Caso Santanché, ecco cos’è la mozione di sfiducia: in 40 anni falliti 79 tentativi su 80

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Il tentativo del M5s di sfiduciare il ministro del Turismo, Daniela Santanché per le vicende giudiziarie legate al “caso Visibilia” è al centro dell’agenda parlamentare. Ma per l’esponente di Fdi non è un inedito: le due mozioni di sfiducia individuale presentate alla Camera e al Senato, con primi firmatari, rispettivamente, Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli, seguono quelle dei due stessi esponenti dei Cinque stelle, finite sotto i riflettori nell’aprile e nel luglio del 2024: entrambe respinte dai due rami del Parlamento. Così come quasi tutte le altre 75 che dall’ormai lontano 1983 (all’alba della nona legislatura) ai giorni nostri sono transitate per le Aule di Montecitorio e Palazzo Madama. L’unica mozione ad arrivare sostanzialmente a segno delle 80 messe nero su bianco negli ultimi 40 anni (di cui meno della metà effettivamente votate) è stata quella approvata nel 1995 da un Parlamento scosso da “Mani pulite” che aveva come destinatario l’allora ministro della Giustizia dell’esecutivo Dini, Filippo Mancuso, che, tra l’altro, aveva lanciato più di un’accusa nei confronti del capo dello Stato dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro. Ma allora per quale motivo, alla luce di questi risultati, i gruppi parlamentari provano a utilizzare questa carta? Perché quasi tutti i partiti ritengono che la mozione di sfiducia individuale sia di fatto uno strumento con un peso politico rilevante. Che per la prima volta fece la sua comparsa sulle scene parlamentari nel 1984, in piena prima Repubblica, quando alcuni esponenti di opposizione presentarono una richiesta di dimissioni dell’allora ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, per il suo presunto coinvolgimento nel “caso Sindona”.

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La nostra Costituzione prevede che un governo, una volta nominato dal presidente della Repubblica, per entrare operativamente in carica deve prima presentarsi alle Camere per ottenere la loro fiducia. Che, come prevede l’articolo 94 della Carta, può anche essere revocata facendo leva su una mozione di sfiducia, con il risultato di costringere l’esecutivo a dimettersi. La Costituzione non prevede esplicitamente che possa essere sfiduciato un singolo membro del governo, ma nemmeno esclude questa possibilità. E, non a caso, il regolamento della Camera dispone che per le mozioni di sfiducia rivolte a un singolo ministro debba essere applicata la stessa disciplina di quelle riguardanti l’intero governo.

Andreotti, il primo ministro a rischio sfiducia

Nel 1984, durante la nona legislatura, si è manifestata per la prima volta una richiesta di sfiducia individuale nei confronti di Giulio Andreotti, all’epoca ministro degli Esteri nel governo Craxi, per un presunto coinvolgimento nel caso Sindona. Eravamo anche nel pieno della prima Repubblica. Ma bisogna attendere l’inizio della cosiddetta seconda Repubblica per vedere la sola mozione di sfiducia approvata, almeno finora: quella che nel 1995, ancora sull’onda dell’inchiesta “Mani pulite”, ha interessato Filippo Mancuso, ministro della Giustizia dell’esecutivo Dini.

Prima della pronuncia su Santanché, 36 mozioni votate in oltre 40 anni

In oltre 40 anni, dalla nona legislatura (cominciata nel luglio 1983) a quella in corso (la diciannovesima), si sono materializzate 80 mozioni di sfiducia individuale, comprese le ultime due nei confronti del ministro Santanché, ma fin qui non più di 36 sono state effettivamente discusse e votate in Aula. Nell’attuale legislatura alle quattro presentate dal M5s nei due rami del Parlamento nei confronti di Santanché, va aggiunta quella relativa al ministro delle Infrastrutture, e vicepremier, Matteo Salvini, che è arrivata in Aula a Montecitorio nella primavera del 2024, con la prima firma di Matteo Richetti (Az),e che è stata poi respinta.

I voti nelle ultime quattro legislature

Guardando in particolare alle ultime quattro legislature, partendo quindi dalla sedicesima (cominciata nell’aprile 2008), emerge che le mozioni di sfiducia discusse e votate fino a questo momento sono state in tutto 23. In questo periodo oltre a Santanché altri membri di governo sono stati investiti da più di una mozione di sfiducia: gli ex ministri Alfonso Bonafede, Angelino Alfano, Danilo Toninelli e Sandro Bondi. L’unico esponente con tre mozioni di sfiducia a proprio carico è Roberto Speranza, ministro della Salute nel periodo della pandemia nel governo “Conte 2” e nell’esecutivo guidato da Mario Draghi. E nel caso di Speranza queste tre mozioni sono state discusse e votate nello stesso giorno: a presentarle sono stati Gianluigi Paragone (Misto-Italexit, ex M5s), Mattia Crucioli (Misto-L’alternativa, ex M5s) e Luca Ciriani (Fdi), che attualmente nell’esecutivo Meloni ricopre l’incarico di ministro per i Rapporti con il Parlamento. Sempre nell’arco delle ultime quattro legislature sono stati due i governi al centro di mozioni di sfiducia, sempre respinte: il IV governo Berlusconi nel 2010 e l’esecutivo Renzi nel 2016.



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