Ogni settimana gli ucraini fanno decollare decine di droni esplosivi a lungo raggio e li dirigono contro raffinerie, impianti di trattamento del gas, cisterne di stoccaggio del petrolio e altre strutture del settore energetico in territorio russo. È una campagna cominciata all’inizio del 2024, e da allora è diventata sempre più intensa.
Come succede sempre in queste operazioni, i droni che decollano dall’Ucraina sono tanti ma i droni che effettivamente raggiungono i loro bersagli in Russia sono pochi. Alcuni sono distrutti in volo dai sistemi di difesa russi, e altri finiscono fuori rotta. Lo scorso 24 gennaio i russi hanno detto di averne abbattuti 121 in una sola notte, mentre erano in volo sopra 13 regioni diverse.
I droni ucraini possono volare per più di 1.500 chilometri, e questo vuol dire che possono prendere di mira un numero enorme di potenziali obiettivi, ma anche che devono volare per molte ore e di solito di notte per rendere più difficili gli avvistamenti.
Alla fine però qualche drone riesce a raggiungere le strutture del settore energetico russo, che sono vaste installazioni progettate in tempo di pace (quindi piuttosto vulnerabili a questi attacchi dal cielo) e contengono grosse quantità di sostanze infiammabili. Basta un’esplosione per creare incendi che durano giorni.
L’idea alla base di questa campagna di bombardamenti è che la Russia da tre anni riesce a sostenere le spese enormi dell’invasione in Ucraina soltanto grazie all’esportazione di petrolio greggio e di gas naturale. Quindi se gli ucraini riuscissero a danneggiare il sistema di infrastrutture del greggio e del gas in modo rilevante, la Russia avrebbe meno soldi a disposizione per fare la guerra agli ucraini.
A marzo e ad aprile del 2024 l’amministrazione dell’ex presidente statunitense Joe Biden aveva criticato la campagna di bombardamenti e aveva chiesto agli ucraini di interromperla. Le sue richieste però non sono state ascoltate, e l’Ucraina ha continuato a colpire con i droni le raffinerie russe.
Che il punto debole del presidente russo Vladimir Putin sia il guadagno derivante dall’esportazione del greggio è stato ribadito di recente anche dal nuovo presidente statunitense Donald Trump, che il 23 gennaio ha detto: «In questo momento il prezzo è abbastanza alto da far continuare quella guerra, bisogna abbassare il prezzo del petrolio e porre fine alla guerra». Ha anche aggiunto: «Un modo per fermarla [la guerra] rapidamente è che l’OPEC [l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio] smetta di fare così tanti soldi. L’OPEC dovrebbe darsi da fare e abbassare il prezzo del petrolio. E quella guerra finirà subito». Per ora il suo invito non è stato seguito.
In sintesi: sia gli ucraini con i droni esplosivi, sia Trump con mezzi pacifici, vorrebbero che Putin incassasse meno denaro dalla vendita del petrolio.
Inoltre c’è la volontà da parte degli ucraini di far vedere che in qualche modo sanno ancora prendere l’iniziativa contro la Russia e che sono pericolosi. È una cosa alla quale gli ucraini tengono molto: lo hanno dimostrato in parte con l’invasione della regione russa di Kursk lo scorso agosto, e anche con la campagna efficace per affondare le navi militari russe e costringerle a tenersi a distanza dalla Crimea (condotta sempre con i droni, ma in quel caso marini). Il punto è non dare l’impressione di subire soltanto la disparità di mezzi e uomini con la Russia. Se c’è una cosa che l’Ucraina ha imparato in questi anni, dall’occupazione russa della Crimea nel 2014 in poi, è che la debolezza percepita incoraggia le aggressioni da parte della Russia e l’esibizione di forza, al contrario, incoraggia i negoziati.
Mettere fuori uso un singolo impianto per qualche settimana con i droni esplosivi non è un colpo devastante per l’economia russa, ma se si cominciano a sommare gli effetti e a ogni perdita di pochi punti percentuali nella produzione si aggiungono di continuo altre perdite, allora l’intero sistema comincia a soffrire.
I comunicati ucraini che annunciano queste operazioni usano l’espressione “sanzioni con i droni”: è un modo per rimproverare gli alleati occidentali, che secondo il governo ucraino non starebbero imponendo abbastanza sanzioni alla Russia. È come se gli ucraini dicessero: ci tocca fare con i droni quello che voi non volete fare con le sanzioni internazionali.
Sui social questi attacchi sono a volte chiamati «sanzioni Budanov», dal nome del generale Kyrylo Budanov, capo del GUR, l’intelligence militare ucraina. Ma a compiere questi attacchi c’è anche l’SBU, il servizio di sicurezza, e in generale la Difesa ucraina. Fino a due anni fa le incursioni in profondità con i droni da parte degli ucraini erano rare. Poi, dopo un breve periodo di rodaggio e sperimentazioni, l’Ucraina ha cominciato a produrre droni a lungo raggio su scala industriale e gli attacchi sono diventati frequenti, anche se non ancora così frequenti come gli attacchi russi sulle città ucraine con i droni prodotti dall’Iran.
Dall’inizio del 2025, secondo fonti ucraine, le operazioni di questo tipo sono state cinque. Fra i bersagli centrati a gennaio ci sono la terza e la quarta raffineria più grandi della Russia, a Ryazan e a Kstovo. Inoltre gli ucraini hanno colpito anche la raffineria di Lukoil a Volgograd, che è tra le prime dieci raffinerie del paese; un impianto per il trattamento del gas a Astrakhan e il porto di Ust-Luga sul Baltico, dove passa il 20 per cento delle esportazioni di greggio russo via mare. I droni hanno anche distrutto una stazione di pompaggio del petrolio ad Andreapol. A volte le rivendicazioni ucraine degli attacchi sono confermate da video di esplosioni e incendi dentro agli impianti girati da cittadini russi.
Secondo il canale Telegram russo Nezygar (un canale che aggrega notizie e informazioni) l’anno scorso gli attacchi ucraini contro le raffinerie della Russia sono stati 81, hanno fatto perdere il 12 per cento della capacità totale di trattamento del greggio da parte delle raffinerie e il risultato è che la produzione russa è scesa al minimo degli ultimi 12 anni. Il Washington Post ad agosto 2024 aveva scritto che la Russia per colpa degli attacchi dei droni ucraini aveva perso il 15 per cento della sua capacità di raffinare greggio.
Lo scorso agosto l’invasione da parte delle truppe ucraine della regione russa di Kursk aveva avuto come effetto collaterale la cancellazione all’ultimo momento di trattative segrete tra Ucraina e Russia, mediate dal Qatar, che avrebbero dovuto tenersi proprio in quel mese. Al centro delle trattative c’era uno scambio: i russi chiedevano la fine degli attacchi con i droni contro le raffinerie e in cambio offrivano la fine dei bombardamenti contro le centrali elettriche ucraine (in applicazione di quel principio citato poco fa: l’esibizione di forza incoraggia i negoziati).
Adesso, sempre secondo il canale russo Nezygar, russi e ucraini starebbero di nuovo parlando di vedersi in Arabia Saudita oppure negli Emirati Arabi Uniti con l’approvazione dell’amministrazione Trump per riprendere le trattative sulla cessazione dei raid con i droni, sia quelli ucraini contro le raffinerie russe sia quelli russi contro le centrali elettriche ucraine. Per ora non c’è alcuna presa di posizione ufficiale e quindi questa informazione va trattata soltanto come un’ipotesi.
Alla Conferenza sulla sicurezza che si terrà a Monaco di Baviera (in Germania) dal 14 al 16 febbraio, Keith Kellogg, l’inviato speciale degli Stati Uniti per la guerra in Ucraina, potrebbe presentare il piano di pace dell’amministrazione Trump. Kellogg ha dichiarato che Trump è pronto a raddoppiare le sanzioni contro la Russia, in particolare quelle che riguardano la produzione e l’esportazione di petrolio. Secondo Kellogg, oggi la pressione internazionale contro la Russia su una scala che va da uno a dieci è soltanto a tre.
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