suolo, mentre la giornalista Silvia Lazzaris, autrice del documentario Farming, Redefined ha tracciato una panoramica globale dell’agricoltura rigenerativa, a cui si sono aggiunte le esperienze della produttrice Arianna Marengo e del rappresentante del Comune di Milano per il settore Andrea Magarini.

L’importanza di fissare dei paletti

La procedura si basa su tre punteggi legati al questionario iniziale, all’analisi chimico-fisica del terreno e a una serie di prove empiriche della salute dell’area coltivata vagliate con lo strumento di analisi della Fao del Visual Soil Assessment, che dà i parametri scientifici: «Otteniamo un punteggio finale che classifica l’impresa in una delle tre fasce che abbiamo individuato sulla base del livello di performance dell’attività», spiega Mancini. «Dando valori numerici a questi principi ancora non standardizzati possiamo arginare il pericolo di interpretazione fuorviante del concetto di agricoltura rigenerativa. Il rischio, infatti, di non avere una definizione univoca è che chi vuole può trovare escamotage per usare questa etichetta senza per forza rispettarne la filosofia di base». Una filosofia che ha un unico principio di partenza: la rete funziona meglio del singolo, l’ecosistema è ricco e vivo se tutte le sue parti – piante, animali, funghi, terreno, aria e acqua – si nutrono a vicenda.



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