Piergiorgio Giacovazzo, quello di Tg2 Motori… Uno di noi!

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Tutti abbiamo visto almeno una volta Piergiorgio Giacovazzo. Per molti è uno dei volti del Tg2, per noi ciclisti è soprattutto il volto di Tg2 Motori. E’ stato lui a portare le biciclette in questa rubrica storicamente dedicata ai motori e che allieta le domeniche.
La sua storia con la bici merita di essere conosciuta, anche per capire meglio il perché di questa scelta editoriale. Un percorso personale fatto di passione, gare, intuizione giornalistica e una visione chiara del potenziale comunicativo del ciclismo.

Le bici che sceglie non sono mai banali. Le prova davvero. Non sono test effimeri come potrebbe ipotizzare qualcuno. Prima di quello che vedete in tv, le utilizza per molti chilometri e qualche giorno. Insomma, ci “fa l’orecchio”. Sono test che nascono dalla curiosità di chi ha l’esperienza per valutare soluzioni tecniche interessanti, che meritano di essere approfondite.

Giacovazzo ci ha raccontato che spesso le bici se le monta da solo o con il supporto di alcuni storici negozi di Roma. Riporta le sue misure, cosa non facile con i nuovi manubri integrati e gli spessori ad hoc. A volte, come succede anche a noi del resto, gli capita di utilizzare bici con un manubrio un po’ troppo alto. Ma fa parte del gioco… “Il giornalista deve sapersi adattare”, diceva il Ryszard Kapuscinski, un maestro del giornalismo.

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Giacovazzo è un giornalista della redazione del Tg2: oltre a presentare lo stesso telegiornale è anche un inviato. E’ stato anche in Ucraina per la guerra
Giacovazzo è un giornalista della redazione del Tg2: oltre a presentare lo stesso telegiornale è anche un inviato. E’ stato anche in Ucraina per la guerra
Piergiorgio, come hai portato le biciclette in Tg2 Motori?

Da giornalista ormai esperto avevo capito il potenziale del mondo bici nell’informazione generalista. Tg2 Motori non è una rivista di settore, ma un settimanale che parla di motori in senso ampio. Già dal 2015-2016 avevo capito che in televisione c’era spazio per parlare di bici a un pubblico più vasto. All’epoca facevo ancora gare, vedevo quanta gente partecipava alle granfondo, intuivo il volume d’affari che il settore muoveva.

E poi?

Quando nel 2019 la rubrica si è allungata da 15 a 25 minuti, ho proposto di inserire un segmento dedicato alle bici. All’inizio mi dissero di no, ma quando è arrivato il nuovo direttore, Gennaro Sangiuliano, ho riproposto l’idea. Feci un test con una Colnago C64 in Puglia, tra i trulli di Alberobello. Il servizio piacque e da lì partì questa avventura.

Come hai pensato il format per raccontare le biciclette in TV?

Volevo dare la sensazione a chi sta a casa di farsi un giro in bici o in moto con me. Questo significava stravolgere il modo di fare riprese. Gli operatori sono abituati a lavorare con telecamere grandi e inquadrature statiche. Io volevo inquadrature dall’asfalto, riprese in movimento, angolazioni nuove. All’inizio non è stato facile: ci muovevamo con un’auto a seguito della bici, rischiando molto. Una volta, scendendo dal Terminillo, ho preso in pieno un sasso, ho bucato il tubolare e persino il cerchio è esploso. Eravamo su un van e l’operatore riprendeva seduto nel bagagliaio con il portellone aperto. L’assistente è stato bravo e ha fatto appena in tempo a urlare: «Sasso!». Ed è successo quanto detto. Per fortuna il mio passato nel motocross mi ha aiutato a salvarmi dalla caduta.

E’ il 27 gennaio 2019 e con una Colnago C64, dalla Puglia, inizia l’avventura della bici a Tg2 Motori
E’ il 27 gennaio 2019 e con una Colnago C64, dalla Puglia, inizia l’avventura della bici a Tg2 Motori
In effetti sono immagini diverse. In qualche modo sembra di pedalare con te. Il telespettatore, specie se ciclista, sembra che possa pedalare…

La vera rivoluzione è stata l’uso massiccio delle action camera. In Rai si usano pochissimo, io invece ne avevo bisogno per riprese dall’asfalto, da bici a bici, da moto a moto. E poi la difficoltà più grande per gli operatori: quando facciamo gli speech, loro non possono guardare nel monitor, devono fidarsi dell’inquadratura dinamica. E anche trovare l’operatore non è stato facile, ma alla fine ecco Giovanni Morando. Davvero bravissimo. Lui viene dalle moto, ha vinto gare di enduro in bici, ha fatto ciclocross. E’ un folle, nel senso buono ovviamente, che segue e capisce le mie idee, quel che voglio comunicare e come comunicarlo.

Come ha reagito il pubblico a questo stile di ripresa?

Ammetto che c’è sempre qualcuno, solitamente di età abbastanza avanzata, che si lamenta delle riprese troppo movimentate, ma la maggior parte delle persone le apprezza. Addirittura c’è chi mi ha detto: «Non mi interessano le moto o le bici, ma i tuoi servizi mi incollano allo schermo». Questo per me vale tantissimo. Certo, mi piacerebbe poter portare bici e moto in luoghi ancora più spettacolari, per raccontare l’Italia attraverso il ciclismo e i motori. Sarebbe bello se qualcuno avesse l’intelligenza di realizzare un programma che racconti il nostro Paese con un approccio giornalistico, senza legarsi solo alla cronaca delle corse.

Che la bici abbia un potenziale enorme sotto molti punti di vista è vero. In qualche modo bici.STYLE stesso nasce con questa motivazione di base…

Il Giro d’Italia già ci fa conoscere la geografia del nostro Paese: si potrebbe fare lo stesso in televisione con una trasmissione dedicata. Il racconto, i test ed anche i contenuti social si mescolano bene. Anche da un punto di vista mediatico la bici può dare molto, moltissimo.

Riprese dinamiche e dal basso: l’arma vincente di Giacovazzo e della sua troupe, oltre ai contenuti tecnici
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Nel tuo format ci sono anche le e-bike. Che rapporto hai con loro?

Non molto, a dire il vero. Per me la vera e-bike è quella per le mtb da enduro. Lì l’aiuto elettrico ha un senso: ti permette di arrivare in cima fresco e affrontare le discese tecniche in sicurezza. Ti fa divertire. A volte le e-bike possono dare un messaggio sbagliato. Ho visto ragazzini in montagna con le e-bike e questa, per me, è una sconfitta per il ciclismo.

Qual è la tua filosofia ciclistica?

Per me il ciclismo è fatica, è superare i propri limiti. Se insegniamo ai ragazzi che possono sempre avere un “aiutino”, rischiamo di renderli ancora più insicuri. L’e-bike ha senso per chi ha problemi fisici o vuole tornare in forma, ma non per chi deve ancora scoprire la vera magia della bici.

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Piergiorgio, come sei arrivato al ciclismo?

Purtroppo ci sono arrivato tardi. Correvo in motocross, ma con le ginocchia distrutte non potevo più correre a piedi, così ho iniziato a pedalare. Poi ho smesso con le moto e ho iniziato a fare gare in bici. Se la domenica hai sempre corso, non puoi smettere. Il numero sulla schiena è un superpotere: tira fuori energie che non sai di avere, e questo vale sempre. Ho una vena agonistica insomma…

Non solo bici, i test di Giacovazzo a Tg2 Motori prevedono anche moto: scooter, stradali, sportive, enduro e da cross
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E’ vero. Adrenalina e obiettivi si fondono e si cresce…

Io ho iniziato con le granfondo senza sapere cosa fossero. Partivo a tutta, poi mi spegnevo. In tal senso ho un ricordo legato a una grande persona del mondo del ciclismo: Andrea Pinarello. Lui era un mio amico. Lo conobbi a una granfondo. Una volta, proprio per il mio modo di affrontare le gare partendo a tutta, lui col suo passo regolare mi riprese negli ultimi 30 chilometri. Però fu buono, comprensivo e mi chiese: «Hai bevuto? Hai mangiato?». Mi diede una barretta e arrivammo insieme al traguardo. Ho capito che la gestione fa la differenza e negli ultimi anni ho cercato di migliorare. Arrivavo sul podio nei percorsi medi, vincevo la categoria. Facevo 18-20 mila chilometri l’anno.

Caspita…

Parecchi, ma ora con la vita di redazione e quella familiare sempre più impegnata, vado pianissimo! Ma il ciclismo resta una parte fondamentale della mia vita.



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