Una guerra in corso tra anime diverse dei servizi segreti. Il sospetto si muove tra cronache e retroscena ormai da settimane, ma ieri a evocare questo scenario è stato il vicepremier Matteo Salvini in persona: «È preoccupante, va fatta chiarezza». Potrebbe essere una frase buttata sul tappeto dei malumori di governo, tra l’uscita del libro di Giacomo Salvini del Fatto sulle chat interne di FdI con la premier Giorgia Meloni che mostra di non stimare il leader leghista e le eterne voci di rimpasto (smentite dal leghista, secondo il quale «serve però più condivisione»). In questo contesto va tenuto a mente che i servizi fanno capo a palazzo Chigi.
NELLA DICHIARAZIONE potrebbe però esserci anche un fondo di verità, perché almeno da due anni a questa parte di storiacce e storielle sull’intelligence ne girano in quantità: dalle inchieste sui presunti dossieraggi alla sfiducia nell’Aise (i servizi esterni) confessata dal ministro Guido Crosetto al pm di Perugia Raffaele Cantone nel gennaio 2024, passando per dimissioni di peso (il capo dell’Agenzia per la cybersecurity nazionale Roberto Baldoni nel marzo 2023, alla vigilia dell’accordo italo-israeliano sul suo settore di competenza; la capa del Dis Elisabetta Belloni nel mezzo dell’affaire Sala-Abedini).
E poi c’è l’inchiesta dell’aggiunto di Roma Stefano Pesci sulla cosiddetta Squadra Fiore, una banda di spioni gemella rispetto all’agenzia Equalize di Milano, già al centro di indagini per accesso abusivo alle banche dati investigative. Il caso capitolino sarebbe ancora ai primordi: si sa solo che i database sono stati bucati e sono coinvolti agenti dei servizi, senza elementi di primo piano. Resta, come per le altre indagini analoghe, il dubbio sull’eventuale esistenza di mandanti e non si esclude alcuna ipotesi. Quella più lineare è che i «clienti» fossero tutti privati, l’ennesimo episodio di spionaggio industriale, ma non sono state ancora escluse piste più «istituzionali». Cioè che la Squadra Fiore fosse usata da «organi dello Stato» per dei lavori particolari.
L’INCERTEZZA su chi muove certi fili arriva fino alla vicenda Paragon: chi ha ordinato di spiare giornalisti e attivisti? Forse un giorno si scoprirà. Forse. Intanto in base agli elementi disponibili si possono fare tre ipotesi. La prima è di un’iniziativa autonoma di pezzi dei servizi che avrebbero agito senza mandanti politici. Magari per guadagnare credito con l’esecutivo.
In questo senso sarebbe coerente trovare nello stesso pacchetto il direttore di Fanpage Francesco Cancellato, la sua testata ha condotto inchieste che hanno fatto infuriare FdI, e quattro persone attive a vario titolo contro il sostegno italiano alle milizie libiche in funzione anti-migranti.
TRA LORO IL GIORNALISTA Husam El Gomati, originario del paese nordafricano ma riparato in Svezia, che ha dimostrato di avere accesso a importanti documenti riservati e fotografie sensibili: come quella che, secondo le sue fonti, dimostrerebbe l’atterraggio a Tripoli del direttore Aise Giovanni Caravelli il 28 gennaio, qualche giorno dopo la liberazione di Elmasry. Avrebbe incontrato il primo ministro di Tripoli Mohammed Dbeibah e il procuratore generale Sidiq Al-Sour.
Ci sono poi Luca Casarini e Beppe Caccia di Mediterranea, organizzazione che ha sempre interpretato il soccorso in mare e il lavoro di aiuto, pressione e sensibilizzazione a terra in modo non solo umanitario, ma anche politico. Tra gli intercettati c’è poi un rifugiato che non è interno alla ong ma ci collabora, ed è molto attivo nella difesa dei migranti. Dalle sette utenze italiane mancano tre nomi: cittadini stranieri che hanno paura di rivelarsi oppure soggetti sgraditi al governo, magari per la trasmissione di notizie scomode?
IN QUESTA PRIMA IPOTESI, comunque, è difficile credere che abbiano potuto agire dei cani sciolti. Può mancare il mandante politico, più difficile credere che le agenzie fossero all’oscuro. Altra eventualità, ancora più grave, è quella in cui l’intelligence si è mossa su mandato dell’esecutivo, che sulla Libia si gioca tutto come mostra il caso del torturatore di Tripoli. Chigi ha escluso di aver fatto spiare dei giornalisti, ma nulla ha detto rispetto agli attivisti coinvolti.
In presenza di minacce terroristiche o alla sicurezza nazionale i servizi possono attivare delle intercettazioni che non hanno l’obiettivo di raccogliere materiale utile in sede penale, ma informazioni necessarie a prevenire gravi reati o stabilire la cornice di indagini delicate. C’è comunque una forma di controllo giurisdizionale, in capo alla procura generale della Corte d’appello di Roma, con l’obiettivo – o la speranza – di evitare abusi. È stata avvisata?
DI ALTRA NATURA è la terza ipotesi: intercettazioni chieste dai pm nell’ambito di qualche inchiesta, magari per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In questo caso i protocolli sono più rigidi, perché il materiale deve essere valido nel processo. Lo spyware usato, di natura militare ed estremamente complesso, apre però molti dubbi.
Un esperto del settore spiega al manifesto che con i fornitori israeliani le procure hanno sempre avuto problemi, sia perché quelle informazioni restano anche alla società privata sia perché i tipi di contratto che propongono escludono il noleggio. Bisogna comprare lo strumento con costi molto più alti, spesso superiori ai fondi a disposizione degli inquirenti. Almeno quelli ufficiali. Per il governo questa sarebbe l’ipotesi più favorevole. Ma che c’entra Cancellato?
INTANTO LE OPPOSIZIONI insistono perché Meloni riferisca al parlamento. Lunedì Mediterranea depositerà un esposto a Palermo, per andare a fondo della vicenda. Il giorno seguente il capo dell’Aise Caravelli sarà ascoltato dal Copasir, sul ruolo del governo italiano.
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