Ennesima sanzione verso Acqua Rocchetta e verso Cogedi International che gestisce il marchio. Ed è già successo diverse altre volte in passato.
La pubblicità di Acqua Rocchetta oggetto ancora una volta di una censura da parte dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Con il provvedimento n. 1/25 emesso il 7 gennaio 2025, il Comitato di Controllo ha ordinato a Cogedi International Spa, la società che gestisce il marchio, di interrompere una campagna pubblicitaria pubblicata sul settimanale Chi il 14 ottobre 2024.
Ne fa menzione Il Fatto Alimentare, che specifica come questa misura sia la settima in totale nei confronti di Acqua Rocchetta e Cogedi International Spa negli ultimi 21 anni. La questione non riguarda solo Rocchetta, ma coinvolge anche l’acqua minerale Uliveto, anch’essa parte del portafoglio di Cogedi. Le censure si sono accumulate nel tempo, dimostrando una certa persistenza nella loro strategia pubblicitaria.
“Acqua Rocchetta non previene i calcoli”
Il primo richiamo risale al 2004 e si è ripetuto attraverso vari interventi, tra cui sanzioni pecuniarie significative da parte dell’Antitrust. La pubblicità contestata, che promuoveva un “Mese della prevenzione della calcolosi”, si avvaleva di messaggi forti e diretti, come “Calcoli renali? È tempo di agire!”, insinuando una correlazione tra il consumo di acqua Rocchetta e la prevenzione della calcolosi.
L’IAP ha evidenziato come la comunicazione pubblicitaria suggerisse un’efficacia che trascendeva l’idea di semplice sponsorizzazione di un’iniziativa di salute. La presenza di un logo accattivante e riferimenti a associazioni scientifiche contribuivano a creare l’illusione di un legame diretto tra l’acqua e la salute dei reni, senza che l’azienda avesse fornito prove concrete a sostegno di tali affermazioni.
Tale approccio ha portato l’Istituto a ritenere che la campagna potesse indurre i consumatori a credere che Rocchetta fosse più efficace di altre acque minerali nella prevenzione dei calcoli. Ma nonostante i richiami, la situazione evidenzia un problema di fondo: l’inefficacia delle censure dell’IAP, che, pur essendo numerose, non prevedono sanzioni economiche.
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Eppure le sanzioni non sembrano sortire effetti
Ciò significa che le aziende possono continuare con campagne pubblicitarie simili, modificando lievemente il messaggio per aggirare le restrizioni imposte. Da un lato, si ha un ente che emette richiami, dall’altro un’industria che, pur rispettando formalmente le ingiunzioni, non sembra apprendere dalla storia. Dall’altro lato, l’Antitrust ha cercato di intervenire con sanzioni economiche, come nel caso di una multa di 130 mila euro e successivamente di 10 mila euro, ma queste misure non hanno avuto un impatto duraturo.
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La ripetizione di strategie pubblicitarie simili a quelle adottate vent’anni fa suggerisce che il settore delle acque minerali continua a navigare in acque torbide, dove la linea tra informazione e inganno è spesso sfumata. Questa situazione invita a riflettere sulla necessità di un approccio più rigoroso nella regolamentazione delle pratiche pubblicitarie, soprattutto nel campo della salute.
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I consumatori hanno il diritto di essere informati in modo chiaro e veritiero, e le aziende devono essere responsabilizzate nel comunicare le caratteristiche dei loro prodotti senza ricorrere a messaggi fuorvianti o esagerati. Solo attraverso una maggiore responsabilità e trasparenza si potrà garantire una comunicazione pubblicitaria che rispetti i diritti dei consumatori e la salute pubblica.
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