L’integrale dei concerti per pianoforte di Beethoven firmata da Alexander Lonquich

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Il pianista tedesco accompagnato dai Münchener Kammerorchester ha inciso l’integrale beethoveniana per ECM

Ha già la statura di un ascolto destinato a rimanere nel tempo e ad aggiungersi agli irrinunciabili, ultima testimonianza di uno degli interpreti che – lo diciamo da decenni – maggiormente e più a fondo hanno inciso nell’ultimo mezzo secolo di storia musicale. In questo prezioso esito discografico firmato ECM, attraverso il corpus dei cinque Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven, Alexander Lonquich – che dell’odierna Mantova musicale è indispensabile linfa propulsiva e instancabile ispiratore, con le sue ormai innumerevoli partecipazioni alle Stagioni di Tempo d’Orchestra e di Trame Sonore – è più che mai musicista totale: esecutore, direttore, architetto, fabbriciere. Il risultato è un inno alla vita, tra ineffabile bellezza e angoscianti ombre notturne, tra incanto e disincanto, ordito con la complicità sottilissima dei Münchener Kammerorchester.

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Concepiti tra il 1790 e il 1809, questi cinque monumenti consentono, in filigrana, di sbirciare non solo nell’esistenza di un uomo, nella lente della sua mirabile evoluzione stilistica, ma anche nell’anima della grande Storia, osservata dal cielo di Vienna in quegli anni cruciali tra Rivoluzioni e Restaurazione. Dal dittico dei primi due, rispettosamente invertiti nell’ordine di esecuzione, ancora intrisi di umori mozartiani e haydninani ma già pronunciati nel gusto spigoloso, battente, a tratti ruvido, delle contrapposizioni, dei chiaroscuri materici sotto linee di alabastro, via via, verso il crepuscolo e la pece del Terzo, per poi risalire verso l’estatica visione del Quarto, con quell’incipit svaporante, affidato al pianoforte che sovverte, in punta di piedi, le etichette e conduce verso le sublimi vedute delle ultime opere, per approdare infine allo zenith del Quinto. In questi territori, da sempre, Lonquich è solito muoversi portando l’orchestra nel pianoforte e cercando il pianoforte nei colori delle sezioni orchestrali. Una compenetrazione assoluta nel cui tessuto il pianista tedesco, ormai italiano d’adozione, si muove come un sonnambulo o, meglio, come un veggente: ad occhi chiusi, con l’inarrivabile naturalezza di chi attraversa mondi ancestrali che sembrano prendere corpo e contorno di fronte ai nostri occhi, vivi, crepitanti, pronti a disvelare, insinuare, turbare.

Li avevamo ascoltati, questi Cinque Concerti, in piena pandemia, in una memorabile domenica, al Teatro Sociale, con l’Orchestra di Mantova gioiosamente comprimaria di una folle journée poi replicata e trasmessa in streaming dal Fraschini di Pavia. Ora, in questa incisione Lonquich, insieme alla compagine bavarese trascinata dal magnifico Daniel Geglberger, sfoggia il cristallo smerigliato di quella sua articolazione che, ancor prima che pronuncia, è da sempre sguardo con cui sonda nelle profondità di ogni frammento musicale e ne fa strumento di verità, di interlocuzione. E si diverte, in un gioco sagace, ad esplorare, in questi paesaggi, i richiami segreti delle voci interne, le sorprendenti pieghe segrete, l’inatteso tuffo al cuore di frasi su cui la narrazione si interrompe per un attimo, esitante, per poi rituffarsi nel suo spericolato galoppo. Un Beethoven al quadrato, aureo nello scalpello dei suoi inquieti fraseggi, austero ma già scalpitante nel solco tracciato dai Maestri sommi, già pronto ad esondare in un piglio improvvisativo che ne sollecita la materia, ne punge il tessuto con gli accenti inattesi di sincopi mordaci, con arditi squarci nella tela delle armonie, con un’ironia non di rado feroce con cui si fa largo e, di Concerto in Concerto, spinge lo sguardo più in alto, verso il radioso Mi bemolle che pervade, araldico, vittorioso, il Quinto Concerto nelle cui ampie campate l’estro, il bizzoso e l’imprevedibile cedono, avvinti di fronte all’enunciato di una nuova Umanità. Nemmeno vent’anni. Ma a guardarli da quella vetta, in retrospettiva, sembrano una vita.

Ludwig Van Beethoven

Concerti per pianoforte e orchestra


Münchener Kammerorchester

Alexander Lonquich

ECM

 





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