ALBERT
BOLLETTINO PACIFISTA
La voce della ragione in tempi di guerra
Non lo dicono i pacifisti, lo dicono i numeri: l’aumento delle spese militari della Nato non ha alcuna giustificazione. Eppure, il discorso pubblico è inquinato da una narrazione basata sulla paura, che suggerisce la necessità di un incremento senza precedenti delle spese per la difesa. Si tace sui numeri e si alimenta la percezione di una minaccia sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti.
Guardiamo i dati.
Spese militari della Nato (in miliardi di dollari):
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2014: 910
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2015: 896
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2016: 913
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2017: 904
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2018: 929
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2019: 999
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2020: 1.018
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2021: 1.056
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2022: 1.037
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2023: 1.069 (stima)
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2024: 1.185 (stima)
Spese militari della Russia (in miliardi di dollari):
Il confronto è impietoso. Nel 2023, la Nato ha speso circa dieci volte di più rispetto alla Russia. Eppure, si continua a diffondere l’idea che la Nato sia in pericolo e che solo un ulteriore aumento delle spese militari possa garantire la sicurezza dei suoi membri.
Dal 2014 al 2024, la spesa della Nato è cresciuta di oltre 250 miliardi di dollari, mentre quella russa ha avuto un incremento più modesto: 40 miliardi di dollari. Anche ipotizzando che la Russia continui ad aumentare la propria spesa, rimarrebbe comunque enormemente inferiore a quella della Nato.
La retorica della paura e il raggiro
La strategia è chiara: si evita di fornire al pubblico la conoscenza dei dati reali e si alimenta la paura, lasciando intendere che la Russia abbia una potenza militare tale da minacciare l’esistenza stessa della Nato. Ma la Nato possiede una superiorità schiacciante in termini di risorse economiche, tecnologiche e militari.
L’aumento delle spese militari non è quindi una necessità, ma una scelta politica. Una scelta che avvantaggia l’industria bellica e penalizza i cittadini, ai quali si sottraggono risorse che potrebbero essere investite in sanità, istruzione e politiche sociali.
I numeri smentiscono la propaganda.
Il riarmo della Nato è ingiustificato.
Lo dicono i dati.
Se il riarmo non è necessario per la difesa allora serve per la guerra
L’Alleanza Atlantica rappresenta il 55% della spesa militare mondiale, mentre la Russia, il nemico designato della NATO, ne copre solo il 5%.
Questo divario pone una domanda: perché intensificare ulteriormente il riarmo?
La risposta più plausibile è che l’Occidente stia pianificando non solo di contenere la Russia, ma anche di rafforzare la propria egemonia globale.
Il vero obiettivo potrebbe essere un futuro confronto con la Cina, percepita come il principale rivale strategico degli Stati Uniti, e una guerra ancora più diretta con la Russia.
Continua su https://www.peacelink.it/disarmo/a/50550.html
La campagna contro l’invio di armi in Ucraina continua e si amplia
La mobilitazione contro l’invio di armi in Ucraina prosegue con determinazione. Il coordinamento “Articolo 11 – L’Italia ripudia la guerra” si riunirà mercoledì 12 febbraio alle ore 18:00 presso MarxVentuno a Bari (II strada privata Borrelli 34, di fronte al Piccolo Teatro, citofono 51). Sarà possibile partecipare anche da remoto, richiedendo il link di invito a articolo11.bari@gmail.com.
L’ordine del giorno della riunione include un aggiornamento sui rapidi mutamenti del contesto internazionale, con particolare attenzione all’impatto della presidenza Trump. A intervenire su questo tema sarà Marco Pondrelli, direttore del sito Marx21.it.
Un altro punto cruciale dell’incontro sarà il bilancio della petizione contro l’invio di armi a Kiev, che ha visto una significativa partecipazione, e la programmazione delle prossime iniziative per rafforzare la mobilitazione.
Ma la campagna non si ferma qui: si arricchisce con un nuovo filone di approfondimento sulle spese militari e i programmi di riarmo che stanno trasformando il bilancio dello Stato. Il tema sarà affrontato da Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, che relazionerà sui nuovi piani di riarmo delle forze armate italiane e sull’aumento della spesa bellica.
Questo incontro rappresenta un’importante occasione di confronto e mobilitazione per chi continua a opporsi alla logica della guerra e del riarmo, riaffermando i principi della Costituzione e dell’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”.
A Milano in piazza per il Congo
Il 9 febbraio a Milano – dopo un accorato appello video di convocazione – si è svolta una manifestazione in solidarietà con la popolazione della Repubblica Democratica del Congo, un Paese martoriato dall’invasione delle milizie sostenute dal Ruanda. Un’occupazione brutale che saccheggia le immense risorse minerarie congolesi, in particolare le terre rare, indispensabili per l’industria tecnologica globale.
Un silenzio europeo che pesa
Nonostante l’evidenza dei crimini e delle responsabilità, la Commissione Europea mantiene un inquietante silenzio.
Bruxelles, anziché condannare l’aggressione e imporre sanzioni, ha siglato accordi commerciali con il Ruanda proprio per le terre rare, rafforzando così un regime che arma e finanzia le milizie responsabili della devastazione del Congo.
Il doppio standard della Commissione Europea
La differenza di trattamento rispetto alla guerra in Ucraina è lampante: nessuno in Europa osa parlare di “invasione” o di “invasori” quando si tratta del Congo. Nessuna risoluzione di condanna, nessuna misura restrittiva, nessun embargo, nessuna indignazione nelle cancellerie occidentali. Il doppio standard è evidente: chi invade il Congo è un partner commerciale, non un nemico da isolare.
Dare voce alla tragedia di un popolo
La manifestazione di Milano ha voluto rompere questo muro di ipocrisia, dando voce a una tragedia che non trova spazio nei palazzi del potere. I manifestanti hanno chiesto giustizia, trasparenza e un cambio di rotta nelle politiche europee, affinché il Congo non venga più trattato come una colonia da sfruttare nell’indifferenza generale.
La pace passa anche dalla verità. E oggi, a Milano, questa verità è stata gridata con forza.
Il “moderato” Tajani attacca la Corte Penale Internazionale
Di moderato, in questa vicenda, c’è ben poco. Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, ha dichiarato che “vuole vederci chiaro” sulla decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) di avviare un’indagine su possibili crimini di guerra commessi da Israele. Un linguaggio che suona come una minaccia istituzionale nei confronti di un organismo indipendente che, per mandato, ha il compito di perseguire i crimini più gravi contro l’umanità.
La posizione di Tajani (subito condivisa da Salvini) si allinea a quella del governo israeliano, che da settimane attacca la CPI definendola “parziale” e “politicizzata”. Ma di parziale qui c’è solo la reazione della politica occidentale, che difende senza esitazioni Israele mentre si è ben guardata dal criticare la stessa Corte quando ha emesso mandati di arresto contro leader di altri Stati, come il presidente russo Vladimir Putin.
Doppio standard e intimidazioni
Tajani, che in passato si è presentato come un “moderato” europeista, oggi assume il ruolo di scudo politico per Israele, mettendo in discussione la legittimità di un’istituzione internazionale. Viene da chiedersi: cosa c’è da “vederci chiaro”? La CPI sta semplicemente facendo il proprio lavoro, esaminando le accuse di crimini di guerra, comprese quelle relative agli attacchi israeliani contro la popolazione civile a Gaza.
Se Tajani fosse davvero preoccupato per la giustizia internazionale, dovrebbe piuttosto chiedere un’indagine seria e imparziale su tutte le violazioni dei diritti umani, indipendentemente da chi le commetta. Ma evidentemente la preoccupazione non è la giustizia, bensì la difesa ad oltranza di un alleato strategico.
Una deriva pericolosa
Da Trump è giunto un attacco alla CPI basato su sanzioni vere e proprie e il governo italiano si è allineato.
Attaccare la CPI è grave e avvilente. Se i governi iniziano a mettere in discussione il suo operato ogni volta che non si allinea alle loro agende politiche, allora il diritto internazionale diventa un guscio vuoto.
La società civile, le organizzazioni pacifiste e tutti coloro che credono nella giustizia non possono che opporsi a questa pericolosa deriva. L’impunità non può essere accettata solo perché riguarda un alleato. Se il ministro Tajani vuole davvero “vederci chiaro”, dovrebbe chiedere verità e giustizia per tutte le vittime, non solo per quelle che fanno comodo alla narrazione politica del momento.
Obiettore di coscienza ucraino rapito e picchiato dai reclutatori militari
Stepan Borysovych Bilchenko è un insegnante dell’Università di Leopoli. Fa parte dell’Università Nazionale Ivan Franko Lviv (Leopoli).
E’ un obiettore di coscienza e rifiuta di prendere le armi. Per questo suo rifiuto sta pagando un prezzo altissimo: è stato trovato picchiato e privo di sensi vicino a Kiev. I reclutatori militari ucraini lo hanno sottoposto a pressioni fisiche. Adesso è in gravi condizioni con il cranio fratturato. E ora è in gravi condizioni.
Stepan Borysovych Bilchenko è stato portato via dai reclutatori militari ucraini. È avvenuto vicino al mercato di Stryi. Stava andando al lavoro. È stato preso dai reclutatori ed è stato costretto a passare due ore nella commissione medica per il reclutamento (è definita VLK in Ucraina). Questo è stato testimoniato da un amico della vittima, di nome Vladislav Kononov. Il quale ha dichiarato: “Questo è il mio amico Stepan Bilchenko, siamo amici da più di 15 anni. Fin dall’infanzia, andavamo in una chiesa protestante a Leopoli. Stepan Borysovych Bilchenko è stato rapito dai dipendenti del TCC a Leopoli, vicino al mercato di Stryi”. Il TCC è il Centro Territoriale di Reclutamento ed è l’organo amministrativo militare ucraino che tiene registri militari e mobilita la popolazione. A partire dal 2022, il TCC ha sostituito l’ex sistema di commissariati militari ucraini.
Secondo Vladyslav, Stepan è stato poi trovato sul ciglio della strada vicino alla capitale con il cranio rotto e un gonfiore cerebrale. Attualmente è in condizioni critiche.
La notizia è del 9 febbraio 2025.
Questo caso non è l’unico e non è neppure il più grave.
A Chernivtsi la polizia sta investigando sulle circostanze della morte di un uomo di 32 anni nel TCC (il centro territoriale di reclutamento militare).
Era ricercato per aver evitato la mobilitazione militare. Questo episodio è stato riportato dalla Direzione Principale della Polizia Nazionale nella regione di Chernivtsi, riferisce Ukrinform. Il 7 febbraio, durante il lavoro fuori dal territorio di servizio, gli agenti delle forze dell’ordine hanno trovato un residente locale di 32 anni nel centro regionale, che era ricercato per eludere la mobilitazione. È stato invitato al TCC per chiarire le informazioni militari, cosa che ha accettato. Secondo le prime informazioni raccolte, le sue condizioni di salute sono peggiorate durante la visita medica militare nell’apposita struttura (in Ucraina si chiama VLK). La visita medica dei coscritti avviene nel VLK che conduce un esame medico delle persone soggette al servizio militare per determinare la loro idoneità al servizio in base alla loro salute. In questa struttura l’uomo è svenuto. Ha immediatamente iniziato a ricevere cure pre-mediche e i medici sono stati chiamati sulla scena. Questo si legge sulla stampa ucraina. Ma durante le misure di terapia intensiva, i medici hanno dichiarato la morte dell’uomo. Il corpo di questo uomo residente a Chernivtsi è stato inviato per un esame forense per determinare la causa della morte.
“Abbandona ogni speranza”
I soldati ucraini feriti paragonano il sistema medico militare all’inferno
Quando hanno tirato fuori il corpo smembrato di Sluchynskyi dalle macerie, i soldati pensavano che fosse finito. Di tutta la sua squadra, è stato il più gravemente mutilato. Le sue gambe penzolavano, aveva convulsioni e lottava per respirare. C’era un buco delle dimensioni di una piccola mela su un lato della sua testa e i suoi occhi erano irriconoscibili.
Continua su: https://kyivindependent.com/abandon-all-hope-ukraines-wounded-warriors-compare-military-medical-system-to-the-inferno
L’articolo del Kyiv Independent denuncia le gravi lacune del sistema sanitario militare ucraino, attraverso le testimonianze di soldati feriti. Molti veterani, dopo aver rischiato la vita in guerra, si trovano ad affrontare un’ulteriore battaglia contro una burocrazia opprimente, incompetente e spesso corrotta.
- Il caso di Yurii Sluchynskyi (“Luch”) mostra le difficoltà di ottenere cure adeguate e il riconoscimento delle invalidità. Nonostante ferite gravissime, è stato inizialmente classificato come “parzialmente idoneo” al servizio, costringendolo a un’odissea legale per ottenere il congedo e i benefici dovuti.
- “Djinn”, un comandante di fanteria, ha subito lesioni devastanti, tra cui epilessia, ma è stato confinato in un ospedale psichiatrico anziché ricevere cure mirate.
- Anatolii, 53 anni e disabile, è stato inviato al fronte nonostante la sua inidoneità, con documenti manipolati.
Il cuore del problema sono le commissioni medico-militari (VLK), che decidono sulla salute dei soldati. Tra errori di valutazione, corruzione e ritardi burocratici, i veterani spesso restano intrappolati in un limbo legale, senza cure adeguate né riconoscimenti economici.
Le tangenti e la corruzione
La situazione è drammatica. Secondo il Kyiv Independent, la corruzione resta diffusa: alcuni medici chiedono tangenti per certificare le invalidità, mentre altri manipolano i dati per evitare il congedo dei soldati.
Questa inchiesta ci porta nel cuore della tragedia vissuta dai soldati ucraini non solo sul campo di battaglia, ma anche al ritorno, dove trovano un sistema che li respinge invece di aiutarli. Se è vero che la guerra è un inferno, il trattamento riservato a questi uomini dimostra che anche il “dopo” può esserlo.
Dalla retorica patriottica alla cruda realtà
Ma questa non è solo una denuncia: è una riflessione sul fallimento delle istituzioni nel proteggere chi ha sacrificato tutto. In Ucraina come altrove, il militarismo esalta il sacrificio dei soldati in battaglia, ma li dimentica quando tornano feriti. Non è un caso isolato: negli USA, in Russia, in Afghanistan e in Iraq abbiamo visto lo stesso fenomeno.
Questa storia è un monito per tutti: la guerra non è solo la distruzione fisica di città e vite umane, ma anche l’erosione della dignità di chi combatte. Un sistema che tratta i suoi soldati come scarti non fa altro che alimentare nuove ingiustizie.
Quattro punti di riflessione su un assurdo inferno
Abbiamo selezionato quattro punti dell’inchiesta che alleghiamo. Un’inchiesta sull’inferno in cui sono intrappolati i feriti.
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“A volte la gente dice che la guerra è un inferno”, ha detto Sluchynskyi al Kyiv Independent. “L’inferno è quando torni dalla guerra e ti scontri con l’indifferenza. È davvero demotivante.”
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“Finché sei integro, il Paese ha bisogno di te”, ha detto Sluchynskyi. “Quando non sei più intero, non servi più a nessuno.”
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“I medici trattano i feriti con disprezzo. Ti fanno sentire come se fossi andato lì a chiedere loro dei soldi in prestito… anche se stai solo chiedendo che venga rispettata la procedura”, ha detto un altro veterano. “Ti fa venire voglia di entrare nei loro uffici e lanciare una granata.”
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“Mi dicono: ‘Presenta due testimoni’. Io rispondo: ‘Siete degli idioti? Quali due testimoni? Sono l’unico sopravvissuto. Degli ultimi dieci ragazzi, sono rimasto solo io’.”
Iniziativa di attivisti e attiviste da Canada e Messico
Tra poche settimane una carovana solidale in bicicletta, intitolata “Memoria Sin Fronteras” partirà da Città del Messico diretta verso il Guatemala. L’iniziativa è portata avanti dal collettivo “Estamos Aqui – Nous Sommes Ici” basato a Montreal, Canada.
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