Il cortocircuito delle università: stipendi più alti per i dg, meno soldi per la ricerca. I sindacati: “Ingiustizia”. E pure i rettori battono cassa

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Aumentano gli stipendi dei direttori generali, crescono le richieste dei rettori sui loro compensi, ma il resto dell’università rimane a secco. È un doppio binario quello seguito dalle retribuzioni di chi lavora nel mondo degli atenei. Due gli interventi recenti: da un lato l’adeguamento dei salari dei direttori generali per il periodo 2024-2027, maggiorati del 6%, dall’altro la revisione al rialzo chiesta dai rettori per le indennità da aggiungere alla retribuzione mensile, che in alcuni casi arriverebbero a quadruplicarsi. “Scelte che possono apparire legittime ma nel frattempo la maggioranza dei lavoratori negli atenei sta subendo un’ingiustizia e la ricerca è sempre più povera”, dice a ilfattoquotidiano.it la segretaria generale di Flc Cgil Gianna Fracassi. A piegare il settore sono i mancati rinnovi dei contratti del comparto Istruzione e Ricerca, i tagli al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), passato da 9 miliardi e 544 milioni nel 2023 a 9 miliardi e 31 milioni nel 2024, e l’assenza di un contratto collettivo nazionale per assegnisti di ricerca e dottorandi. “È vergognoso”, dice a ilfattoquotidiano.it Carlo Castellana, coordinatore nazionale della federazione Gilda Unams, mentre per il segretario dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi) Davide Clementi a farne le spese sono le fasce già penalizzate: “Quello dei ricercatori – spiega – è un precariato senza fine”.

Gli aumenti per direttori generali – I direttori generali degli atenei, figure che organizzano servizi e strumenti per il personale tecnico amministrativo su linee guida fornite dal consiglio di amministrazione, vedranno i loro stipendi aumentare del 6%. Lo stabilisce l’adeguamento appena approvato dal ministero dell’Università e della Ricerca, che deve ancora essere validato con decreto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, ma che sembra certo. La revisione dei compensi si baserà sugli importi retributivi stabiliti dal decreto ministeriale 194/2017 a cui è stato aggiunto un incremento in base ai rinnovi degli anni successivi. La normativa prevede che il direttore generale riceva una remunerazione composta da uno stipendio e una retribuzione di risultato. Quella legata allo stipendio è assegnata su sei fasce di trattamento (la prima è la più alta, la sesta la più bassa) fissate per legge su quattro parametri: il Ffo ricevuto nell’anno precedente, il numero di dipendenti di ruolo in servizio nell’anno precedente, gli studenti in corso e la presenza di un corso di laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia o di residenze universitarie a gestione interna. Sulla base di questi criteri, secondo stime diffuse da Open, il direttore generale del Politecnico di Milano, per esempio – che percepisce un salario tra i più alti, di circa 216.500 euro -, conoscerebbe un aumento di circa 13mila euro, quello dell’Università per Stranieri di Siena, tra i meno remunerati, vedrebbe crescere di 6mila euro lo stipendio attuale, pari a quasi 100mila euro. La spesa per i compensi dei direttori generali degli atenei italiani passerà da circa 9 milioni e 720mila euro a 10 milioni e 306mila euro in totale: un aumento di quasi seicentomila euro. Della retribuzione di risultato non si è ancora trattato, ma la normativa prevede aumenti fino al 20% in proporzione agli obiettivi raggiunti, che si sommerebbero alla remunerazione da salario.

Le indennità per i rettori – Accanto agli stipendi dei direttori generali potrebbero lievitare anche i compensi di alcuni rettori in aggiunta allo stipendio di base, già rivisto con i rinnovi per i docenti. Secondo Il Sole 24 Ore, su 67 università pubbliche, almeno da 30 uffici rettorali sono arrivate domande di aumento delle indennità, che andrebbero da un minimo di 13mila euro per il rettore dell’Università di Catania a un massimo di 101mila euro per il magnifico di Roma Tre. La più discussa delle pretese viene dall’Università di Genova, il cui rettore, Federico Delfino, ha chiesto che la sua indennità fosse di 116 mila euro, portando il suo compenso da circa 40mila a 160mila euro, perché l’ateneo ha riscontrato una “costante riduzione” dei costi in bolletta. Contro queste istanze, oggi inevase, si è schierata anche la titolare del Mur Anna Maria Bernini, che in occasione degli Stati generali dell’Università, a fine 2024, ha detto ai rettori che i desideri possono essere esauditi solo se “il bilancio dell’ateneo lo rende possibile”, come a dire che nessuna università in crisi avrebbe potuto contemplare compensi vertiginosi dei suoi amministratori. “Indigna che se ne parli mentre il comparto contrattuale scuola, università e ricerca sta vivendo una fortissima sofferenza economica – dice il coordinatore di Gilda – per aumentare gli stipendi ai direttori si attinge ai risparmi degli atenei, gli stessi che non vengono usati nemmeno per incrementare il salario accessorio degli altri dipendenti, bloccati da otto anni”. Per i sindacati, il problema non è il rinforzo in busta paga dei vertici, ma che questo non si accompagni a provvedimenti per il personale sottostante.

Tecnici e ricercatori dimenticati – A dicembre è scaduto il contratto 2022-2024 per il comparto Istruzione e Ricerca, che per l’università si applica a tutto il personale non docente (tecnici, amministrativi e collaboratori esperti linguistici). Per loro nella legge di bilancio 2025 è stato stanziato un aumento dello 0,22%, che sommato ai fondi della legge di bilancio precedente ha portato a rialzi degli stipendi del 6% (è un caso che la percentuale sia la stessa dei rialzi per i direttori generali). Secondo il dossier “Investire in Istruzione e ricerca per far ripartire il Paese”, presentato il 21 gennaio da Flc Cgil, questo si traduce in media in 145 euro lordi in più al mese. “Aumenti irrisori, che non tengono conto dell’inflazione relativa al triennio 2022-2024, che ha superato il 17% e dell’erosione dei salari”, spiega la segretaria generale Fracassi. La preoccupazione dei sindacati è per il sistema universitario nel suo complesso. Nel 2024 il governo ha ridotto di 500 milioni di euro il Ffo e la ricerca si sta lentamente spegnendo. “È giusto che i ruoli di responsabilità siano riconosciuti da retribuzioni adeguate, ma oggi questi incrementi sono in contraddizione con il mondo precario dell’Università”, dice a ilfattoquotidiano.it Davide Clementi, segretario nazionale dell’Adi. A risentire dei tagli continui sono dottorandi e ricercatori precari, che non hanno contratti ma borse di studio e assegni di ricerca. “Il dottorato oggi vale il 9% in meno che nel 2008, la retribuzione media è di 1.200 euro al mese – dice Clementi – e il quadro potrebbe diventare drammatico con la riforma del preruolo, contro cui abbiamo presentato un esposto alla Commissione Ue”. Secondo l’ultima indagine Adi, il 15% dei dottorandi non arriva a fine mese, e malgrado non abbia prospettive né stabilità economica un quarto lavora più di 45 ore a settimana.



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