Parliamo dell’ennesima violazione della privacy operata da spezzoni degli apparati di sicurezza del Paese. Paragon è una società israeliana, peraltro fondata da un ex premier laburista di Tel Aviv, Ehud Barak, che ha elaborato un software molto sofisticato, capace di entrare nei sistemi operativi dei nostri telefoni silenziosamente, senza nessun click da parte nostra. L’estrema potenza di questi sistemi ha portato la società produttrice a venderli solo a organismi governativi. Fra i più affezionati clienti di Paragon, ci sono i servizi di sicurezza italiani, e anche spezzoni della magistratura, alcune procure. Si tratta di apparati delicati a cui, benché la cosa non possa che suscitare un certo sarcasmo, gli israeliani impongono un codice etico che vincola questi dispositivi così intrusivi a un uso finalizzato alla difesa nazionale, ossia per controllare soggetti pericolosi, dal punto di vista terroristico o della criminalità organizzata.
Qualche settimana fa, si è scatenato un singolare gioco a chi è più virtuoso fra Meta, la società di Facebook proprietaria anche di WhatsApp, e la stessa Paragon. La prima avrebbe rilevato nel traffico sulla sua piattaforma dei comportamenti illegali nei confronti di una novantina di utenti, sette dei quali italiani. Le minacce provenivano da strutture del nostro Paese. Contemporaneamente, o subito dopo – la tempistica non è un dettaglio irrilevante – la stessa Paragon, cioè i venditori del software, abituati a operare nell’ombra, in quell’area di deep State che confina con l’informalità, se non proprio con l’illegalità, escono allo scoperto e denunciano il contratto con un non meglio identificato cliente italiano, accusandolo di comportamento scorretto. In sostanza, qualcuno che poteva presentare credenziali del governo italiano, che avrebbe acquisito questo sistema di spionaggio individuale, lo stava usando per fini non difensivi, ma per sorvegliare soggetti che potevano essere considerati fastidiosi. Fra questi, Luca Casarini, noto dirigente di una Ong che opera per la difesa dei migranti, e Francesco Cancellato, direttore di “Fanpage”, testata online di giornalismo investigativo che ha dato filo da torcere al governo Meloni.
A questo punto, il gioco sarebbe chiaro: qualche solerte funzionario di apparati riservati avrebbe usato un sistema tecnologico per mettere sotto controllo soggetti fastidiosi. Ma i conti non tornano. Non tanto perché il governo, interpellato sia dai giornalisti sia dalle opposizioni, in particolare con una circostanziata interrogazione di Alleanza verdi-sinistra, nega di essere partner di questo affare, e smentisce qualsiasi operazione da parte dei sistemi di sicurezza con il sistema Paragon. E siccome nulla va sprecato nella guerra contro i giudici, palazzo Chigi fa sapere che anche alcune procure hanno in uso questo dispositivo digitale.
Ma come tutte le bugie anche questa del governo ha gambe cortissime. Infatti, sia Meta sia gli israeliani di Paragon, comunicano che la stragrande maggioranza dei sorvegliati da parte del misterioso cliente italiano sono stranieri, residenti in diversi Paesi europei. Questo esclude palesemente ogni attivismo giudiziario e ributta la palla nel campo del governo.
Le domande sono parecchie: 1) il governo può ufficialmente smentire che il software in questione sia in uso ai suoi apparati di sicurezza? 2) Se è così, perché appena è stata rivelata la violazione, gli stessi apparati non si sono preoccupati di scoprire chi erano i curiosi che intercettavano le utenze WhatsApp di Casarini e Cancellato, che fino a prova contraria sono cittadini italiani a pieno titolo? 3) Chi sono gli altri cinque italiani finiti nel mirino, e soprattutto chi quelli europei? 4) Il governo potrebbe smentire che qualche altro soggetto di nazionalità estera possa avere usato il software israeliano, ufficialmente acquisito da un cliente italiano per operazioni clandestine? 5) Come hanno fatto WhatsApp, e soprattutto Paragon, a registrare i comportamenti illeciti nei confronti degli utenti individuati?
Dobbiamo concludere che entrambe le imprese mantengono un saldo controllo su questo software che viene ceduto solo in concessione? Di conseguenza, dobbiamo pensare che i sistemi di sicurezza italiani comprino tecnologie che li rendono intercettabili mentre organizzano altre intercettazioni?
Siamo in un tipico labirinto da “guerra ibrida”, in cui il governo Meloni appare sempre più impigliato. E su cui le opposizioni non sembrano concentrate come dovrebbero. Con il software Paragon, si può anche inquinare una campagna elettorale, tanto per essere espliciti, per cui va chiarito subito di cosa stiamo parlando. Così come va chiarito che ormai ogni giorno avremo un caso del genere, perché se – come scrive il generale cinese Qiao Liang – la guerra è sempre cospirazione, ormai anche la pace sta diventando esclusivamente cybersecurity.
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