COSENZA L’ex pm che voleva sradicare la masso-mafia politica e l’ex gran maestro che lasciò la massoneria per le troppe infiltrazioni criminali si trovano d’accordo nell’insolito sabato sera di Cosenza: in una delle città a più alta incidenza massonica (con la monumentale sede del Grande Oriente d’Italia in via Trento a “sfidare” idealmente il Palazzo della democrazia elettiva) il pubblico riempie la libreria Ubik per la presentazione del libro di Luigi de Magistris “Poteri forti” (Fazi Editore, 2024), alla presenza di Giuliano Di Bernardo. «Un dialogo senza precedenti» esordirà l’autore del volume.
Stimolati dalle riflessioni dei giornalisti Claudio Cordova e Saverio Di Giorno, i due raccontano da angolature ed esperienze diverse le fasi più controverse della vita repubblicana e la stagione delle stragi e del terrorismo, dell’ingerenza degli Usa per frenare l’avanzata del Pci e del ruolo di destra eversiva e servizi segreti deviati nei misteri della storia d’Italia: Banca dell’Agricoltura, Piazza Fontana, caso Moro, stazione di Bologna, stragi di Falcone e Borsellino, trattativa Stato-mafia.
Il sottotitolo del volume da cui parte la riflessione serve a indirizzarne il senso: «Dalla P2 alla criminalità istituzionale: il golpe perenne contro Costituzione e democrazia». Quasi due ore di dibattito per coprire l’arco temporale che dallo sbarco degli americani in Sicilia durante la seconda guerra mondiale porta al decreto sicurezza – contro cui nel frattempo si manifesta nella vicina piazza XI Settembre – passando per due inchieste “tolte” ad altrettanti magistrati: quella di Agostino Cordova su massoneria e mafia e, appunto, quella di de Magistris sulla presunta cupola trasversale che muoveva i fili della Calabria a inizio millennio.
Laboratorio Calabria
Cosa sono i poteri occulti? De Magistris parte dalla definizione secca: «Poteri esercitati da personaggi con ruoli di primo piano nella vita pubblica e istituzionale o nelle professioni, uniti da legami affaristici e in alcuni casi criminali: gente che utilizza i propri ruoli per ratificare decisioni prese altrove. Questi poteri sono all’origine del più grande tradimento della vita democratica del nostro Paese, tra bombe, tentativi di golpe e laboratori criminali come quello presente in Calabria. La criminalità istituzionale – afferma de Magistris – è quella che raggiunge i suoi obiettivi usando i suoi proiettili fatti di carta da bollo e sfruttando il silenzio, che favorisce la ‘ndrangheta».
L’ex pm, poi sindaco di Napoli con un movimento civico di ispirazione sinistrorsa e anche candidato alla presidenza della Regione Calabria, parla di «un fiume di denaro pubblico che negli anni ha portato in Calabria una sorta di Pnrr, gestito da un laboratorio criminale che ha operato sotto il cappello dell’emergenza a danno del popolo calabrese: un patto tra grandi aziende del nord, politica romana e locale sia di centrodestra sia di centrosinistra e, appunto, poteri occulti. La più potente e raffinata strategia non di collusione con lo Stato ma di conquista, di penetrazione in tutta Italia: oggi sono le cosche di ‘ndrangheta a servirsi delle istituzioni e non viceversa, i figli dei boss studiano all’università e non servono attentati altrimenti si scatena la reazione del popolo con le lenzuola dai balconi».
Nel racconto di de Magistris anche figure controverse come quella di Giancarlo Pittelli e Giuseppe Chiaravalloti, «appena santificato» in mortem da ogni parte politica: riecheggiano i nomi dei protagonisti della Calabria politico-giudiziaria di vent’anni fa, quella che fa dire all’ex pm senza mezzi termini che «ai miei ripetevo che fuori dal Palazzo di giustizia eravamo tranquilli, era dentro la Procura che dovevamo guardarci le spalle…».
Giuseppe Valentino nello studio di Paolo Romeo
Nella vasta aneddotica demagistrisiana spicca il racconto ambientato nello studio reggino di Paolo Romeo, condannato in primo grado nel processo “Gotha” e legato a quella che l’ex pm definisce «una cupola masso-politica mafiosa neofascista strettamente connessa con Avanguardia Nazionale»: una cimice intercetta il dialogo di Romeo con l’ex sottosegretario alla Giustizia con Berlusconi, oggi in FdI e di recente proposto anche per la vicepresidenza del Csm, «sembra la famosa lettera di Totò e Peppino se non fosse che Romeo dice a Valentino quello che deve dire il giorno dopo all’inaugurazione dell’anno giudiziario…».
«Un centro di potere riconosciuto dagli Usa»
Di Bernardo, per arrivare ai motivi che lo portarono a lasciare il Grande Oriente d’Italia per fondare una nuova loggia (sul sito del Goi risulta «espulso» e la sua pagina è bianca) parte invece da figure come Lucky Luciano e Calogero Vizzini decisive nello sbarco degli alleati nella Sicilia «controllata da mafia e massoneria. L’artefice di questo progetto – racconta – era Frank Gigliotti, membro della Oss, l’organizzazione che ha preceduto la Cia, ai vertici del rito scozzese antico ed accettato nonché fiduciario della mafia di New York. Il progetto degli Usa è asservire l’Italia al loro credo politico per fronteggiare eventuali attacchi dell’Unione Sovietica: e per fare questo si sceglie il Goi, che ottiene il riconoscimento delle grandi logge del Nordamerica. La nascente Italia si crea così: gli Stati Uniti ringraziano mafia e massoneria piazzando determinati personaggi ai vertici dello Stato».
Altra figura determinante nel racconto di Di Bernardo è Giordano Gamberini, che dal 1961 “riforma” il Grande Oriente d’Italia attuando le volontà degli Usa: riconoscimento inglese e avvicinamento con la Chiesa. «Il Goi diventa la longa manus per l’esercizio del potere americano in Italia, e il centro di potere che esegue gli ordini del governo americano è la P2, loggia di appartenenza del gran maestro Gamberini, che delega Licio Gelli a rappresentarlo prima da segretario poi da maestro venerabile».
La P2, la Calabria e l’inchiesta di Agostino Cordova
Di Bernardo racconta che Gelli riorganizza la loggia perché servivano «bracci armati»: «Se riuscissimo a vedere il vero elenco della P2 vi troveremmo tutti i capi della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra. Io ho fotocopiato dei documenti dall’archivio del Goi e posso affermare che la P2 non è una loggia deviata, per questo invito il gran maestro del Goi ad abbandonare il suo negazionismo per risolvere questi problemi e uscire dalle nebbie».
Il tema delle infiltrazioni criminali nelle legge massoniche è strettamente legato all’inchiesta di Agostino Cordova. Di Bernardo racconta così la propria esperienza: «Oltre trent’anni fa, quando fui obbligato a fare “campagna elettorale” per diventare gran maestro, in Calabria fui accompagnato dal gran maestro aggiunto Ettore Loizzo e fu lui stesso a dirmi “qui non andiamo perché ci sono infiltrazioni della ‘ndrangheta…”. Sul momento non diedi tanta importanza a quelle frasi e pensai che me ne sarei occupato nel caso fossi stato eletto».
Di Bernardo viene eletto. «Visito le circoscrizioni regionali e il numero uno di Palermo, l’avvocato Massimo Maggiore, durante l’Agape (rituale del Rito Scozzese Antico ed Accettato, ndr) mi chiama in disparte e mi dice dove non andare, per gli stessi motivi: Campobello di Mazara», ultimo nascondiglio di Matteo Messina Denaro.
Nel settembre 1992 inizia l’inchiesta di Cordova sulla massoneria e in particolare sul Goi, «ma io – racconta l’ex gran maestro – già a giugno, da Londra dove mi trovavo per la celebrazione dei 275 anni dalla fondazione della massoneria inglese, fui convocato a Vienna da 23 gran maestri europei e statunitensi, i quali erano stai informati da ambasciate e servizi segreti e mi dissero: abbiamo la certezza che nel Goi si sta per determinare qualcosa di più negativo della P2 a causa delle infiltrazioni criminali, e questo sarebbe un danno per tutta la massoneria mondiale. Così, tornato a Roma convocai la giunta e dopo aver riferito quella notizia mi sentii rispondere: è impossibile! Nessuno mi credette, da allora mi sono trovato solo e hanno cominciato ad attaccarmi per costringermi alle dimissioni».
Gli elenchi dei massoni nel computer imbavagliato
Cordova chiese a Di Bernardo l’elenco dei massoni calabresi, «molti erano coinvolti in reati – racconta l’ex gran maestro – e io non ho avuto difficoltà a fornirglieli perché così mi avrebbe fatto un favore per poterli eliminare. Ma quando mi chiese l’elenco di tutti i massoni d’Italia gli risposi che non avevo l’autorità per farlo, gli risposi “torni con un mandato di perquisizione e di sequestro” e così fece: imbavagliò il mio computer e mise due carabinieri a guardia. Dall’analisi di quegli elenchi risultavano collegamenti con le regioni del nord, e la sua intuizione fu proprio quella di aver prefigurato la presenza della ‘ndrangheta nel settentrione».
Il racconto continua con una nuova convocazione della giunta, organo di governo del Goi, e con Di Bernardo che informa tutti i vertici calabresi «guardandoli negli occhi: al più autorevole di loro, Ettore Loizzo, chiesi di dirmi la verità e lui mi confermò che la gran parte delle logge calabresi è infiltrata dalla criminalità. Potevo sopportare anche il traffico d’armi, ma quello no! Avrei voluto togliere le impurità ma il mio progetto trasparenza è fallito miseramente: ero solo contro tutti e potevo solo andarmene. Eppure tutto quello che ho detto allora, oggi si è realizzato. La cosiddetta “massoneria democratica” è una contraddizione in termini, quella tradizionale – iniziatica ed esoterica – è finita nel 1918».
E cosa ne fu dell’inchiesta di Agostino Cordova? «Gli fu tolta e passò alla Procura di Roma, da dove mi chiamarono dicendomi “non abbiamo il tempo per guardare tutti quei documenti nello scantinato…”. L’inchiesta verrà archiviata».
«Costituzione battito cardiaco dell’Italia»
Chiudendo l’interessante incontro, de Magistris ha gioco facile nel suggerire il parallelismo tra la sua attività d’indagine e quella di Cordova, per la fine che le due inchieste calabresi fecero: «Nel porto delle nebbie». Un ultimo aneddoto: «Un anno e mezzo fa – ricostruisce l’ex pm – durante un’udienza di Rinascita Scott, Pittelli, iscritto al Goi, mi attribuisce l’origine dei suoi mali, nel 2007: io avrei inventato l’esistenza delle massomafie suggestionando poi i collaboratori. Il mio torto? Un collega, mentre preparavo gli scatoli per lasciare il mio studio, sarebbe stato quello di essermi messi contro vertici di potere e logge colluse: aggiunse che questi poteri mi avrebbero seguito per sempre. Oggi per descrivere i “poteri forti” non parlo di apparati deviati perché non parliamo di funzionari ma di vertici… si è tutto ribaltato e i deviati semmai siamo noi» sorride l’ex pm. «Viviamo in una democrazia apparente ma la Costituzione può essere il faro contro ogni potere criminale: non è un libro ma il battito cardiaco dell’Italia». (e.furia@corrierecal.it)
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