In Liguria c’è una piccola città coloratissima sospesa sul mare, dove gustare la focaccia mentre si scoprono antiche ville romane

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Un giorno per vivere il mare d’inverno e scoprire un tesoro archeologico

Entriamo in autostrada al casello di Parma Ovest alle 8.40. La A15 è piuttosto sgombra, ed arriviamo a La Spezia dopo circa un’ora di viaggio. La strada che dal capoluogo di provincia conduce a Portovenere non è trafficatissima ma alcune curve strette richiedono molta prudenza. All’altezza della frazione di Le Grazie, mi passa davanti agli occhi un cartello che indica la direzione per una Villa Romana. Consulto velocemente Google e propongo a Davide di far tappa qui prima di riprendere l’autostrada al ritorno. Da Google, vedo che si tratta della Villa Romana del Varignano; in rete fanno capolino delle immagini molto interessanti, pare che si tratti di un’antica villa che dava sul mare e dotata del frantoio più antico della Liguria: bisognerà indagare più approfonditamente! Il cielo è plumbeo, la piazzetta di Portovenere al nostro passaggio in auto verso il parcheggio non è affollatissima: si avverte chiaramente che la stagione turistica non è ancora cominciata! Verso le 10.15, parcheggiamo poco lontano dal cuore del borgo, utilizzando la comoda app Easy Park: inserendo un orario di massima per la ripartenza, potremo interrompere la sosta anche in anticipo e pagare solo la cifra per il tempo che effettivamente ci occorre per la nostra giornata al mare.

La visita al centro storico di Portovenere

Anche se il cielo non ci regala il sole che avremmo voluto, la temperatura è sui 13-14 °C. Il vento abbastanza impetuoso non ci infastidisce più di tanto, siamo comunque ben coperti e la passeggiata fino al carrugio principale di Portovenere è piacevole. Lungo Via Capellini, che conserva ancora la sua affascinante struttura da vero borgo medievale, le attività aperte si possono davvero contare sulle dita di una mano. Un paio di ristoranti e di negozietti di chincaglieria, ma per fortuna la focacceria è aperta, anche se non ha ancora esposto tutti i prodotti. Ripasseremo più tardi.

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Chiesa di San Pietro

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Percorriamo tutto il carrugio fino alla chiesa di San Pietro. Prima, ci fermiamo a guardare il mare dalle finestrelle aperte nella roccia, in corrispondenza della Grotta Byron, al momento chiusa per motivi di sicurezza. Il mare è agitato, le onde alte si infrangono forte sugli scogli più in basso, i gabbiani sfrecciano gridando nel cielo scuro. E poi, sopra a tutto, alla fine della scalinata in salita, ecco la chiesa di San Pietro. Sullo sperone roccioso che si protende a picco sul mare aperto, nel V secolo fu costruita una piccola basilica paleocristiana sui resti di un tempio romano, probabilmente dedicato a Venere Ericina.

Entriamo, accendiamo una candela, salutiamo la bella statua di San Pietro con le sue chiavi e ci guardiamo brevemente attorno, godendoci ancora una volta l’atmosfera particolare che si respira in questa piccola chiesa: l’ambiente è piuttosto spoglio e scuro, la decorazione tipicamente genovese in marmo bianco e nero è molto affascinante. Solo il canto dei gabbiani rompe il silenzio che c’è qui dentro. All’uscita, Davide sale sul tetto della chiesa a fare qualche foto, io salgo su una piattaforma di fianco alla chiesa e guardo il panorama da lì. Che incanto, il mare ha un colore molto particolare, tra il blu e il verde chiaro; il cielo è plumbeo, e anche lui contribuisce a creare un’atmosfera diversa da quella a cui le primavere e le estati trascorse qui ci hanno abituati.

Scendiamo in Calata Doria, qui almeno Davide può prendersi un caffè in uno dei pochi bar aperti. Poi continuiamo la nostra passeggiata di fronte al mare, vicino alle barchette dei pescatori ormeggiate qui dopo la notte di pesca al largo. Continuiamo il nostro giro circolare, e ci ritroviamo di nuovo all’imbocco del borgo. Alla focacceria, chiediamo gli orari di chiusura, ripromettendoci di tornare a comprare un po’ di focaccia da portarci a casa per cena. Oltrepassiamo la chiesa di San Pietro, riprendiamo la Calata Doria e poi facciamo due passi al porto.

Ormai è mezzogiorno, quindi possiamo entrare al Ristorante Elettra, proprio di fronte al porto, dove abbiamo prenotato un tavolo per il pranzo. Conosco questo ristorante da tantissimi anni, sin da quando, ancora adolescente, venivo qui con i miei genitori. Non è cambiato nulla, la bella sala luminosa dà su una splendida vetrata con la vista sul porto e sul mare. Ordiniamo due porzioni di tagliolini alle ortiche con i frutti di mare, e poi due porzioni di fritto misto. Il servizio è rapido, e non dobbiamo aspettare tanto per gustarci tanta bontà. Con mezzo litro di vino bianco frizzante della casa, una bottiglia d’acqua e un caffè, il conto è di 84 euro.

Siamo sazi e soddisfatti, una bella passeggiata prima di ripartire ci sta proprio bene. Nel carrugio principale, il ristorante Da Cesare ci colpisce per l’interessante menù esposto fuori dal locale e la numerosa clientela all’interno: potrebbe essere una soluzione alternativa per la prossima volta, anche se Elettra è senz’altro un must! Proseguiamo e ci fermiamo alla focacceria nel borgo e ci riforniamo di focaccia da portare a casa (con pesto e formaggio, classica, con le olive, con le cipolle, con formaggio). Percorriamo tutto il borgo, e dalla chiesa di San Pietro prendiamo la stradina che ci fa salire fino alla Chiesa di San Lorenzo. In stile romanico, a tre navate, fu consacrata nel 1130 da Papa Innocenzo II. Con la sua facciata a fasce bianche e nere, è insieme elegante ed austera. Entriamo all’interno, che non è illuminato, ma forse anche per quello ci affascina molto. Nella navata a sinistra è esposto il leggendario tronco di cedro del Libano approdato a Portovenere nel 1204, trasportando preziose reliquie in una cavità abilmente ricavata e perfettamente sigillata. In particolare, nel tronco era nascosta una pergamena colorata raffigurante la Madonna col Bambino e due santi in preghiera. È la veneratissima Madonna Bianca che oggi si trova in fondo alla navata destra, in una cornice di marmo bianco, e che viene festeggiata ogni anno il 17 agosto con una suggestiva funzione notturna, fra centinaia di fiaccole e luminarie nel borgo antico e sulle barche. All’esterno, prima di iniziare la nostra discesa per il rientro, guardiamo per l’ultima volta il mare dall’alto, con l’isola Palmaria di fronte a noi. L’ultima passeggiata fino alla nostra auto e siamo pronti per lasciare Portovenere, che ci ha incantato ancora una volta. Non stupisce il fatto che, a partire dal 1998, Portovenere sia parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO! Fermiamo il timer della app del parcheggio (dalle 10.15 alle 14.30 abbiamo speso circa 6 euro) e risaliamo sul pendio per poi ridiscendere ed entrare nella piccola frazione di Le Grazie: proviamo a fare una deviazione per andare a vedere se possiamo visitare la Villa Romana del Varignano di cui ho intravisto il cartello mentre andavamo verso Portovenere.

Villa Romana del Varignano Vecchio

Parcheggiamo sul lungomare di Portovenere gratis, dato che la sosta è gratuita fino al 14 marzo. Un cartello ci indica esattamente la direzione da prendere per arrivare al sito. Ci mettiamo in marcia e, dopo una breve salita, arriviamo ad un cancello chiuso. Suoniamo il campanello e possiamo finalmente entrare. Alla biglietteria paghiamo l’entrata (3 euro a testa) e veniamo accompagnati all’esterno da Giordano, che ci farà da guida in questo sito davvero scovato per caso.

La Villa, inserita in un contesto paesaggistico-ambientale di notevole pregio, fa parte di un sistema di approdi e proprietà terriere realizzato dai Romani nell’ampio golfo spezzino e correlato al vicino porto della colonia di Luni (che dovremo assolutamente visitare alla prossima occasione!). La villa era parte integrante di un grande fondo agricolo di circa 30.000 metri quadrati coltivato a oliveto, forse anche con zone boschive e di pascolo. Le indagini archeologiche hanno messo in luce un grande complesso con approdo privato sul mare, che riuniva le caratteristiche tipiche della villa rustica e della villa marittima “d’otium” e che ebbe lunga vita, tra la fine del II secolo a.C. e il VI secolo d.C. (ma Giordano ci svela che, al di sotto di questa villa, gli archeologi hanno trovato i resti di una costruzione risalente al II secolo a.C. – bisognerà progettare uno spazio che renda visibile anche questa, con i suoi bellissimi pavimenti, completamente interrata sotto ciò che stiamo visitando). Agli inizi del V secolo d.C., l’innalzamento del livello marino e dell’acqua di falda rese malsano e poco sicuro il sito, e la villa viene abbandonata. Attorno all’anno 1000, i ruderi della villa, utilizzati per terrazzamenti per nuove attività agricole, furono acquisiti dai monaci, che continuarono lo sfruttamento agricolo del sito.

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Partiamo dagli enormi ambienti della grande cisterna voltata a due navate, un imponente serbatoio d’acqua intonacato con malta idraulica per far fronte ai problemi di umidità (i Romani erano decisamente tecnologicamente avanzati!). Le prossime sorprese continuano nella parte adibita alle attività produttive, dove troviamo i resti di ciò che era dedicato alla lavorazione delle olive e allo stoccaggio dell’olio. Organizzata secondo i precetti di Catone, questa realtà era costituita dall’impianto delle macchine per la spremitura e dalla grande cella olearia che doveva contenere almeno 50 (enormi) giare, che poi venivano vuotate trasferendo l’olio all’interno di giare più piccole e facilmente trasportabili e stoccabili sulle navi in attesa nel vicino porto. Il mare, infatti, era molto più vicino alla villa di quanto lo sia attualmente: non dimentichiamo che si trattava di una villa al mare, quindi con affaccio direttamente sulla costa, con una posizione perfetta anche per il commercio.

Eccezionalmente conservato è il locale dei torchi, dove sono alloggiate due presse olearie del tipo più antico descritto da Catone, che veniva azionato da leve e funi. Il pavimento originale dell’epoca è ancora ben visibile e ci sorprende per lo stato di conservazione: è in cotto, a listarelle, e Giordano ci spiega che era particolarmente poroso perché doveva assorbire l’unto che poteva derivare dalla lavorazione e dal trasporto dell’olio. Troveremo lo stesso pavimento anche nei locali dedicati alla cucina, con la stessa geniale funzione. Oltrepassando la cucina, continuiamo la visita con Giordano nella parte residenziale.

Partiamo dalle terme: un lussuoso balneum padronale con gli ambienti termali (sauna, calidarium e tepidarium) disposti intorno ad una grande vasca con fontana, in cui si possono vedere ancora i sedili, le nicchie per le statue (ne è stata rinvenuta una, probabilmente raffigurante la dea Igea, figlia del dio della medicina Asclepio), i canali di scolo. Vediamo anche le latrine, a testimonianza della ricchezza della villa, confermata ulteriormente negli ambienti della domus: le stanze sono piccole, ma hanno ancora tracce di pavimenti decorati con meravigliosi mosaici che affascinano e sorprendono ancora per la finezza e l’eleganza. Sono un tesoro magnifico che va scoperto e ammirato, ma anche tutelato con la massima cura. Giordano ci parla delle nuove tettoie che il Ministero dovrebbe finanziare per preservare questa ricchezza, che speriamo di riuscire a lasciare in eredità anche alle generazioni future.

Passiamo dall’altra parte della villa, dove troviamo quella che ora sembra una piccola stanza, ma che in realtà era un “tablinium” vista mare: qui il padrone di casa e la sua famiglia intrattenevano ospiti e clienti stando comodamente sdraiati sui triclini e sbocconcellando qualcosa mentre si godevano una splendida vista sulla costa. La sorpresa finale sta in ciò che resta del mosaico che decorava il pavimento: una splendida testa di donna fa capolino da secoli di storia, raccontando di meraviglie di tempi antichi che il lavoro appassionato di squadre di archeologi ha saputo regalarci. Riempio Giordano di domande mentre ci riaccompagna alla biglietteria per mostrarci l’unica pubblicazione non accademica che possiamo trovare sulla vita nella villa romana (consiglia di comprarlo in edicola a Le Grazie oppure su Amazon, cosa che ho prontamente fatto!), poi torniamo a piedi all’auto ancora incantati dalla sorpresa della visita.

Il viaggio di ritorno è sereno, e arriviamo a casa entusiasti per le meraviglie che abbiamo visto in questa bellissima giornata di mare e di archeologia nella splendida Portovenere.





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