Caso Gambirasio, l’avvocato Claudio Salvagni: “L’incubo giudiziario di

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L’avvocato Claudio Salvagni, difensore di Massimo Bossetti, operaio edile di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, è intervenuto nella trasmissione Fatti di Nera su Cusano Media Play, ribadendo le gravi perplessità sulla gestione del caso e denunciando l’assenza di un vero contraddittorio sulla prova decisiva: il DNA.

Noi possiamo osservare e verificare innanzitutto se esistono tutti i reperti raccolti, fare un elenco di ciò che ci viene sottoposto e confrontarlo con tutto ciò che è stato indicato nella fase delle indagini. Dobbiamo capire se sono stati persi dei reperti o se alcuni elementi non sono mai stati presi in considerazione. Questo sembra un dettaglio di poco conto, ma ha un’importanza enorme” ha dichiarato l’avvocato, aggiungendo: “Già tempo fa abbiamo potuto osservare alcuni reperti fondamentali, gli slip, i leggings, la felpa di Yara. Sono stati conservati correttamente, sigillati in buste, e già a occhio nudo si possono individuare tracce che potrebbero restituire risultati interessanti dal punto di vista del DNA. Come ha stabilito la Cassazione, il primo passo è l’osservazione, ma resta ferma la possibilità di procedere con un’analisi successiva. Serve però una formalizzazione precisa: bisogna stabilire cosa cerchiamo, come vogliamo trovarlo e quali strumenti vogliamo usare.”

Salvagni ha poi messo in evidenza quello che ritiene essere il vero vulnus del processo: l’assenza di un confronto sulla prova scientifica: “Qual è il problema di questo processo? In un sistema accusatorio la prova si forma nel dibattimento, nello scontro tra accusa e difesa. Qui questo non è mai avvenuto. L’unico elemento su cui si basa la condanna di Massimo Bossetti è la prova del DNA. Ma lui su questo punto non ha mai potuto difendersi. Gli è stato detto: ‘Abbiamo trovato il DNA, per noi è il tuo, ci devi credere e basta’. Gli è stato chiesto di fare un atto di fede. La difesa ha sempre chiesto un nuovo test, in contraddittorio, per dimostrare che si tratta di un errore. Eppure, questa richiesta è stata sistematicamente negata. Ora, pensiamo a un caso ipotetico: se ognuno di noi fosse accusato di un omicidio sulla base di una traccia di DNA e sapesse di essere innocente, quale sarebbe la prima cosa che farebbe? Chiedere di ripetere il test. È l’unica strada possibile. E invece a Bossetti questo è stato impedito. Perché? Perché il dubbio che quel DNA non sia il suo esiste, eccome. Per una serie di motivi. Perché è una prova contraddittoria, perché è stata raccolta e analizzata violando le best practices internazionali, perché i risultati ottenuti sono incredibili sotto il profilo scientifico. Qui manca la scienza. Eppure, per le corti italiane questo non ha avuto importanza. L’importante è scrivere nella sentenza che è stata raggiunta una ‘verità oltre ogni ragionevole dubbio’. Ma io chiedo: se la scienza non sa dare una risposta chiara, possiamo accettare una condanna basata su questo?”

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L’avvocato ha poi attaccato l’informazione che ha circondato il caso: “In questo processo l’informazione non è stata corretta. Anzi, è stata drogata da suggestioni, notizie false, esaltazione di alcuni elementi che poi si sono rivelati inconsistenti. Ricordiamo tutti il famoso video del furgone, montato ad arte per esigenze di comunicazione dal RIS. Di fronte a una manipolazione del genere, il processo andava fermato. Era necessario dire: ‘Scusate, ripartiamo da capo perché c’è qualcosa che non torna’. E invece no. Si è andati avanti, con un’informazione a senso unico. Pensiamo all’arresto di Massimo Bossetti: è stato prelevato con 40 uomini della Polizia Giudiziaria. Per fare un confronto, Matteo Messina Denaro è stato arrestato con appena tre agenti che lo accompagnavano in macchina. Un’operazione spettacolarizzata a dismisura. Perché? Cosa si voleva mostrare? E soprattutto: perché si è voluto tenere all’oscuro il pubblico su tanti aspetti di questo processo? La serie Netflix che ha raccontato il caso ha contribuito forse a fare un po’ di chiarezza, perché ha portato alla luce i fatti realmente avvenuti in aula. Fatti che non sono mai stati trasmessi in TV, perché all’epoca non era nemmeno consentito portare un registratore in tribunale. Ma la domanda più importante resta: perché non viene fatto rifare il test del DNA? La risposta è semplice: perché c’è qualcosa da nascondere. E da nascondere c’è moltissimo.”

Salvagni ha poi voluto ribadire il massimo rispetto per la vittima e la sua famiglia, ma ha insistito sulla necessità di avere un colpevole vero in carcere: “Massimo Bossetti non si è mai potuto difendere. L’unica cosa che andava fatta, non è stata fatta. Ecco perché questo caso è ancora così vivo. Io dico: ben venga l’informazione, ma solo quando è oggettiva, quando non si basa su narrazioni costruite sulla pancia, ma su un ragionamento critico. Se esiste la giustizia, dobbiamo crederci. Altrimenti dovrei cambiare lavoro. Io credo ancora nella giustizia e spero che il lavoro che stiamo facendo possa portare alla revisione del processo. È una strada lunga e complessa, ma è l’unica possibile.”

Infine, Salvagni ha parlato della condizione attuale di Bossetti in carcere: “Massimo ha trovato una nuova dimensione all’interno del carcere: partecipa a concorsi letterari, scrive poesie, risponde a tutte le lettere che gli arrivano, lavora e ha persino ristrutturato un’intera area destinata alla produzione industriale. Ma c’è un aspetto che voglio sottolineare: dopo oltre dieci anni di carcere, Massimo Bossetti potrebbe iniziare a richiedere alcuni benefici di legge, come permessi o riduzioni di pena. Eppure, non vuole nulla di tutto questo. Sapete perché? Perché ha sempre detto: ‘Fate il test del DNA. Se risulterà che sono colpevole, buttate via la chiave. Ma se emergerà che c’è stato un errore, lasciatemi tornare a casa mia’. È una richiesta cristallina, di una semplicità disarmante. Ma nessuno ha mai voluto accoglierla. E questo dovrebbe farci riflettere.”



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