È giusto raccontare gli episodi della Bibbia ai bambini delle scuole elementari? Il dibattito si è scatenato dopo che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato le novità contenute nelle indicazioni nazionali che entreranno n vigore nell’anno scolastico 2026-27 e va oltre la lettura della Bibbia ma investe l’insegnamento della storia e il declino dei saperi umanistici. È il tema affrontato nel saggio Università addio (Rubbettino) pubblicato a fine gennaio e curato proprio da alcuni dei componenti della commissione incaricata di rivedere le indicazioni nazionali, da Ernesto Galli Della Loggia a Loredana Perla che ne è la presidente.
Anche lo storico Giovanni Belardelli è fra i curatori del volume e ha lavorato nella sottocommissione che si è occupata delle indicazioni sulla storia. È lui a spiegare che lo scontro in corso va oltre la Bibbia.
Secondo il ministro Valditara la Bibbia nelle scuole non va considerata con un approccio religioso ma come un pilastro della storia culturale e letteraria dell’Occidente. È stato questo il vostro suggerimento?
«Direi di sì. Possiamo forse sostenere che la Bibbia non sia un pilastro della cultura occidentale? Se qualcuno è di quest’idea sarei interessato a parlargli. Mi pare quasi ovvio sostenere che la Bibbia, l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, tutte da noi indicate, sono le grandi narrazioni fondative della nostra cultura. Le indicazioni nazionali sono indicazioni, in questo caso indicano questi testi come esempi da fare ai bambini all’inizio delle elementari. Capisco che nei confronti di un’affermazione rilasciata durante un’intervista gli equivoci siano a portata di mano ma non c’è nulla di confessionale nelle indicazioni, non siamo impazziti».
Eppure la polemica è esplosa comunque e il ministro Valditara è stato accusato di voler far crescere una nuova generazione di fervidi credenti.
«Sono stato di recente alla mostra di Guercino alle Scuderie del Quirinale. I quadri erano in gran parte di argomento religioso o biblico. Penso che molti giovani oggi rischiano di non comprendere più ciò che viene raffigurato in quei quadri, che si tratti di una Annunciazione o di un dipinto che raffigura Adamo ed Eva».
Come sarà organizzato l’insegnamento della Bibbia?
«Lo deciderà l’insegnante che utilizzerà i testi e gli episodi che gli sembreranno più utili per la sua didattica. Noi abbiamo soltanto scelto di dare questa indicazione di una forma molto semplificata per evitare malintesi soprattutto in relazione all’età dei bambini a cui è riferita».
Ci sono state discussioni all’interno della commissione su questa parte delle indicazioni?
«Nessuna discussione».
Don Milani era profondamente contrario all’insegnamento della Bibbia a scuola. Riteneva che fosse più corretto parlarne la domenica prima della Messa.
«Non c’entra nulla, non abbiamo consigliato di far leggere la Bibbia. Il racconto che se ne farà in classe sarà deciso dall’insegnante in base alla sua sensibilità. L’obiettivo è anzitutto quello di dare ai più piccoli la percezione del fatto che è esistito il passato, di cui la storia è il racconto, attraverso le più antiche narrazioni della loro civiltà ma anche facendoli familiarizzare con l’ambiente in cui vivono, a partire da quello che è vicino a loro. Bisogna portarli nelle loro città, dove c’è il palazzo comunale, il duomo, vestigia romane o greche e così via. I bambini dovranno iniziare a comprendere la profondità del tempo e, all’interno di questo percorso, in forma favolistica verranno raccontati gli episodi della Bibbia; l’unico modo in cui si può essere ascoltati e compresi da bambini così piccoli».
Tra le critiche c’è anche quella di chi ha osservato che se si legge la Bibbia allora va letto anche il Corano.
«Le pare che si possa sostenere che il Corano faccia parte delle radici della cultura occidentale? Così come non ne fa parte l’epopea di Gilgamesh. Se poi l’insegnante vuole allargare la sua lezione non è vietato. Noi abbiamo solo fornito alcuni esempi. Dobbiamo tenere conto anche di un altro elemento».
Quale?
«Dietro le nostre indicazioni c’è un’idea che riguarda i bambini piccoli ma riguarda anche gli anni successivi nell’approccio con la storia, che non può essere insegnata separata dalla narrazione. È la parola dell’insegnante che racconta, e raccontando spiega, la storia. Anche appoggiandosi al libro di testo naturalmente, ma senza pensare che bambini e ragazzi debbano loro stessi maneggiare la “cassetta degli attrezzi” dello storico, fare i piccoli storici insomma, come spesso si è sostenuto in passato. Chi lo ha sostenuto lo ha fatto nel quadro dell’idea, totalmente errata a giudizio mio e degli storici che hanno elaborato queste nuove indicazioni, che ciò che è veramente importante è il come non il cosa si insegna. Per noi è invece importante tornare ai fondamentali, porre di nuovo al centro i contenuti di una disciplina. Viviamo in una società in cui le nuove generazioni stanno perdendo la dimensione del passato per vivere interamente nella rete e nei social in cui esiste solo un tempo, il presente. Questi fenomeni dovrebbero essere contrastati ma, se non lo fa la scuola, chi lo fa?».
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