In Spagna, una persona sopravvissuta alla violenza di genere trova la sua voce

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Di Lurdes Calvo in Valencia  |  10 Feb 2025

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Aminata Soucko negli uffici dell’associazione Red Aminata, da lei fondata a Valencia per aiutare altre donne rifugiate. © UNHCR/Ébano Stories

Quando Aminata Soucko è arrivata in Spagna dal Mali si sentiva prigioniera. Non riusciva a parlare la lingua e viveva intrappolata in casa da un marito violento che era stata costretta a sposare, Aminata era disperata e sola.

“Mio marito era il mio traduttore. Non capivo nulla in spagnolo e lui non voleva che imparassi lo spagnolo”, ha raccontato. Un giorno è uscita dalla loro casa nella parte orientale di Valencia e si è imbattuta in una donna del Mali che l’ha aiutata a trovare un corso di lingua.

Quell’incontro casuale è stato l’inizio di un cambiamento epocale nella vita di Aminata, che l’ha vista diventare fonte di ispirazione e di rifugio per altre persone che lottano per riprendersi dalle mutilazioni genitali femminili e da altre forme di violenza di genere. “Imparare lo spagnolo è stato come una porta verso la libertà e una via di fuga da tutte le violenze che stavo subendo”, ha detto.

Sogni infranti

Nata in Mali, Paese culturalmente conservatore, Aminata era una di 30 fratelli e da neonata ha subito la dannosa pratica delle mutilazioni genitali femminili, che prevede l’alterazione o la lesione degli organi genitali femminili per motivi non medici.

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Crescendo, Aminata ha lavorato duramente per perseguire il suo ambizioso sogno di diventare medico ed era sulla buona strada quando, all’età di 17 anni e sul punto di completare la scuola superiore, è stata costretta a sposarsi. Quando le è stato detto che sarebbe andata al suo matrimonio invece che a scuola, Aminata è scoppiata a piangere.

Intrappolata in un matrimonio soffocante e violento, Aminata è stata costretta a lasciare il Mali per vivere con il marito che aveva trovato lavoro in Spagna. “Nella mia cultura, quando una donna si sposa, è l’uomo a decidere il tuo destino”, ha detto. Solo quando ha imparato a parlare lo spagnolo, la libertà è stata a portata di mano e Aminata si è sentita in grado di compiere il coraggioso passo di denunciare il marito violento alle autorità.

“Sono stata la prima donna tra tutte le mie connazionali a sporgere denuncia. È stato molto difficile. C’erano violenze fisiche e sessuali [nel mio matrimonio]”, ha detto. Quest’azione non è stata priva di conseguenze: Aminata è stata rifiutata dalla sua famiglia e ostracizzata per aver infranto le norme culturali e aver parlato contro la violenza di genere, la discriminazione e le mutilazioni genitali femminili.

Una rete di sostegno

La sua associazione, Red Aminata (Aminata Network in spagnolo), si batte per la fine delle mutilazioni genitali femminili e della violenza di genere. In collaborazione con l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, offre alle donne rifugiate corsi di lingua spagnola e uno spazio sicuro per condividere le loro storie e costruire una comunità.

“Siamo una rete di donne che si sostengono a vicenda. Se ho qualcosa da condividere, lo condividiamo insieme. Se abbiamo bisogno di piangere, piangiamo insieme”, ha detto Aminata. Frequentare i corsi è “un’opportunità per le donne di uscire di casa, conoscere i loro diritti e capire che hanno anche il diritto di chiedere asilo”.

Le mutilazioni genitali femminili causano danni fisici e psicologici estremi e sono riconosciute a livello internazionale come una grave violazione dei diritti umani, eppure persistono a livello globale, con circa 600.000 sopravvissute solo in Europa. Le donne che temono persecuzioni – o che sono sopravvissute alle mutilazioni genitali femminili – possono richiedere lo status di rifugiata, ma Aminata lo ha scoperto solo dopo aver affrontato la dolorosa nascita di un figlio, durante la quale ha subito complicazioni dovute alle conseguenze delle mutilazioni genitali femminili.

In seguito, i medici le hanno parlato della possibilità di sottoporsi a un intervento di ricostruzione del clitoride e ad altri trattamenti per favorire il recupero dalle mutilazioni genitali femminili. Aminata si è iscritta immediatamente e, dopo aver appreso di più sugli effetti dannosi delle mutilazioni genitali femminili – a cui sono state sottoposte 230 milioni di donne in tutto il mondo, che spesso provocano dolore cronico e trauma psicologico – ha deciso di formarsi e diventare operatrice sanitaria di comunità per aiutare altre persone nella sua situazione.

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Una nuova generazione

Ora, in collaborazione con l’organizzazione medica non governativa Farmamundi, accompagna le donne rifugiate nel processo di ricostruzione, come interprete e non solo. “Sono presente sia durante la consultazione che il giorno dell’intervento in sala operatoria”, ha detto. “Sono come la loro psicologa, la loro madre, la loro zia, perché ho vissuto tutto questo”.

Altre sopravvissute sono diventate una parte importante di Red Aminata, utilizzando le loro esperienze per contribuire a diffondere informazioni sulle mutilazioni genitali femminili, sulla prevenzione e sul recupero nelle loro comunità. Aminata ha in programma di rafforzare ulteriormente la rete aprendo un centro specializzato per sostenere le donne e le ragazze che sono sopravvissute a diverse forme di violenza di genere, tra cui le mutilazioni genitali femminili, nei loro Paesi d’origine.

Mentre cerca la libertà per le sopravvissute come lei, Aminata si sta anche assicurando che le pratiche culturali dannose che ha subito non vengano trasmesse a una nuova generazione e si impegna a contrastarne i miti: “Nella mia cultura, una madre single che cresce i figli è vista come una donna inadatta a fornire un’istruzione adeguata”, ha detto. Aminata ha due figli e dice che quando sarà il momento, sua figlia sceglierà chi sposare. “Non la costringerò a fare nulla di simile a quello che è successo a me”.


 

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