Perché lo stop a Usaid è un regalo ai dittatori

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Cartello di “condoglianze” per lo stop a Usaid davanti alla sede di Washington – ANSA

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Ci sarà del metodo in questa follia, ma se esiste sembra essere finalizzato al peggior istinto distruttivo. Storditi dalla raffica di decreti presidenziali emessi in continuazione dal presidente Trump, sbalorditi tanto dalle sue minacce a nemici e avversari, quanto dai suoi vaneggianti proclami di annessione di stati stranieri, è passata in sordina l’annunciata sospensione di Usaid (con programmi di riduzione del 97% delle attività), l’Agenzia per lo sviluppo internazionale creata negli Stati Uniti dal presidente Kennedy.

Ad annunciarlo il “Doge” Elon Musk, che sembra affascinato dal giocare il ruolo del Joker, il super-cattivo di Gotham City, come spesso viene dipinto dai suoi detrattori. Certo, la decisione di fermare gli aiuti internazionali ai Paesi del Sud globale, non sorprende se viene da una Amministrazione che è uscita immediatamente dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dal Consiglio internazionale dei diritti umani, deporta in manette gli immigrati che riesce ad arrestare, considera la Corte penale internazionale un’istituzione nemica, denuncia tutti gli accordi sul clima e vuole ora cacciare milioni di palestinesi da Gaza.

Sorprendono invece motivazioni addotte da Musk, ossia che Usaid sia un covo di sinistrorsi lunatici, marxisti fanatici e iper-ideologizzati, addirittura una «organizzazione criminale»: ossia non si accusa Usaid di essere inefficiente, ma solo di essere non allineata all’ideologia feroce, aggressiva e priva di empatia umana di questa cupa amministrazione Trump.

Non che Usaid sia esente da grandi difetti: chi ha lavorato a lungo nei Paesi del Sud del mondo e ha visto come opera questa agenzia, sa bene quanto le sue procedure siano farraginose, i costi eccessivi, i progetti sostenuti spesso poco in linea con le tradizioni e i bisogni reali delle popolazioni locali. Per di più, l’essere americani rappresenta sempre un rischio quando si agisce in molte parti del mondo, perché si finisce per essere un possibile bersaglio dei tanti odiatori della superpotenza statunitense, e questo non giova alla sua efficienza. Si tratta tuttavia di problemi condivisi da quasi tutte le grandi agenzie internazionali quando si trovano a dover operare nel campo della cooperazione internazionale.

Chiudere l’Agenzia e fermare ogni aiuto internazionale (tranne a Egitto e Israele) è una decisione che non può che essere definita come maligna: si bloccano ogni anno quaranta miliardi di dollari di aiuti destinati in gran parte a rispondere a emergenze umanitarie, a combattere malattie endemiche, soprattutto in Africa, a promuovere i diritti umani.

I costi umanitari di questo blocco, in termini di bambini che non verranno curati e salvati o di famiglie che non riceveranno assistenza, per fare due semplici esempi, saranno altissimi. Ma oltre che a mostrare quanto gretta sia la mentalità dominante a Washington, smantellare Usaid è anche una mossa profondamente stupida dal punto di vista politico.

Perché i programmi di cooperazione allo sviluppo, fatto del resto ben noto, non servono solo ai Paesi che li ricevono, ma anche – e in qualche caso soprattutto – ai Paesi che li promuovono: si creano legami, si aprono mercati, si mostra la “parte buona” e amichevole della superpotenza statunitense. Insomma, sono un cardine di quel soft power che è fondamentale per rafforzare i legami diplomatici e le alleanze politiche. Non a caso Kennedy l’aveva creata nel 1961 in piena Guerra fredda, per combattere l’immagine di una super-potenza imperialista e amica solo dei ricchi diffusa dalla propaganda sovietica dell’epoca.

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Un altro fattore che dovrebbe preoccupare ancor più la Casa Bianca è la comprensione che, in geopolitica, il vuoto non esiste. Chi si ritira da uno scenario geostrategico lascia il campo ad altri attori internazionali. Non si dubiti: nazioni come la Cina saranno pronti a offrire il proprio sostegno, sottolineando l’inaffidabilità degli Stati Uniti come Paesi alleati, per subentrare con le proprie strategie di soft power, consolidando il loro ruolo di potenza antagonista globale.

In una fase in cui il sistema internazionale è in profonda trasformazione e in cui i valori liberali appaiono sempre più fragili, la brutalità minacciosa con cui si stanno muovendo Trump e i suoi consiglieri produce danni che vanno oltre il visibile e l’immediato: non si mette solo a rischio l’economia mondiale con i dazi, o si minano le alleanze storiche fra paesi occidentali, ma si diffonde l’idea che i valori in cui crediamo e abbiamo cercato di diffondere fossero solo maschere per gli illusi. Un regalo migliore ai vari dittatori che governano tante parti del mondo non poteva essere fatto.





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